Uso terapeutico della cannabis. Il rapporto della Camera dei Lord
Documento
1 gennaio 1991 15:44
dall'archivio dei "Quaderni di Fuoriluogo", editi dall'associazione Forum Droghe, http://www.fuoriluogo.it
INTRODUZIONE
In un suo recente articolo, Noam Chomsky definiva l'attuale margine di autonomia della Gran Bretagna rispetto agli Stati Uniti paragonabile a quello dell'Ucraina rispetto all'ex Unione Sovietica. Anche nel campo delle droghe, in effetti, Tony Blair, nel suo isterico furore proibizionista, sembra volersi distinguere come "più presidenzialista del presidente (americano)" e paladino, almeno in questo settore, del mercato il più nero possibile nel contesto, invece, di un mercato il più libero possibile nel settore di tutti gli altri beni ed, ahimè, servizi (vedi, ad es., i trasporti). Tanto più rilevante ed in controtendenza appare il pregevole studio sugli usi terapeutici della cannabis intrapreso e portato a compimento dalla Camera dei Lord inglese, tradizionalmente conservatrice e non certo incline a qualsiasi forma d'indulgenza verso le droghe etichettate come illecite. D'altra parte, un gran numero di esperti ed una crescente fetta di opinione pubblica internazionale reclama da tempo, soprattutto a partire dagli anni '90, la legalizzazione delle droghe attualmente confinate nell'illegalità, ed in particolare della cannabis. E ciò per vari motivi, tra i quali la loro utilizzazione in campo terapeutico, collaudata peraltro ormai da millenni, non è neppure il più rilevante: sempre più infatti emerge come motivazione principale della legalizzazione il suo immediato tradursi in fattore decisivo di riduzione del danno, inteso sia in senso biologico che sociale. Ma anche la motivazione "in positivo" della legalizzazione, ossia l'indiscutibile valore terapeutico di queste sostanze, ed in particolare della meno tossica fra di esse, la cannabis appunto, sta emergendo con una sua considerevole forza di persuasione, anche fra le frange più conservatrici della popolazione.
Il rapporto steso dalla Commissione, ispirato ad un sostanziale equilibrio fra le opposte argomentazioni, appare tener conto di queste pressioni e, nelle sue conclusioni, non manca in effetti di sottolineare la necessità di procedere ad una sia pur cauta revisione politico-legislativa, se non altro nel campo dell'impiego terapeutico della cannabis e dei suoi derivati. Da qui scaturisce il pressante invito alle autorità governative competenti ad adeguare, se non altro, la legislazione ad una realtà di fatto che nella pratica si va sempre più diffondendo. Una delle motivazioni principali, infatti, è proprio quella di non permettere che cadano in discredito leggi ormai anacronistiche che paradossalmente trasformano in reati penalmente perseguibili pratiche terapeutiche di scarsa se non nulla tossicità e di sospetta...efficacia!
Il rapporto, di cui qui presentiamo ampi stralci, dopo aver sinteticamente passato in rassegna nella parte iniziale la storia millenaria dell'uso della cannabis e le sue proprietà farmacologiche, illustra nei dettagli le sue virtù terapeutiche, e soprattutto la sua capacità di alleviare significativamente le sintomatologie, talora anche minacciose per la sopravvivenza come gli spasmi muscolari e l'anoressia ribelle agli altri trattamenti, che caratterizzano patologie gravi come l'AIDS o la sclerosi multipla. La parte conclusiva affronta poi i complessi problemi medico-legali connessi all'auspicata ricerca medica e tenta, sia pur faticosamente, di delineare un possibile percorso legislativo capace di superare la situazione d'impasse in cui essa versa attualmente.
