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Stupefacenti e uso personale, Cassazione: l'onere della prova spetta all'accusa e non all'imputato
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Comunicato 
22 febbraio 2013 15:12
 
 Sta all’accusa dimostrare che lo stupefacente è destinato allo spaccio, e non all’indagato dover dimostrare che è per uso personale, quando la quantità supera le soglie previste dalla legge Fini-Giovanardi.
E’ questo in nuce il senso dell’ennesimo autorevole intervento della Corte di Cassazione Penale, che con la sentenza n. 6571/2013, ha quindi censurato senza appello coloro che interpretano la legge Fini-Giovanardi, ed in particolare il superamento delle quantità minime riportate nelle tabelle lì contenute, come una presunzione di colpevolezza del detentore.
Qualche frangia di una giurisprudenza tanto minoritaria quanto ostinata, certamente incoraggiata dagli autori di questa legge, persiste nell'affermare che il superamento del limite tabellare integri un elemento di colpevolezza presunta-relativa, da porre a carico del detentore. Secondo questo orientamento ormai minoritario, è quindi l’indagato-imputato a dover fornire la prova dell’uso personale se non vuol esser condannato per spaccio.
Per la Cassazione, invece, anche se la quantità supera i limiti tabellari, sta comunque all’accusa dimostrare che lo stupefacente era destinato allo spaccio.
Questa sentenza contribuisce quindi a smontare l’impianto iperproibizionista voluto dagli autori della legge, i quali si erano proposti di equiparare allo spaccio la mera detenzione di uno stupefacente per uso personale nel caso del superamento di certe soglie.
Qui la sentenza ed il commento dell’avv. Carlo Alberto Zaina, consulente Aduc in materia di stupefacenti
 
 
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