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Usa. La parte sporca della war on drugs mediatica
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Articolo di Alessandro Garzi
25 febbraio 2002 20:30
 
La war on drugs all'americana, che il nostro Governo prende come esempio, non rende, e nonostante i continui sforzi della polizia, e l'aumento di soldi necessari per mantenere le varie super-strutture che sono affiancate da super-super strutture, il mercato e' sempre presente, gli spacciatori arrestati vengono sostituiti da altri quasi immediatamente, ed e' difficile procurarsi le prove. E qui viene la parte peggiore della war on drugs domestica: la parte di facciata, la parte mediatica: si deve dimostrare, ogni tanto, che gli spacciatori vengono "messi dentro e buttata via la chiave", anche per giustificare la spesa di risorse pubbliche.
E quando la polizia (si parla degli Usa, in questo caso, ma il fenomeno e' molto piu' diffuso) non riesce a trovare i colpevoli da prima pagina, trova una scorciatoia: se li trova, in qualche modo. Quando non accade che gli arresti fatti cosi' non servono direttamente a coprire alcuni misfatti degli stessi operatori di polizia. La Drug Policy Alliance (gia' Lindesmith Center) rende noto che dal 1993 al 1998 l'Fbi ha aperto circa 400 fascicoli sulla corruzione di poliziotti statali o locali, e che 300 di loro sono stati condannati.

Nella "scelta" dei colpevoli, la provenienza etnica fa la sua parte, come avvenne nel piu' clamoroso dei casi di discriminazione razziale per questioni legate alla droga. Nel 1999 nella cittadina di Tulia, in Texas, 5000 abitanti, circa 150 dei quali erano afroamericani, si svolsero test antidroga nelle scuole, su segnalazione di un genitore, membro del consiglio scolastico, che aveva visto il proprio figlio "parlare" con un ragazzo di colore. Nessuno studente venne trovato positivo, ma, in preda all'isteria, la polizia locale stilo' una lista di "sessanta noti trafficanti della zona". All'alba del 23 luglio dello stesso anno, le forze dell'ordine arrestarono 43 persone, delle quali quaranta erano di colore, gli altri erano bianchi e latinos che avevano rapporti con loro.
Quarantatre spacciatori in un paesino di cinquemila anime? E chi gliela comprava tutta quella roba? Se la compravano tra loro forse, visto che la polizia non ritenne necessario guardare se anche nella maggioranza bianca, qualcuno facesse uso di cocaina.
Nell'operazione, non venne sequestrata droga, ad eccezione di un singolo caso nel quale furono trovati 3.5 grammi di cocaina, non vennero sequestrate armi, non venne sequestrato denaro proveniente dallo spaccio. Solo alcuni di loro riuscirono a trovare i soldi per poter pagare la cauzione e trovarsi un avvocato. Il raid fu portato a termine "grazie" alla testimonianza dell'agente Tom Coleman, che si era infiltrato. Peccato che tutto si basasse solo sulla sua parola, in quanto Coleman non fu in grado di portare nessun video, nessun altra testimonianza, non fu disponibile un secondo agente per l'operazione. Coleman testimonio' in uno dei primi processi di essersi segnato nomi e dati scrivendoseli sulla gamba, e di aver preso contatti con un "giro" di consumatori di crack, prevalentemente di colore. Ma i suoi acquisti erano stati tutti di cocaina in polvere. Piu' di una volta, ai processi, dimostro' chiaramente di non riconoscere le persone con le quali avrebbe avuto i contatti, talvolta addirittura si trattava di persone che non abitavano piu' a Tulia da diversi anni. Mentre stava svolgendo le indagini a Tulia, inoltre, Coleman era sotto giudizio in un'altra contea per furto, ed era noto che fosse un appartenente al Ku Klux Klan.
Quando i processi furono portati a termine, per undici degli accusati, quelli riconosciuti colpevoli da giurie nelle quali spesso non era presente nessuno che non fosse bianco, le pene furono del tipo: 20 anni per una persona alla prima condanna, fino a 435 (quattrocentotrentacinque!) anni di reclusione per un altro che aveva gia' precedenti.
Dopo lo scandalo suscitato da questa persecuzione, e' stata cambiata la legge in Texas, e non e' piu' possibile condannare una persona per droga solo sulle dichiarazioni di un informatore. Il Dipartimento della Giustizia ha aperto un'inchiesta sull'accaduto, e sul modo con il quale ha agito Tom Coleman.