Dalle pagine del rapporto, nonostante le sue conclusioni non appaiano dunque sfavorevoli ad una qualche forma di cauta legalizzazione della cannabis per uso terapeutico, emergono tuttavia alcuni elementi contraddittori, che a mio avviso meritano di essere messi in evidenza, proprio in quanto spia di una mentalità ancora largamente diffusa, improntata alla perdurante confusione fra i tre livelli biomedico, morale e legislativo, che in un'analisi corretta, obiettiva, "scientifica" insomma come pretende di essere, andrebbero tenuti invece rigorosamente distinti. Varie prese di posizione riportate nel rapporto risentono infatti in maniera abbastanza trasparente di questa mentalità moralista e rigidamente legalitaria, che rasenta il ridicolo quando, pur mantenendosi sempre su un piano astrattamente teorico, colpevolizza il piacere eventualmente connesso all'assunzione della cannabis e mette su un piatto della bilancia la gravità e l'intensità della sofferenza da alleviare e sull'altro il "prezzo" da pagare in termini di un possibile, se pur effimero, senso di (colpevole) ebbrezza o "godimento" (intrinsecamente perverso?!). Ci si chiede se ancor oggi sia possibile che medici, condizionati, sia pur inconsapevolmente, da pregiudizi moralistici, debbano essere liberi, non già di pensare che il piacere è un peccato, che la sofferenza fisica eleva lo spirito ed aiuta ad espiare le proprie colpe e che quindi sia sbagliato annullarla o forse anche solo alleviarla, ma anche di imporre tali convinzioni ai propri pazienti senza alcun riguardo per le scelte morali, eventualmente discordanti, di questi ultimi. Questo "puritanesimo farmacologico" di operatori sanitari che, più che occuparsi del benessere psicofisico del paziente attenendosi scrupolosamente ai dati scientifici e prescindendo dai loro risvolti morali e legislativi, sembrano preoccuparsi della salvezza della sua anima, richiama alla mente la concezione "veteroreligiosa" del sesso come "triste necessità", da viversi idealmente in assenza di piacere - un'aberrazione cervellotica in stridente contrasto con quella realtà biologica evolutiva e con la conseguente selezione naturale, che hanno permesso la stessa sopravvivenza della nostra come delle altre specie.
In questa chiave di lettura mi sembrano potersi interpretare le sottili e prolisse disquisizioni politico-legislative e biomedico-filosofiche, condizionate e distorte alla radice dal dogma proibizionista - quasi che la legge "per magia" potesse influenzare gli effetti biologici dei farmaci -, su sostanze marchiate comunque dal pregiudizio (per gli altri medicinali, anche se gravati da seri effetti collaterali, non ci si chiede mai se siano moralmente prescrivibili!), nonché il conseguente balletto di proposte legislative di spostamenti dalla 1° alla 2° Tabella (e viceversa) a seconda delle Convenzioni nazionali ed internazionali ispirate alle varie visioni politiche, culturali e religiose prevalenti nella classe dirigente e nell'opinione pubblica dei momenti storici corrispondenti alla loro adozione ed entrata in vigore. E' anche esasperante, oltre che paradossale, il circolo vizioso che attanaglia tutto il rapporto, derivante dal rifiuto di legalizzare sostanze che non siano state preventivamente provate efficaci mediante sperimentazioni cliniche controllate, e l'impossibilità (o quanto meno l'enorme difficoltà) pratica di condurre sperimentazioni cliniche controllate su sostanze che non siano state preventivamente legalizzate.
Sia per i pazienti, che per gli utenti ed il pubblico in generale, sarebbe forse più utile, invece di essere obbligati a districarsi in questo confuso ginepraio bio-legal-moral-politico-emotivo legato ad un pregiudizio dogmatico che condiziona e distorce ideologicamente il discorso scientifico, poter scegliere liberamente e consapevolmente come rapportarsi o non rapportarsi a queste sostanze sulla base di un'informazione corretta, semplice, chiara e trasparente. Paolo Crocchiolo
Roma, ottobre 1999
CANNABIS: I DATI SCIENTIFICI E MEDICI
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
1.1 La cannabis è stata usata per migliaia di anni in medicina nei Paesi del Medio ed Estremo Oriente e per centinaia di anni a scopo voluttuario nel Vicino Oriente ed in India; per almeno due millenni, inoltre, è stata impiegata a scopi terapeutici, anche in Occidente. In Europa e Nord America, tuttavia, l'uso terapeutico della cannabis è andato scemando nel corso del nostro secolo, sia per la mancanza di preparazioni a dosi fisse dell'estratto della pianta, che per la variabilità del suo tasso di assorbimento per via orale, nonché per lo sviluppo di farmaci più potenti ed affidabili rivolti al trattamento delle patologie per le quali la cannabis stessa veniva usata.
1.2 Nel corso degli anni '60 e '70 di questo secolo si è assistito ad un notevole incremento del fumo della cannabis in Europa e negli Stati Uniti, laddove cioè tale modalità di assunzione era largamente sconosciuta. Il consumo voluttuario della cannabis è andato poi progressivamente aumentando negli anni più recenti, in particolare tra i giovani. Il suo uso terapeutico nel Regno Unito è stato vietato nel 1973; ciononostante, la cannabis oggi è la più diffusa delle droghe illegali.
1.3 Durante gli anni '80 e '90 si è assistito ad un rinnovato interesse per la potenziale utilizzazione terapeutica della cannabis e dei suoi derivati. Un consistente numero di pazienti affetti da svariate patologie ricorrono all'automedicazione illegale del prodotto e sono convinti di trarne beneficio, benché manchino tuttora dati scientifici conclusivi al riguardo. Ciò ha portato a rinnovati appelli per rendere disponibile la cannabis a scopi terapeutici.
1.4 In Gran Bretagna questo dibattito ha indotto numerosi comitati di esperti ad esaminare i dati medici e scientifici favorevoli o contrari a tale proposta. La British Medical Association (BMA) ha pubblicato un rapporto sull'argomento nel 1997 . Il Ministero della Sanità ha recentemente commissionato, su richiesta dell'Advisory Council on the Misuse of Drugs (ACMD), tre revisioni bibliografiche sulla cannabis, che noi abbiamo letto (dal 9 giugno erano disponibili nella Biblioteca della Camera dei Comuni) . Sono stati pubblicati, inoltre, rapporti sull'argomento del National Institute of Health degli Stati Uniti e dell'American Medical Association .
1.5 Alla luce di questo aumentato interesse per la cannabis, ed in particolare del rapporto della BMA, abbiamo deciso di esaminare i dati medici e scientifici allo scopo di valutare l'opportunità di allentare alcune delle attuali restrizioni riguardanti l'uso terapeutico della cannabis. Abbiamo anche valutato se il perpetuarsi della proibizione dell'uso ricreativo della stessa sia giustificabile in base ai dati scientifici sui suoi effetti collaterali in nostro possesso. L'uso ricreativo della cannabis investe anche altre problematiche oltre agli effetti collaterali della droga; tali problematiche, però, esulano dal nostro mandato che è quello di "rivolgere la nostra attenzione alla scienza ed alla tecnologia", e rientrano piuttosto nel campo della giurisdizione, della sociologia e persino della filosofia, e pertanto non le abbiamo prese in considerazione. Né abbiamo affrontato il problema se la cannabis rappresenti un punto di passaggio ovvero una tappa verso altre droghe più pericolose, ma ci siamo limitati rigorosamente a studiare la sola cannabis.
CAPITOLO 2: STORIA DELL'USO DELLA CANNABIS
2.1 Il più antico riferimento conosciuto alla cannabis è stato rinvenuto in certe tavolette assire del settimo secolo a.C., il che significa che questa sostanza è stata usata per almeno 2600 anni. Analogamente a molte altre erbe, essa è stata impiegata a scopi terapeutici per una vasta gamma di patologie, soprattutto in Asia e nel Medio Oriente. La moderata euforia che essa induce ne ha incoraggiato l'uso voluttuario, forse principalmente nei Paesi in cui l'Islam vietava il consumo di alcolici.
