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Brasile. "La guerra a Rio": se gli Usa non ci concedono la legalizzazione.
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Articolo di a cura di Donatella Poretti
9 marzo 2003 21:05
 
"La guerra a Rio", e' il titolo di un articolo pubblicato oggi sul quotidiano brasiliano "Jornal do Brasil" di Alfred Sirkis, segretario all'Urbanistica di Rio de Janeiro e gia' presidente del Partito Verde.
"Traffico di droghe e crimini violenti esistono in tutte le grandi citta' brasiliane, alcune con indici superiori a quelli di Rio, che ha delle zone con indici "belgi" e altre con indici "colombiani" in tema di omicidi. Cos'e' che rende la violenza tanto eccezionalmente grave? Il controllo territoriale di una gran parte delle 600 favelas delle citta' da parte delle bande armate, associate nei noti "commandos": una catena gerarchica alla cui testa ci sono i capi detenuti nei penitenziari di "massima sicurezza" e, piu' recentemente, attacchi indiscriminati contro gli autobus, il commercio e i passanti, con rivendicazioni che prefigurano un grado di azione proto-politica e una fase iniziale di narcoterrorismo che deve essere estirpato alla sua nascita".
Sirkis chiarisce che quando queste azioni vanno a minare e a minacciare le fondamenta dello Stato di diritto "e' guerra". Ecco perche' e' utile e viene giustificato l'utilizzo delle Forze Armate, che hanno presidiato le strade carioca per tutto il Carnevale, e che secondo le ultime notizie dovrebbero restare per altri sette giorni.
Sirkis spiega che dietro il rispetto dei "diritti umani" non possono nascondersi misure che favoriscono i capi del narcotraffico, che dalle carceri continuano a dirigere e comandare le loro bande, anche grazie ai loro avvocati.
Altra "grave peculiarita' carioca" e' quella che alcuni poliziotti sono al soldo del narcotraffico. Una prima soluzione potrebbe essere l'aumento dello stipendio e del numero di poliziotti, per ottenere in cambio una "dedizione completa". "Ma non illudiamoci -scrive Sirkis-, fino a che ci sara' il mercato ci sara' il traffico. Dato che, per imposizione nordamericana, la legalizzazione, capace di collassare la base economica dell'attivita' criminale riducendola ad una questione meramente di salute pubblica, non ha nessuna chance di venir presa in considerazione, dobbiamo -a breve e lungo termine- convivere con questo commercio molto lucrativo la cui regolamentazione e' data dalla violenza e dalla capacita' corruttrice, ed e' immenso. Nel frattempo, la situazione deve essere affrontata con i militari, la polizia e il sistema penitenziario. Drastici con le bande armate, con la distruzione della loro infrastruttura, compresa la delegittimazione e la contaminazione "culturale" nelle comunita', abbinandolo ad un lavoro sociale di piu' lungo termine sui giovani in situazioni di rischio. Grazie a politiche scolastiche, di sussidi e di impiego a tutti i livelli, si potrebbe far regredire il narcotraffico ad uno stadio in cui non minacci troppo la popolazione e le istituzioni, e privarlo dell'abbondante arsenale e del controllo territoriale che esercita nelle favelas. Questa, nelle attuali circostanze, sarebbe gia' una vittoria straordinaria".
 
 
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