La polizia di Dallas, aveva invece trovato un sistema molto pratico per "trovare" i trafficanti. Per dimostrare che una persona e' tossicodipendente, da anni, le polizie dei vari Stati degli Usa, lasciavano piccole quantita' di droghe (e' un trucchetto noto ormai a tutti); ma per dimostrare di avere a che fare con un grosso trafficante, serve molta droga. Dove la trovano?
Nell'agosto del 2001, un meccanico per auto, di origine messicana, e' stato arrestato con l'accusa di possedere cocaina per centinaia di migliaia di dollari, puntualmente trovata dalle forze dell'ordine. Sarebbe stato regolarmente condannato a una pena altissima di reclusione, se non fosse stato che la moglie ha insistito perche' l'avvocato dimostrasse che era innocente. E l'avvocato dimostro' che quella trovata non era cocaina, ma gesso, impacchettato, pero', in modo che sembrasse cocaina. Eppure, subito dopo i sequestri, la polizia aveva riportato i test che assicuravano che si trattasse di cocaina. Dopo questo processo, altri 18 avvocati, chiesero per i loro clienti coinvolti in scandali simili che venissero rifatti i test. E puntualmente, si scopri' che la polizia aveva sequestrato, niente di piu' che banalissimo gesso, in tutti i casi ai danni di immigrati messicani che conoscevano poco o nulla di inglese e del sistema americano. In tutto, quaranta casi sono stati archiviati. I casi sono tre: o gli immigrati messicani sniffano il gesso, che non e' illegale, o le industrie di gesso lo impacchettano come fosse cocaina per una questione di marketing, o i test fatti dalla polizia sono stati volutamente falsati per "trovare" qualche "spacciatore", meglio se messicano.
Le indagini in questione erano state portate avanti da un informatore, non identificato, pagato, tra l'altro, 200.000 dollari in due anni.
Anche in questo caso il Dipartimento della Giustizia ha aperto un'indagine.

Alcuni agenti di polizia nella Florida del Sud, conoscevano invece benissimo chi era veramente a capo del traffico di droga locale, lo conoscevano anche troppo bene, visto che tre di loro sono stati accusati nel febbraio del 2001 di piccoli reatucci come ad esempio il trasporto dei trafficanti nelle auto di servizio, l'appoggio (anche facendo da pali) dato ad alcune bande della zona, la fornitura di materiale ufficiale come i distintivi, che sono un utilissimo lasciapassare in molti casi, e piccoli abusi di questo calibro. Tutto venne alla luce quando un agente fermo' un altro poliziotto infiltrato che stava agendo da trafficante, dopo il colloquio con un informatore, e si divise con l'informatore stesso i 200.000 dollari che l'infiltrato stava trasportando.
D'altro canto, l'opinione pubblica vuole la dimostrazione che le leggi super-proibizioniste del sud degli Usa funzionano, e quindi si trovano circa una decina di agenti arrestati nel settembre del 2001, e qui si moltiplicano gli abusi come quello ai danni di una donna (risarcita poi con tre milioni di dollari), contro cinque poliziotti che le avevano nascosto droga in casa, le avevano rubato dei soldi mentre era in arresto ed avevano mentito alla giuria. Questi uomini facevano parte di un'elite dei gruppi antidroga, la famosa Delta Task Force, e secondo i loro accusatori i loro abusi spazierebbero tra il 1995 e il 1998.

Gli abusi per dimostrare i casi di droga, sono presenti in ogni Stato, ad esempio in California, gli stessi agenti avevano un modo per "trovare" spacciatori o trafficanti noto come "Rampart way", nome dato dal quartiere di Los Angeles nel quale operavano i poliziotti, un quartiere popolato soprattutto di immigrati poveri. Il metodo era piuttosto semplice: si ottenevano confessioni mediante i pestaggi, e si sistemavano le prove giuste nel posto giusto. Quando il caso andava sul complicato, gli agenti non esitavano ad usare le maniere forti; in un caso i poliziotti avrebbero sparato a un "sospetto", dopo avergli messo un fucile in braccio per dimostrare che era stato lui il primo, lasciandolo morire dissanguato prima di chiamare un'ambulanza mentre si mettevano d'accordo sulla dinamica da raccontare.
In tutto il "Rampart way", una volta scoppiato lo scandalo, ha fatto riaprire piu' di 100 processi, e, secondo il Los Angeles Police Department's Board of Inquiry (il corpo che ha dovuto indagare sui poliziotti) si trattava di un metodo routine.

Bisogna considerare che questi sono casi per i quali sono scoppiati scandali pubblici, e che forse sono solo la cosiddetta "punta dell'iceberg" di un comportamento probabilmente molto piu' diffuso e che quasi mai viene alla luce. Ma se consideriamo anche soltanto che in un caso su dieci (rapporto altissimo, quindi improbabile, vorrebbe dire che gli apparati degli Usa sono tutti belli e puliti) siano scoppiati scandali, o siano venuti alcuni elementi alla luce, si potrebbe parlare di migliaia di poliziotti americani coinvolti in casi di abusi o di corruzione, quando non direttamente collusi con il narcotraffico.
Quello che e' sicuro e' che anni di politiche che danno alle polizie sempre maggior potere, e che indicano spacciatori e consumatori di droghe (beccare un trafficante vero e' difficilissimo, di solito vengono trovati gia' morti), e, sotto sotto, gli immigrati in generale come "nemici pubblici", hanno portato, nel Paese in questione, e di conseguenza dall'altra parte dell'Atlantico, il consumo di droghe ai livelli massimi, quasi con la saturazione del mercato (o i bambini dell'asilo cominciano anche loro a farne uso, o gli spacciatori non sanno piu' a chi vendere). Oltre a vaghe promesse, fatte da politici che fanno della demagogia il loro successo, di "far fuori la droga", e ai quali gli apparati statali devono in qualche modo rendere conto.
 
 
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