L'espressione suona come un tormentone, la postura ha un'aria di déjà vu: contro il narcotraffico è “guerra” quella che un vero leader deve dichiarare. Più di cinquant'anni fa, nel giugno del 1971, Richard Nixon la convocò negli Stati Uniti. L’8 settembre, in un’intervista a Le Parisien, Gérald Darmanin, ministro degli Interni, ha continuato questa metafora marziale precisando che
intende ora combattere “la battaglia di Stalingrado” (in riferimento all’omonimo quartiere parigino) contro i trafficanti.
Le vittorie evidenziate dall’esecutivo si esprimono attraverso i risultati dei sequestri, in costante aumento (più di 150 tonnellate nel 2022 contro 115 tonnellate dell’anno precedente), e dei “deal point” smantellati. Questi conteggi vogliono essere rassicuranti. Mascherano un’altra realtà: la salute insolente del mercato della droga, più disponibile che mai, a prezzo controllato, nonostante un’immutabile dottrina di totale repressione.
Di fronte a traffici in continua rigenerazione, poliziotti e magistrati specializzati invocano ripetutamente il mito di Sisifo che spinge la sua roccia all'infinito; oppure parlare di “oceano svuotato con un cucchiaino” quando, per qualche barretta di hashish sequestrata e una manciata di “choufs” arrestati, il giorno dopo non mancheranno né la merce né il personale. Quanto ai tribunali, sono embolitici dalle apparenze delle “manine”. Udienze dove regna la legge del silenzio.
La minaccia è in continua evoluzione
Il “martellamento” dei punti dell’accordo non ha prosciugato l’offerta e ancor meno pacificato i quartieri dove le lotte territoriali hanno mietuto più di settanta vittime dall’inizio dell’anno. Una situazione denunciata in un
articolo su Le Monde da una cinquantina di sindaci, giovedì 21 settembre, che chiedevano un “piano nazionale ed europeo contro il traffico di droga” in particolare “generalizzando le indagini sul patrimonio” senza trascurare gli aspetti sanitari, in termini di prevenzione e cura.
Questa richiesta di una risposta ambiziosa e globale è sensata, mentre l’impiego del
CRS 8 come risposta immediata alla violenza legata alla tratta e l’annuncio della creazione di una nuova unità investigativa specializzata stentano a convincere gli investigatori sul campo.
La minaccia è in continua evoluzione perché, come le aziende innovative, i gruppi criminali sono stati in grado di cogliere la rivoluzione digitale, sviluppare offerte multiprodotto e stabilire partnership con fornitori e intermediari stranieri (“intermediari”). Per destabilizzare un tale nemico, le politiche pubbliche devono tenere conto dei diversi livelli dello “spettro” criminale.
Al vertice, in primo luogo, migliorando la cooperazione di polizia e giudiziaria con i paesi in cui i leader delle reti vivono al riparo dalla violenza, come affittuari della criminalità. Poi, investendo in indagini a lungo termine contro le organizzazioni francesi pronte a salire di fascia alta e a scatenare la violenza: questo “centro dello spettro”, fondamentale nella distribuzione. Comprendendo infine che, in fondo alla scala, la precarietà economica e sociale accelera anche l’avvio di “carriere” nello spaccio. È offrendo progetti alternativi, altri orizzonti, che questo esercito di riserva adolescente potrà allontanarsi da un lavoro in cui rischiano la vita ad ogni “turno”.
Perché lo sradicamento delle reti illecite richiede anche una politica sociale mirata al benessere quotidiano degli abitanti dei quartieri dove viene organizzato lo spaccio di droga. Le vittime “collaterali” della sparatoria ce lo ricordano: il problema della lotta al narcotraffico va oltre la cerchia degli addetti ai lavori, degli spacciatori e dei clienti. Colpisce sia le città che le campagne. La società nel suo complesso.
Il tabù della legalizzazione
Ma l’influenza dei gruppi criminali organizzati va oltre. Lo ha ricordato la procura di Parigi, nel novembre 2022, su Le Monde: “Il livello della minaccia è tale che si rilevano rischi di destabilizzazione del nostro Stato di diritto", ha affermato Laure Beccuau, preoccupata dai recenti sviluppi in Belgio e nei Paesi Bassi. Appare fondamentale intensificare la lotta al riciclaggio e alla criminalità finanziaria. Così come si prendono di mira anche i “colletti bianchi”, questi facilitatori, questi prestanome, questi complici annidati nelle amministrazioni, essenziali per la perpetuazione del traffico di droga.
I resoconti dei servizi segreti lo sottolineano: la Francia occupa un posto speciale nella geografia del narcotraffico. Una posizione strategica, come paese di transito, nel cuore dell'Europa occidentale... Ma anche uno dei mercati più grandi del continente, con 600.000 consumatori di cocaina e 5 milioni di consumatori di cannabis.
Mettere in discussione la politica sulla cannabis oggi sembra un tabù. Non è stato questo il caso del candidato Emmanuel Macron il 4 settembre 2016, quando annunciò, su France Inter, che “la legalizzazione ha una forma di efficacia”.
Prima di cambiare idea una volta eletto. Né la letteratura scientifica né gli esempi stranieri (Canada, Portogallo, Germania adesso, ecc.) inducono a riflettere su nuovi approcci.
Un rapporto parlamentare transpartisan, presentato nel 2021, ha chiesto l’apertura di un dibattito pubblico su un “modello francese di legislazione regolamentata”. Un rapporto motivato del Consiglio economico, sociale e ambientale è proseguito in questa direzione all’inizio del 2023. Entrambi sono rimasti nei cassetti.
Al di là di questo ritardo, la portata delle sfide future rende urgente l’istituzione di una dottrina rinnovata. Soprattutto di fronte all'arrivo sul mercato di nuove sostanze sintetiche dai potenti effetti letali. Mezzo secolo dopo la dichiarazione di “guerra” di Richard Nixon, gli Stati Uniti non sono oggi in grado di difendersi dalla crisi degli oppioidi (circa 120.000 morti per overdose previsti nel 2023). Se non vuole affondare a sua volta, la Francia deve urgentemente ripensare una strategia che oggi simboleggia la sconfitta.
(Thomas Saintourens su Le Monde del 25/09/2023)
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