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Assolto commerciante, rischiava due anni di carcere per aver inconsapevolmente venduto profumatori con tracce di cannabinoidi
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Comunicato di Redazione
10 aprile 2013 10:41
 
Non bastava la profonda crisi economica e istituzionale a martoriare il settore del commercio. Un commerciante vicentino ha addirittura rischiato quasi due anni di carcere per aver venduto, inconsapevolmente, profumatori d’ambiente contenenti tracce di cannabinoidi.  A distanza di due anni dal fatto, il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Vicenza lo ha finalmente assolto perché il fatto non costituisce reato.
Il commerciante, G.G., era stato rinviato a giudizio abbreviato con la pesante accusa di spaccio di stupefacenti per aver venduto, nel 2011, profumatori d'ambiente contenenti anche molecole vietate di cannabinoidi (JWH-073) e altre molecole all'epoca non ancora inserite nella tabelle ministeriali (JWH-122 JWH-250).
Il Tribunale ha pienamente riconosciuto la buona fede del commerciante, difeso dall'avv. Carlo Alberto Zaina, consulente legale Aduc in materia di stupefacenti. Infatti, G.G. aveva acquistato i profumatori da una ditta produttrice del Sud Italia che, sulle fatture fiscali, aveva garantito l'assenza di prodotti tossici o vietati. Inoltre, i cannabinoidi presenti non potevano certo essere individuati dal commerciante, sia perché le analisi svolte su incarico del PM  hanno affermato che i campioni sequestrati apparivano disomogenei (quindi non avevano le stesse composizioni chimiche), sia perché tale componenti derivati dalla cannabis  erano presenti in quantità  modestissime.
G.G. inoltre aveva più volte sollecitato il suo produttore e fornitore a fornirgli idonea documentazione che attestasse la regolarità del prodotto, ricevendo dalla ditta fornitrice copie di analisi private svolte presso l'università di Napoli, che attestavano l'assenza di cannabinoidi vietati.
Dunque, la condotta del G.G. è stata riconosciuta - come chiesto dalla difesa - immune da censure di negligenza in ordine ai controlli sui prodotti e non è stata affatto provata la volontà di porre in commercio sostanze vietate.
Situazione confermata anche dalle deposizioni degli acquirenti che hanno sempre sostenuto che il G.G. si è sempre rifiutato di commercializzare prodotti illeciti (ad es. BONZAI) ed ha sempre attestato la conformità dei prodotti venduti alle normative in vigore, risultando all'oscuro della effettiva composizione del prodotto.
Il PM aveva chiesto la condanna dell'imputato ad una pena di 1 anno ed 8 mesi oltre a 600 euro di multa.

===AGGIORNAMENTO - 29/042013===
Clicca qui per leggere la sentenza. A sommario commento, l'avv. Zaina sottolinea come il giudice di primo grado si sia soffermato su due profili che la difesa aveva evidenziato in sede di discussione e che fortunatamente sono risultati decisivi.
Da un lato, quello obbiettivo. Nei vari prodotti sequestrati al commerciante nel suo negozio (e ricondotti dalla accusa alla categoria delle smart drugs)non vi era alcuna omogeneità di composizione chimica.
Vale a dire che essi presentavano vari tipi di cannabinoide, la gran parte dei quali non inserita nelle tabelle previste dall'art. 14 della Legge sugli stupefacenti, ma non sempre i medesimi.
Si tratta di una situazione assai singolare perchè la struttura di ogni prodotto dovrebbe essere identica.
L'unico cannabinoide vietato (non sempre, poi, presente) era il JWH 073, rinvenuto, in proporzioni sempre diverse, in modo fraudolento, perchè come dimostrato all'imputato era stata garantita in forma scritta l'assenza dello stesso nella composizione.
Il GUP quindi ha ribadito il principio della tassatività dell'inserimento di una sostanza in tabella, che è conseguenza diretta della nozione legale di stupefacente.
Il non inserimento esclude la punibilità, perchè la tabella è l'unica forma di pubblicità possibile.
Da altro lato, è stata affermata e riconosciuta la buona fede del G.G.. L'imputato, infatti, non solo ha sempre rifiutato di vendere agli acquirenti prodotti notoriamente droganti tipo ad esempio il BONZAI (lo ha ammesso anche un giovane che da lui aveva comperato uno dei prodotti sequestrati), ma si era sempre fidato del fornitore, il quale per iscritto aveva certificato l'assenza di principi attivi tabellati e vietati (abbiamo prodotti tutte le certificazioni in questione apposte a piede delle fatture ed addirittura certificati di analisi dell'Università di Napoli).
Il G.G., dunque, aveva posto in vendita prodotti che ha sempre ritenuto e dichiarato ai possibili acquirenti come non contenenti principi attivi vietati dalla legge.
La frode del fornitore è stata così ravvisata e ritenuta fondamentale perchè sviluppata verso il commerciante che aveva acquistato, credendo nelle indicazioni fornite per iscritto.
Se anche egli (G.G.) avesse svolto verifiche in proprio non sarebbe stato - in virtù della eterogenea composizione dei prodotti - in grado di avere certezza delle caratteristiche degli stessi.
Il comportamento globalmente tenuto dal G.G. ha escluso, quindi, ad avviso del giudice, che ha recepito le nostre tesi, ogni censure di illiceità ed ha assolto l'imputato.

 

 
 
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