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Mondo/Afghanistan. I taleban senza oppio non esistono
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Articolo di Vincenzo Donvito
23 settembre 2001 20:16
 
La dichiarazione di guerra del presidente Usa George W.Bush ha sicuramente risvolti non secondari nel traffico mondiale delle droghe illegali. Sia perche' vede la concentrazione di risorse e attenzione verso obiettivi piu' urgenti per gli Usa, sia perche' il produttore di oppio per eccellenza, l'Afghanistan, e' al centro delle attenzioni americane.
Sulla distrazione delle risorse sono molto preoccupati i Paesi del Sud America, dove l'impegno Usa, in persone e denaro, con i vari "Plan" e' spesso l'unica speranza a cui i governi sudamericani fanno riferimento; anche se sulla specificita' di questi aiuti si stanno stracciando come minimo quell'unita' interna del Paese che potrebbe servire a dargli una serenita' indispensabile a meglio affrontare le difficolta': valgano gli esempi delle guerriglie colombiane (Farc in testa) e dei campesinos boliviani organizzati con Evo Morales, nonche' il rispuntare di Sendero Luminoso in Peru'.
Il produttore per eccellenza, l'Afghanistan, e' tale grazie a 4.600 tonnellate di oppio prodotte nel 1999, che gli hanno conferito una percentuale del 79% nella produzione complessiva mondiale. Su un territorio coltivato di 91 mila ettari ad hoc, l'Afghanistan ha ricavato qualcosa come 251 milioni di Usd; che non e' una quantita' modesta, poiche' stiamo parlando del prodotto puro, prima della sua trasformazione per essere venduto al dettaglio nel mercato nero in Europa e Usa (200 grammi di eroina pura, una volta tagliata, vale 4,5 milioni di Usd).
Gli impegni internazionali dei governi Taleban per vietare coltivazione e produzione sono noti (l'anno scorso, grazie a sanzioni Onu, hanno dovuto ridurre la coltivazione del 10% e la produzione del 28%), e l'ufficio Onu gestito da Pino Arlacchi si fa un vanto dei suoi successi in zona (pur se tutti da dimostrare). Ma non e' un mistero che la droga sia una fonte continua di denaro per tutto il Paese, anche in considerazione del fatto, per esempio, che grava un imposta del 10 e 20% sulla coltivazione, trasporto ed esportazione dell'oppio. E non ci sono tanti scrupoli in un Paese che non ha un sistema bancario, che dopo la ritirata dei russi nel 1989 contava piu' di un milione di morti, con la meta' della popolazione bombardata e un terzo delle mine abbandonate dove erano state sistemate, nonche' una produzione alimentare che era scesa del 66%. Tant'e' che i taleban, quando andarono al potere nel 1996, vietarono si' la coltivazione di hashish, la droga tradizionale degli afghani, e ne perseguirono il consumo, ma permisero la coltivazione dell'oppio. "Lo consumano i kafir (i non credenti) dell'Occidente, e non gli afghani e i mussulmani" -ricorda Ahmed Raschid, giornalista pakistano esperto sulle questioni di Kabul, scrivendolo nella rivista "Foreign Affaires".
E se la coltivazione dell'oppio e' poi stata vietata nel luglio del 2000, lo si deve esclusivamente al fatto che i giovani afghani tossicodipendenti che si iniettavano la droga cominciavano ad aumentare vertiginosamente, e se i pericoli sanitari di una droga iniettata (rispetto a quella fumata) sono spaventosi in una situazione di disequilibrio sanitario come quello afghano, c'e' anche da ricordare che i minori di 18 anni rappresentano piu' della meta' della popolazione. E, stante la situazione, da vietare a debellare ci passa un bel po', per cui, le parole di François Margolin nel suo libro "L'opium des taliban" sembrano quantomai di attualita': "la lotta contro la droga dei taleban sono solo parole". Margolin, in questo libro ha fatto un ampio reportage della sua esperienza di cinque settimane, lo scorso anno, vissute in Afghanistan, in cui ha visto di tutto, alla luce del sole, rispetto a produzione, raffinazione e trasporto di oppio.
 
 
 
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