testata ADUC
Brasile. Il rischio della "colombianizzazione", quando violenza e politica si mischiano
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Donatella Poretti
23 marzo 2003 19:34
 
Il rischio della "brasilianizzazione", e' il titolo di un articolo pubblicato oggi sul quotidiano brasiliano "O Estado de S.Paulo" nell'ambito di uno speciale "La Colombia e' qui?". Il dibattito sulla violenza che colpisce in questi giorni il Paese, e in particolare la citta' di Rio de Janeiro (dove il Carnevale si e' tenuto con i militari per strada per sorvegliare la sicurezza), ha portato ad una serie di riflessioni e di paragoni con quella che e' la situazione della vicina Colombia. L'ultimo avvenimento, l'uccisione del giudice Antonio José Machado Dias, ha fornito un'ulteriore termine di paragone, anche se i numeri sono di ben altra portata. In Colombia le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) hanno ucciso quattro candidati alla presidenza (mentre Ingrid Betancourt, candidata alle ultime presidenziali dell'anno scorso, e' ancora loro ostaggio da oltre un anno) e piu' di cento magistrati.
Ogni tre ore una persona viene sequestrata in Colombia, nel 2002 sono stati 2.986 i casi, ma dal 1996 il numero complessivo di questi reati arriva a 18.795, e piu' di 800 persone sono morte in cattivita', in nove casi su dieci il sequestro dura almeno 3 mesi. La fabbrica dei sequestri ha una unica spiegazione, la ricerca di fondi per finanziare i gruppi armati illegali del Paese, gruppi armati che sono ormai una cosa sola con il narcotraffico.
Un Paese in guerra civile da quarant'anni, e dove i protagonisti "politici" sono divenuti anche i protagonisti del narcotraffico. Quale migliore affare per un guerrigliero in cerca di fondi per acquistare armi e mantenere un esercito illegale che non quello del commercio delle droghe?

In Brasile il timore e' che ci si muova in direzione opposta, ovvero che il narcotraffico diventi un protagonista politico. Una sorta di Stato parallelo, con una sua gerarchia e organizzazione sociale. Anche se, forse, per certi versi si e' gia' realizzata praticamente nell'amministrazione delle favelas. La domanda ora e': il narcotraffico brasiliano vorra' contrapporsi anche politicamente allo Stato legale?
Il sociologo Túlio Kahn, sentito da "O Estado de S.Paulo" ritiene che "al contrario della Colombia, il crimine organizzato nel Paese non ha pretese di potere. La', loro impongono la legge, riscuotono le tasse dalla popolazione e funzionano come uno Stato parallelo". Kahn, che e' anche direttore del Dipartimento di Cooperazione e Articolazione delle Azioni della Segreteria Nazionale di Pubblica Sicurezza, ritiene che la criminalita' brasiliana trova una sua spiegazione a partire dalle diseguaglianze sociali. "E' molto piu' facile risolvere il nostro problema, visto che non c'e' una istituzionalizzazione del crimine", mentre per Kahn esiste un elevato rischio che il modello brasiliano venga esportato nei Paesi vicini.
Anche per il professore di sociologia dell'Universita' dello Stato di Rio de Janeiro (Uerj), Ignácio Cano, non esiste questo rischio: "per ora" il crimine organizzato in Brasile non ha una agenda politica. Per Cano anche il collegamento tra le Farc e il narcotrafficante Fernandinho Beira-Mar, non e' troppo importante. Fernandinho "manteneva relazioni perche' era un grande fornitore, non perche' aveva un progetto politico. (.) Il caso della Colombia e' ancora molto lontano. Quello e' un Paese che ha una lunga tradizione di violenza politica, dove l'obiettivo della guerriglia e' di prendere il potere. In Brasile, il crimine cerca il profitto".

A sostegno della tesi della "colombianizzazione" del Paese e' invece il deputato federale carioca Antonio Carlos Biscaia del Partito dei Lavoratori. Per lui l'uccisione del magistrato Machado Dias e' l'inizio di questo processo. Carlos Biscaia, che e' stato procuratore generale a Rio de Janeiro, ricorda: "quando mi domandavano quale era la differenza tra il Brasile e la Colombia, io rispondevo che qua la criminalita' ancora rispettava l'autorita'".
Un altro magistrato, Walter Maierovitch, dell'Istituto Falcone, compara la situazione attuale del Brasile a quella della Colombia negli anni 90, l'epoca dei Cartelli di Cali e di Medellin. Per Maierovitch la guerriglia colombiana serve da ispirazione per un "modello mafioso", adottato da gruppi come il Pcc (Primeiro Comando da Capital) e quello di Fernandinho Beira-Mar, il Cv (Comando Vermelho). "Per la paura le comunita' solidarizzano con i criminali".

In un altro quotidiano brasiliano "Jornal do Brasil" viene intervistato un prete colombiano Leonel Narvaez, e il paragone con la Colombia si ripete. "Rio mi ricorda la Medellin degli anni passati", esordisce il prete colombiano, e in merito alla chiusura dei negozi ordinata dal narcotraffico, commenta che "questo e' il primo sintomo della violenza organizzata dal traffico. E' solo l'inizio. Rio ha problemi gravi e ancora non ha visto il peggio. Il peggio arrivera' nel giro di qualche anno". Narvaez precisa la sua previsione: i tempi saranno rapidissimi e il primo passaggio sara' quello della diffusione della "cultura della narcomentalita': avere molto denaro in maniera veloce e ottenerlo in qualsiasi modo. Poi arriva la corruzione che colpisce il sistema Giudiziario, quello delle Forze Armate e quello della Politica. Rio e' un paradiso che incentiva queste pratiche". "Medellin era una citta' turistica adorata da tutti, tanto graziosa quanto Rio, fino a che il narcotraffico inizio' il suo potere. E' cominciata cosi' una tragedia".

Intervistando lo psicanalista Joel Birman, il quotidiano brasiliano "O Globo" si concentra sulla paura e sulle conseguenze di vivere in un continuo stato di paura: padri insicuri crescono figli fragili. E l'insicurezza, la paura della violenza, generano una iperprotezione che non e' salutare. Secondo Birman vanno si' adottate delle regole minime per evitare rischi inutili, ma "la paura paralizza". "La paura e' molto pericolosa. E' una strada che puo' portare a politiche totalitarie. Sotto paura si accetta di tutto, la pena di morte e tutto quello che alimenta la strategia della paura. Sentire paura rende un uomo fragile. Sono persone che in futuro potranno avere stati di panico o fobie sociali".
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS