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Italia. La cannabis terapeutica e la sentenza della magistratura di Paola
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Articolo di Massimo Lensi
10 maggio 2002 17:42
 
Tra una dichiarazione del solito ministro Sirchia, paladino dell'oppio terapeutico e dei suoi derivati, ed un'altra dell'incorruttibile Storace che proprio no, lui la cannabis nel Lazio non la vuole, spunta una coraggiosa sentenza. Ieri il Tribunale di Paola, sezione di Scalea, ha assolto Roberto Frangella dalla pesante accusa di spaccio. Il "fatto non sussiste", cosi' ha sentenziato il giudice. Non sussiste il fatto di tenere in casa alcuni barattoli contenenti foglie essiccate di marijuana e di coltivarne in vaso una decina di piantine. Il signor Frangella e' ammalato e con la cannabis si e' curato, cosi' come hanno fatto per intere generazioni i membri della sua famiglia e chissa' quante altre persone nell'assolata Calabria, dove coltivare piantine di canapa indiana e' antica tradizione. Il giudice ha ritenuto il possesso "plausibile e legittimo".

Forse e' ancora presto per riflettere con proprieta' su questo episodio. Per esempio, quasi nelle stesse ore, il Tribunale di Bolzano, in forma patteggiata, ha condannato una donna affetta da asma a due mesi e venti giorni di reclusione per il possesso di dieci piantine, da lei utilizzate per la cura. E mancano della sentenza del Tribunale di Paola le motivazioni per poter affermare, con proposizione pur inesatta, che questa sentenza " fara' giurisprudenza". Prudenza per l'appunto, ma una prima considerazione mi azzarderei ad elaborarla. Non si sa se la coppia di termini utilizzata dal giudice avra' valore generale oppure particolare, relativa solo al caso in giudizio, ma e' certo che di fronte all'assoluta divisione di campo che la politica nazionale sta esprimendo, la magistratura, in questo caso quella di Paola, si e' posta il problema della scelta individuale, tradizionale finche' si vuole, ma comunque consapevole, di un individuo di fronte alla malattia, alla sua malattia. E ha utilizzato la formula: il fatto non sussiste. Non e' la prima volta che un giudice si erge a portavoce di interessi individuali, del tutto estranei invece al dibattito politico, dove le fazioni in gioco non hanno interesse ad informare il cittadino sulle variabili mediche e curative di questo o quell'altro utilizzo della cannabis - se per questo neppure degli oppiacei -, ma si contrappongono in un a volte proditorio referendum sul governo (con l'unica eccezione dei promotori della mozione approvata di recente dalla regione Lombardia). Si e' oggi a favore dell'utilizzo medico della cannabis se si e' contro il governo e viceversa, a tutto scapito di una informazione precisa e puntuale sul prodotto. Una specie di stupido "girotondo" sulle pelle di chi soffre.

Il giudice di Scalea, forse inconsapevolmente, ha fatto informazione, di natura scientifica, e molto precisa anche: il possesso di cannabis per curare la uveite - una leggera forma di glaucoma agli occhi - e i remautismi e' plausibile e legittimo. Un po' come succede nella farmacia del Vaticano dove i colliri a base di marijuana sono in vendita da tanti anni.
 
 
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