2.2 Nella farmacopea occidentale essa è citata per la prima volta nell'Erbario di Dioscoride, attorno al 60 d.C., ed in séguito in tutti gli erbari successivi. Nel XVI secolo si registra un notevole risveglio dell'interesse per la cannabis, con un fiorire di rapporti scritti su di essa e sulle sue indicazioni da una schiera di viaggiatori reduci dall'Oriente; nel frattempo raddoppia il numero dei possibili usi della canapa indicati negli erbari. In Inghilterra, l'erbario di John Gerard (1597) la raccomanda per "eliminare la flatulenza ed essiccare il seme" e cita Dioscoride che ne suggerisce l'uso per lenire il dolore dell'otite e per il trattamento dell'itterizia. Nicholas Culpeper, nel suo erbario (1653) dà le stesse indicazioni per l'uso dei semi della cannabis e raccomanda inoltre il decotto delle sue radici, in quanto esso "allevia le infiammazioni, riduce il male della gotta, i rigonfiamenti e i noduli articolari, il dolore delle anche..."
2.3 In questi ed altri vecchi erbari, ogni medicina veniva consigliata per usi molteplici, spesso in assenza di reali giustificazioni, e solo molto gradualmente si affermarono concezioni più critiche. Così, ancora nel 1788, il New Edinburgh Dispensatory elencava tre quarti delle voci di Dioscoride, benché escludesse la maggior parte dei prodotti di origine animale. Erano stati eliminati certi rimedi esotici come la "raschiatura di dente d'elefante", la "limatura di pareti di palestra" e, di particolare interesse per la cura della malaria quartana, "sette scarafaggi con carne e fagioli". L'esclusione dei prodotti animali e della maggior parte di quelli minerali fece sì che l'edizione del 1788 del New Dispensatory consistesse principalmente di rimedi erboristici. Per altri 150 anni ci furono pochi cambiamenti, e la Farmacopea Britannica del 1914 comprendeva ancora la maggior parte delle voci contenute nel volume del 1788. Ma la situazione era sul punto di cambiare radicalmente con l'avvento della chimica farmaceutica di sintesi.
2.4 Nel frattempo, nel 1833 Samuel Carey, nel suo Supplemento alla Farmacopea e Trattato di Farmacologia, suggeriva che la cannabis potesse essere usata per fare "una gradevole bevanda intossicante". Si tratta, almeno per quanto riguarda la Gran Bretagna, dell'unico riferimento alla cannabis quale sostanza voluttuaria giuntoci da quell'epoca.
2.5 La cannabis fu reintrodotta nella medicina britannica nel 1842 dal Dr. W O'Shaughnessy, un chirurgo dell'esercito che aveva svolto servizio in India. Nell'era vittoriana essa fu largamente usata per una gran varietà di malattie, tra cui gli spasmi muscolari, i dolori mestruali, i reumatismi, le convulsioni tetaniche, la rabbia e l'epilessia; fu anche impiegata per favorire le contrazioni uterine durante il parto e come sedativo ed ipnoinducente. Si dice che fosse usata dalla regina Vittoria contro i dolori mestruali, benché di ciò non esista una prova effettiva: è certo, però, che Sir Robert Russell, suo medico personale per tanti anni, scrisse molto sulla cannabis, raccomandandola in particolare per la dismenorrea. Non veniva aspirata con il fumo, bensì somministrata per bocca, generalmente sotto forma di tintura (estratto alcolico). Gli estratti di cannabis solevano anche essere incorporati in un gran numero di specialità medicinali.
2.6 "La gente in quell'epoca era ormai consapevole che (la cannabis) era un farmaco dagli effetti imprevedibili" (Edwards Q 26). L'avvento di una schiera di nuovi e migliori farmaci sintetici portò all'abbandono di molti vecchi rimedi erboristici, tra cui la cannabis. Così, nella Farmacopea Britannica del 1932, non meno di 400 rimedi erboristici erano stati omessi, tra cui la cannabis, l'estratto di cannabis e la tintura di cannabis - anche se tutti e tre rimanevano nel Codice Farmaceutico Britannico del 1949.
