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Giappone. Giovani tossicodipendenti: un costume sociale?
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Articolo di Benedetta Marziali
25 febbraio 2002 19:19
 
Siamo a quota 20.000, arresti e sequestri (2.000 chili nel 2000) sono all'ordine del giorno, in un Paese che fino alla meta' anni '90 non conosceva quasi l'uso di droghe stimolanti; secondo quanto dichiarato dalle autorita' nipponiche.
Per gli esperti sono quattro i motivi principali che sottostanno alla crescita dell'offerta:
- il solido approvvigionamento assicurato dalla Corea del Nord e dalla Cina;
- una rete di traffici che puo' contare su numerosi stranieri, pronti a battere la strade per soddisfare l'offerta;
- la sensibile diminuzione dei prezzi, permessa dagli enormi flussi di droghe in entrata nel mercato;
- un sempre crescente numero di giovani che entra in contatto con le sostanze senza avere un'adeguata conoscenza dei prodotti.
Le ragioni del successo degli stupefacenti in Giappone non spiegherebbero, pero', la peculiarita', attribuita dagli esperti ai giovani nipponici, di non sapere come rifiutare le droghe. Il fatidico just say 'no' risulta particolarmente ostico da accettare, in quanto non conforme al costume -e alla lingua- giapponesi, che impongono di non pronunciare un diniego. Un affronto rifiutare un'offerta. Su questa scorta il Paese marcia dalla fine della seconda guerra mondiale, cavalcando l'onda delle motivazioni socioculturali: i giovani nei riformatori non hanno accesso ad alcun trattamento medico, ma ricevono lezioni su regole sociali antidroga da seguire nella vita di tutti giorni.
Il primo "strappo" alla legge e' stato permesso dal caso di una ragazza di 17 anni, tossicodipendente cronica, per la quale il suo avvocato ha richiesto che fosse sottoposta a trattamenti medici prima di dover affrontare il riformatorio, segnando, pionieristicamente, il primo caso esplicitamente accettato dalla corte.
 
 
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