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Colombia. Gabriel García Márquez: contro la violenza, legalizziamo le droghe
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Articolo di a cura di Donatella Poretti
19 maggio 2003 19:29
 
Lo scrittore colombiano Gabriel García Márquez, Nobel per la letteratura nel 1982, ritiene che la legalizzazione degli stupefacenti contribuirebbe a mettere fine alla violenza che dilania il suo Paese. Con un documento intitolato "La patria amata anche se distante" lo scrittore e' intervenuto per le celebrazioni dei 200 anni dell'Universita' statale di Antioquia. Il testo e' stato letto dallo stesso "Gabo" e trasmesso con un video messaggio da Citta' del Messico alla presenza di intellettuali, scienziati e del presidente colombiano Alvaro Uribe che si e' limitato a osservare che si tratta di "un tema molto controverso". Di seguito alcuni stralci.

"Non e' possibile immaginare la fine della violenza in Colombia senza l'eliminazione del narcotraffico, e non e' immaginabile la fine del narcotraffico senza la legalizzazione della droga, sempre piu' prospera ogni istante che passa in quanto piu' proibita" (.) Nel 2002 "circa quattrocentomila colombiani sono dovuti fuggire dalle loro case e dalle loro terre per colpa della violenza, come gia' lo avevano fatto quasi tre milioni per la stessa ragione da mezzo secolo" (.) "Questi desplazados (sfollati, ndr) sono l'embrione di un altro Paese alla deriva -tanto popoloso quanto Bogota' e forse piu' grande di Medellín- che deambula senza direzione in cerca di un luogo dove sopravvivere, senza altra ricchezza materiale che i vestiti che portano addosso" (.) "Il paradosso e' che questi fuggitivi da se stessi, continuano ad essere vittime di una violenza sostenuta da due degli affari piu' redditizi di questo mondo senza cuore: il narcotraffico e la vendita illegale di armi" (.) Gli sfollati sono sintomi di un mare che "asfissia la Colombia. Due Paesi in uno, non solo diversi ma contrari, in un mercato nero colossale che sostiene il commercio delle droghe per far sognare gli Usa e l'Europa, e alla fin dei conti il mondo intero" (.) La Colombia e' da quaranta anni che convive con tutte le possibili alterazioni dell'ordine pubblico, una situazione che ha assorbito "piu' di una generazione di emarginati senza un modo di vivere diverso dalla sovversione o dalla delinquenza comune" (.) La situazione e' arrivata ad un punto che appena "ci permette di sopravvivere, mentre ci sono anime puerili che guardano verso gli Usa come ad un nord di salvezza, sicuri che nel nostro Paese si sono esauriti anche i sospiri per morire in pace".
 
 
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