2.7 Fino al 1968, nel Regno Unito i medicinali (a parte quelli considerati pericolosi) erano sottoposti unicamente al controllo delle farmacopee, che recavano l'indicazione dei parametri di qualità relativi alla preparazione dei farmaci. Nel 1968, in séguito alla tragedia della talidomide, fu emanato il Medicines Act, che conferiva al governo il potere di concedere licenze ed autorizzazioni alle imprese farmaceutiche, ai singoli prodotti ed alle sperimentazioni cliniche. Esso istituiva anche la Commissione Medica ed il Comitato di Controllo sui Farmaci, con funzioni consultive nei confronti del governo. I farmaci già esistenti ottennero il "diritto di licenza". Attualmente, il potere di registrazione viene esercitato dalla Medicines Control Agency (MCA). Un medico può peraltro prescrivere un farmaco non registrato, ovvero un farmaco registrato per un'indicazione diversa (off-label), ma così facendo se ne assume tutte le responsabilità e rinuncia al beneficio della sorveglianza degli effetti collaterali che viene attuata nei confronti dei farmaci autorizzati mediante il sistema della yellow card.
2.8 L'abuso di droghe è oggetto di convenzioni internazionali dal 1912. Nel 1961 tali convenzioni furono codificate ed aggiornate dalla Convenzione Unica delle Nazioni Unite sui Narcotici. La cannabis e la resina di cannabis furono collocate nella tabella IV della lista, che autorizzava (ma non obbligava) le parti contraenti ad adottare "speciali misure di controllo" nei confronti delle sostanze ivi elencate, ed a bandirle del tutto "eccezion fatta per quantità che potrebbero essere necessarie unicamente a scopi di ricerca medica e scientifica, ivi comprese le sperimentazioni cliniche..." (Articolo 2.5). Secondo il Ministero degli Interni (p 150), ciò rifletteva "l'opinione dell'OMS che la droga era largamente soggetta ad abuso, non aveva valore terapeutico ed era obsoleta nella pratica medica". Nel quadro del Dangerous Drugs Act del 1964 (successivamente ratificato nel 1965), che faceva entrare in vigore la Convenzione nel Regno Unito, la cannabis poteva ancora essere prescritta, benché soggetta a determinate restrizioni. La tintura otteneva un "diritto di licenza" in base al Medicines Act del 1968; i medici dunque avevano ancora il diritto di prescriverla.
2.9 L'abuso della droga assunse proporzioni drammatiche nel corso degli anni '60. Nel 1971 l'ONU adottò un'ulteriore Convenzione sulle Sostanze Psicotrope, ed il Regno Unito nello stesso anno emanò il Misuse of Drugs Act, che richiamandosi alla legge del 1965 e ad altri decreti d'attuazione, li sostituiva con una regolamentazione al tempo stesso più completa e più elastica. Il cannabinolo e i suoi derivati, ivi incluso il THC (il composto che conferisce alla cannabis le sue proprietà psicoattive - vedi Capitolo 3) apparivano ora nella Tabella I della Convenzione, e le parti interessate erano quindi obbligate a bandirli "fatta eccezione per usi scientifici e, in misura assai limitata, medici, da parte di persone debitamente autorizzate" (Articolo 7(a)). Nel 1973 i diritti di licenza concessi nel 1968 vennero sottoposti a revisione, e le originarie Misuse of Drugs Regulations (SI 1973 N° 797) vennero emanate in base alla Legge del 1971. Il diritto di licenza della cannabis non fu rinnovato, ed i Regolamenti collocavano cannabis, resina di cannabis e cannabinolo e suoi derivati nella Tabella 4 - che oggi corrisponde alla Tabella 1 delle Misuse of Drugs Regulations del 1985 (al N° 2066) - vietando in tal modo del tutto il loro uso terapeutico.
2.10 Secondo l'MCA, nel 1973 non esistevano "dati sufficienti" a giustificare l'uso terapeutico della tintura (Q 174), ed essa era raramente prescritta, ad eccezione dei pazienti che erano già tossicodipendenti. Il 14 gennaio 1998 il Sottosegretario di Stato alla Sanità dichiarò alla Camera dei Comuni che "essa era usata di rado e, quando lo era, era usata principalmente per i suoi effetti sedativi. Allo stato attuale l'Organizzazione Mondiale della Sanità era del parere che la cannabis non fosse più efficace di qualsiasi altra medicina disponibile sul mercato, nel trattamento delle patologie per le quali essa era impiegata; pertanto, l'uso ne veniva sospeso". Secondo il Ministero della Sanità, sussisteva anche il rischio di un suo dirottamento verso un uso ricreativo mediante prescrizioni di comodo (Q 174).
