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Italia. Dal ricovero coatto alle carceri private?
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Articolo di Massimo Lensi
11 giugno 2002 19:55
 
La proposta di "ricovero coatto" per giovani tossicodipendenti particolarmente pericolosi e violenti (per se' e per la comunita') e' stata bollata da molti operatori del settore privato sociale (no profit) con il vecchio slogan "Just Say No". L'ipotesi di recente resa pubblica dal Presidente del Coordinamento Nazionale Antidroga, Pietro Soggiu, e' stata interpretata come un vero e proprio Cavallo di Troia, con lo scopo di definire in tempi brevi progetti governativi di privatizzazione del settore carcerario italiano. Nel nostro Paese sono più di cinquantamila i detenuti, senza contare i centri di detenzione per immigrati, e circa 800 i miliardi di vecchie lire destinati all'investimento edilizio, con 22 carceri ancora da costruire. Lo stesso Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso dell'incontro con il Presidente del Cile Ricardo Lagos, ha dichiarato che il Governo "guarda alle tante cose positive realizzate in Cile. Ad esempio la privatizzazione del sistema carcerario".

La materia e' di difficile soluzione. Per rispondere alla domanda si dovrebbe necessariamente verificare se negli altri Paesi, soprattutto anglosassoni (Usa, Gran Bretagna, Australia) il sistema sia stato in grado di dare risposte efficaci. Molti studi di settore si soffermano sui punti chiave delle esperienze in corso: credibilita' del sistema, risparmio di denaro pubblico, miglioramento o peggioramento delle condizioni di vita e dei programmi di riabilitazione per i detenuti. La difficolta' poi di comparare sistemi sociali e penali differenti finisce per ingarbugliare la gia' intricata matassa. Se e' vero che negli USA (145 istituti di pena gestiti privatamente, con una popolazione carceraria di 77mila reclusi) la regola del "three strikes and you are out" sembra paradossalmente preoccuparsi piu' di arrestare che riabilitare (la relazione statistica degli americani che hanno subito un arresto e' di uno a quattro) e' altrettanto vero che per contrastare un progetto in tal senso tutto italiano e' necessario il dialogo tra le parti.

Il Ministero degli Interni britannico ha pubblicato una interessante "Ricerca sui costi e attivita' delle prigioni private e quelle pubbliche nel periodo 1998/1999" in cui si dimostra che "in media le prigioni gestite privatamente hanno offerto un risparmio sul costo gestionale del 13% per quanto riguarda il rapporto costo/detenuto". Certo, ma lo stesso rapporto, prendendo in considerazione le misurazioni per posti certificati (numero totale di posti che la prigione e' autorizzata a fornire) e posti disponibili (numero totale di posti, esclusi quelli temporalmente indisponibili) dimostra altresi' che le "prigioni gestite privatamente sono state 2-3% piu' costose di quelle pubbliche". Negli USA la situazione sembra essere peggiore di quella britannica, tanto da spingere alcuni settori dell'opinione pubblica a chiedere al Presidente Bush di "uscire dall'industria del carcere".

Ripetiamo pero' che paragonare tra loro sistemi differenti e' sport faticoso e poco entusiasmante, privo come e' del necessario contesto di analisi sui dati nazionali. Ma se proprio dovessimo scegliere, in base a fattori di analogia, quella inglese ci sembrerebbe la migliore tra le soluzioni possibili: il settore privato fornisce i servizi logistici e quelli relativi al finanziamento e alla costruzione di nuove prigioni, mentre il ruolo di vigilanza e custodia rimane saldamente nelle mani dello Stato. Ma la principale obiezione che vorremo sommessamente muovere al Presidente Soggiu e' tuttavia semplice: perche' proprio i tossicodipendenti? E chi stabilirebbe la singola pericolosita' sociale, per se' e per gli altri? Con quali criteri? E soprattutto con quali finanziamenti strutturali (pubblici) si giungerebbe a siglare le convenzioni con i privati? Non vorremmo aprire maliziose parentesi, ma vorremmo oltremodo che se ne parlasse e che si dialogasse. E che prima di giungere allo scontato scontro parlamentare si potesse leggere di proposte e di controproposte. Sara' possibile?
 
 
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