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Francia. I traffici di un deputato del Camerun: la Waterloo del diritto
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Articolo di Vincenzo Donvito
10 febbraio 2002 20:20
 
Se qualcuno avesse visto un film con questa trama, probabilmente avrebbe stimato che talvolta la fantasia dovrebbe limitarsi, altrimenti la mancanza di attinenza con la realta' trasformerebbe la migliore pellicola in prodotto di "bassa lega".
Non stiamo parlando di un film da cassetta, dove i luoghi comuni sulla magistratura connivente o corrotta (dipende dal caso) vengono miscelati con episodi di terre lontane per renderli ancor piu' incredibili, ma di un fatto che e' successo a Parigi, la capitale della Francia, il Paese dove il semplice possesso di qualcosa che abbia lontanamente l'odore o la sembianza di droga illegale, viene alacremente punito (almeno stando ai codici scritti).
Raccontiamo i fatti.
Alla polizia giunge una segnalazione su un cliente di un albergo davanti alla "Gare de l'Est" della capitale. Si tratta di un negro, arrivato in Francia qualche giorno prima, che ha cercato di vendere una grossa quantita' di cannabis. Gli inquirenti conoscono la segnalazione, ma non l'identita'. Come si era arrivati a lui? Lo scorso 28 gennaio, a meta' pomeriggio, l'uomo e' stato fermato in boulevard de Magenta: sembrava che attendesse un compratore che non arrivava mai, guardandosi nervosamente intorno. Insospettiti da questo comportamento, i poliziotti decidono di controllare la sua identita'. In una delle sue tasche trovano un sacchetto con della cannabis. Una cosa abbastanza banale in quel quartiere. Ma, perquisendo la camera d'albergo, i poliziotti hanno una sorpresa dietro l'altra: due valige chiuse contengono 25 chili di erba; un passaporto diplomatico dimostra che l'uomo sospettato non e' uno spacciatore di basso livello. Si tratta in realta' di un deputato del Dipartimento di Bamboutos, nella parte ovest del Camerun; ed e' membro del piu' importante partito di opposizione, il Fronte Socialdemocratico.
Messo in stato di fermo, durante la detenzione il deputato non fa mistero delle sue motivazioni politiche: ha bisogno di denaro per mantenere le sue promesse elettorali. La droga avrebbe potuto fruttargli fino a 76.000 euro. Il tempo stringe: le elezioni legislative si terranno a maggio. Il nostro deputato giura che e' la prima volta che fa una cosa del genere, benche' il suo passaporto ha numerose tracce di viaggi tra Douala e Parigi durante il 2001. Il giorno dopo del suo arresto, l'uomo e' deferito alla Procura della Repubblica di Parigi.
Ma il fatto e' cosi' eclatante, che non sara' perseguito: la procedura e' stata puramente e semplicemente annullata. Grazie ad una stretta interpretazione del codice di procedura penale, i magistrati hanno ritenuto che una "semplice informazione" non e' sufficiente a motivare un controllo d'identita'. Nel frattempo non e' stata constata alcuna flagranza di reato, poiche' non c'e' stata vendita di droga. In base a questo ragionamento giuridico, i poliziotti non avrebbero avuto motivi per intervenire, per cui sarebbe stato impossibile trovare l'erba. Il deputato e' quindi tornato libero, lasciando il palazzo di giustizia. Restano, perlomeno, i 25 chilogrammi di cannabis confiscati.
E' un fatto che si commenta da se', con la premessa che abbiamo voluto dargli per inquadrarlo nell'ambito dell'assurdo che si materializza e che entra, come un film, nella nostra quotidianita'.
A noi italiani, che abbiamo piu' dimestichezza con i codici vaticani, ricorda molto i ragionamenti che la Sacra Rota fa quando, in alcuni casi, decide di annullare un matrimonio: siccome non c'erano i presupposti perche' quello specifico matrimonio avesse ragion d'essere, lo stesso non esiste, e sui documenti d'identita' di chi era sposato, alla voce "stato civile", ricompare "magicamente" la dizione di celibe o nubile: un tipico ragionamento da giurisprudenza ecclesiale (la negazione dell'esistenza di cio' che e' stato, perche' non conforme al codice di comportamento della dottrina religiosa), di cui lo Stato "laico" ne riconosce gli effetti. Cosi' e' per il nostro deputato del Camerun: non c'erano motivi per fermarlo, per cui se il fermo ha portato alla scoperta di qualcosa, pur se illecito, questo qualcosa non e' esistito. Solo che qui non si tratta di un tribunale ecclesiastico, ma di un tribunale di una delle maggiori potenze a-confessionali del mondo e dell'Europa, che ha dato al mondo fiumi di letteratura, giurisprudenza e storie di liberta' che hanno plasmato il pensiero contemporaneo, anche il piu' ardito e liberatorio.
Comprendiamo il presumibile imbarazzo dei giudici che hanno dovuto arrampicarsi su un filo di luce per emettere questo giudizio, e chissa' quali pressioni hanno avuto per farlo. Ma la sentenza rimane, e grida vendetta accanto a quella dell'ultimo piccolo spacciatore messo in galera perche', sempre in boulevard de Magenta a Parigi, e' stato "cuccato" con l'erba che vendeva allo studente di passaggio.
C'e' chi lo chiamerebbe "guasti del proibizionismo", ma per noi e' solo una folle schifezza politico-giudiziaria, su cui il confronto elettorale presidenziale Jospin/Chirac non si pronuncia e si guarda bene dal farlo: la Francia ha trovata un'altra Waterloo, si chiama "leggi sulle droghe", e come la sconfitta napoleonica, non riguarda questa o quella parte del Paese, ma travolge tutta la tradizione di liberta' e di diritto che dice di avere e di voler utilizzare per migliorare il mondo.
 
 
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