CAPITOLO 3 : FARMACOLOGIA DELLA CANNABIS E DEI CANNABINOIDI
3.1 La pianta cannabis sativa è conosciuta anche sotto il nome di hashish ed è imparentata con l'ortica e il luppolo. Cresce di preferenza nei paesi caldi, ma attecchisce anche nelle regioni temperate. Come droga voluttuaria, generalmente prende la forma di cannabis erbacea (marijuana), che consiste nelle foglie e nelle corolle dei fiori essiccate, o nella resina di cannabis (hashish), che è la resina secreta da foglie e fiori, comprimibile in blocchi.
3.2 La famiglia degli alcaloidi chimicamente affini a 21 atomi di carbonio, detti cannabinoidi, è reperibile esclusivamente nella pianta di cannabis. Esistono più di 60 cannabinoidi diversi uno dall'altro; uno di questi, il D9-tetraidrocannabinolo (THC), è il più abbondante ed è responsabile delle proprietà intossicanti della cannabis. Altri cannabinoidi presenti in discreta quantità (ad es. il cannabidiolo e il cannabinolo) non sono psicoattivi, ma si ritiene che possano modulare gli effetti del THC. Le quantità e le percentuali relative dei vari cannabinoidi presenti in ogni pianta variano da ceppo a ceppo e possono essere modificate in coltura. Per singolare coincidenza, la chimica e la farmacologia della cannabis rappresentarono uno dei principali interessi del compianto Lord Todd, allorché era attivo all'Università di Manchester negli anni '30; sicché egli divenne, tra le altre cose, il primo Presidente del Comitato Scientifico e Tecnologico della Camera dei Lord all'epoca della sua fondazione nel 1979.
3.3 Il THC e gli altri cannabinoidi sono liposolubili, ma non idrosolubili, il che rappresenta un limite alla formulazione dei preparati di cannabis e cannabinoidi, oltre a rallentare il loro assorbimento intestinale. D'altra parte, quando si fuma la cannabis (con uno "spinello" o con la pipa), il THC passa molto rapidamente in circolo attraverso la superficie molto estesa rappresentata dal faringe e dai polmoni. Dopo la fumata, gli effetti psicotropi del THC sono percepibili già nel volgere di secondi e raggiungono un picco nel giro di alcuni minuti. Quando la cannabis o i cannabinoidi sono assunti per bocca, l'apice dell'effetto può non essere raggiunto per diverse ore, ma una volta verificatosi dura più a lungo. In séguito ad inalazione o ad ingestione orale, la droga persiste nel cervello più a lungo che nel sangue, cosicché gli effetti psicologici persistono per qualche tempo anche dopo che il livello di THC nel sangue ha cominciato a decrescere.
3.4 Il fumo di una sigaretta di cannabis rilascia in circolo oltre il 30% del THC totale. La percentuale di THC assorbita in séguito ad assunzione orale è di 2-3 volte inferiore, dato che, dopo essere stata assorbita attraverso l'intestino, la sostanza viene in gran parte metabolizzata dal fegato prima di raggiungere il grande circolo. Studi preliminari indicano che l'assorbimento in circolo può essere incrementato se il THC è somministrato per supposte rettali, poiché questa via di somministrazione rilascia la droga direttamente in circolo senza passare per il fegato.
3.5 Il THC, una volta entrato nel torrente circolatorio, si distribuisce in tutto il corpo e in particolar modo nel tessuto adiposo. Il lento rilascio del THC da quest'ultimo dà luogo a bassi livelli di droga nel sangue per vari giorni dopo l'assunzione di una singola dose, ma non ci sono prove che un qualsivoglia effetto farmacologico significativo persista per oltre 4-6 ore dopo inalazione o 6-8 ore dopo ingestione orale. La persistenza della droga nell'organismo e dei suoi metaboliti nelle urine può tuttavia tradursi in una positività per la cannabis delle analisi medico-legali perdurante per vari giorni o anche settimane a partire dall'ultima dose assunta. (Le implicazioni di ciò ai fini delle prove eseguite in strada sui conducenti sono considerate più oltre, al paragrafo 4.9).
3.6 Nelle parole del Professor Trevor Robbins, che parla a nome del Medical Research Council (MRC), "La farmacologia dei cannabinoidi è esplosa nell'ultimo decennio, aprendo tutta una serie di prospettive inedite e stimolanti" (Q 628). Una rassegna dei passi avanti compiuti è stata presentata a questo comitato dalla Royal Society e dal Dr. Roger Pertwee dell'Università di Aberdeen . E' ormai accertato che il THC interagisce con un sistema, detto cannabinoide, naturalmente presente nel corpo umano. Il THC produce i suoi effetti agendo sui recettori del sistema (vedi Riquadro 1). Sono stati identificati due tipi di recettore cannabinoide: il recettore CB1 ed il recettore CB2. I recettori CB1 sono presenti sui neurociti encefalici e spinali così come in certi tessuti periferici (i.e. tessuti extracerebrali); i recettori CB2 si trovano principalmente sulle cellule del sistema immunitario ma non nel cervello.
3.7 Resta da stabilire la funzione svolta dai recettori CB1 e CB2 nel determinismo dei vari effetti della cannabis nel complesso dell'organismo. Dagli animali da esperimento sappiamo che, tra gli effetti dei cannabinoidi mediati dai recettori CB1 vi sono l'alleviamento del dolore, alterazioni della memoria e del controllo dei movimenti, l'abbassamento della temperatura corporea e una riduzione dell'attività intestinale. Dato che i recettori CB1 sono, che si sappia, gli unici presenti nel sistema nervoso centrale, si ritiene che siano essi i responsabili degli effetti intossicanti del THC. Poco si sa invece sul ruolo fisiologico del recettore CB2, di più recente scoperta; esso sembra comunque coinvolto nella funzione di modulazione del sistema immunitario.
Riquadro 1: Farmacologia della cannabis - Terminologia
Come per molte altre droghe, gli effetti del THC si esplicano in base alla sua capacità di attivare speciali proteine dette recettori che si trovano sulla superficie di determinate cellule. La droga forma un legame specifico con queste proteine ed attiva una serie di processi all'interno delle cellule che inducono alterazioni dell'attività cellulare. Le droghe come il THC, capaci di "accendere" un recettore, sono dette agoniste rispetto a quel recettore; altre sostanze che si legano al recettore ma, invece di attivarlo, ne impediscono l'attivazione da parte degli agonisti, sono conosciute con il termine di antagonisti recettoriali.
Il termine cannabinoidi veniva usato originariamente per designare la famiglia delle sostanze chimiche naturalmente presenti nella cannabis, di cui il THC è il componente principale. Oggi, l'accezione dello stesso termine è estesa sino ad abbracciare tutte le sostanze in grado di attivare i recettori dei cannabinoidi, ovvero, sia i cannabinoidi naturalmente presenti nelle piante, che certe sostanze sintetiche (come il nabilone - vedi riquadro 4 più sotto) ed i cannabinoidi endogeni scoperti di recente (vedi al paragrafo 3.8 più in basso).
3.8 Un'altra importante scoperta recente è stata che l'organismo contiene composti naturalmente presenti ("endogeni") in grado di attivare i recettori per i cannabinoidi. I principali tra questi "cannabinoidi endogeni" sono i composti simil-lipidici arichidoniletanolamide ("anandamide") ed il 2-arichidonil-glicerolo (2-AG).
3.9 Queste scoperte hanno trasformato il carattere stesso della ricerca scientifica sulla cannabis, da un tentativo di chiarire i meccanismi d'azione di una sostanza psicotropa ad un'indagine su un sino ad allora sconosciuto sistema di controllo fisiologico operante nell'encefalo ed in altri organi. Benché il significato fisiologico di tale sistema permanga tuttora in gran parte oscuro, una delle azioni principali del THC e dei cannabinoidi endogeni sembra essere quella di regolare le quantità dei messaggeri chimici rilasciate dai neuroni cerebrali, modulando così l'attività del sistema nervoso centrale. La scoperta del sistema cannabinoide endogeno presenta delle implicazioni rilevanti sulla futura ricerca farmaceutica in quest'area. Alcune compagnie farmaceutiche hanno già sviluppato dei prodotti in grado di attivare (agonisti) o disattivare (antagonisti) selettivamente i recettori CB1 e CB2 (Lambert p 109 e Q 438; Pertwee Q 285). Gli agonisti del recettore CB2 potrebbero avere effetti benefici nella modulazione della risposta immune e non dovrebbero possedere alcuna proprietà psicotropa in quanto il recettore CB2 non è stato individuato nel sistema nervoso centrale. Si stanno studiando anche gli antagonisti del recettore CB1, sia come nuovi agenti terapeutici potenzialmente in grado di ridurre i deficit della memoria associati all'invecchiamento o a malattie neurologiche, che come nuovi trattamenti per la schizofrenia o altre psicosi e come anoressizzanti.
3.10 E' probabile comunque che la maggior parte delle indicazioni terapeutiche proposte ed attribuite presuntivamente alla cannabis, sia legata ad effetti della droga sui recettori CB1 del sistema nervoso centrale. Già negli anni '70 sono state compiute approfondite ricerche, sia da parte del mondo accademico che dell'industria farmaceutica, per sviluppare nuove molecole di cannabinoidi chimicamente modificate capaci di separare gli effetti terapeutici desiderati dalle proprietà psicoattive di queste sostanze; sino ad ora, però, tali ricerche sono rimaste senza esito.
3.11 Nel frattempo, le ricerche proseguono a pieno ritmo. Il Professor Patrick Wall del St. Tomas Hospital riferisce di un'"intensa attività" in questo campo "nelle università e nei laboratori farmaceutici"; "un gran numero di cannabinoidi vengono sintetizzati ed analizzati, particolarmente dalle compagnie statunitensi" (p 31); "Viviamo in un'epoca di grandi cambiamenti" (Q 101, cfr. Q 125, Pertwee QQ 281-298 e Notcutt Q 411). Secondo il Dr. Lambert, "l'industria farmaceutica ha messo ormai a disposizione del ricercatore una vasta gamma di strumenti atti a sperimentare il sistema cannabinoide" .
3.12 Dati recenti da studi animali rivelano che, in comune con varie droghe di "addizione" (eroina, cocaina, nicotina e anfetamine), il THC provoca la liberazione del messaggero chimico dopamina in determinate regioni del cervello dei ratti (Pertwee Q 311, Wall Q 126). Ciò è considerato importante, in quanto si ritiene che tale modalità di secrezione della dopamina sia legata alle proprietà gratificanti di queste droghe e quindi anche alle loro capacità d'indurre dipendenza.
3.13 Altre recenti scoperte scientifiche indicano la presenza di una connessione fra il sistema cannabinoide dell'encefalo ed il sistema oppiaceo presente in natura . La capacità del THC di provocare la liberazione di dopamina nel cervello del ratto può essere bloccata dalla previa somministrazione di naloxone, una droga che abolisce selettivamente gli effetti degli oppiacei a livello encefalico. Questo suggerisce che alcuni degli effetti psicotropi del THC e di altri cannabinoidi possano essere indirettamente mediati dalla loro capacità di attivare il sistema oppiaceo (Pertwee Q 311). Studi recenti hanno dimostrato anche che la somministrazione di THC agli animali potenzia gli effetti antidolorifici della morfina e degli oppiacei ad essa affini. Inoltre, la somministrazione di naloxone (l'antagonista degli oppiacei) ad animali preventivamente e ripetutamente trattati con un cannabinoide ha evidenziato segni fisici di astinenza; viceversa, la somministrazione di un antagonista dei cannabinoidi ad animali già eroino-dipendenti ha provocato alcuni sintomi (ma non tutti) di astinenza da oppiacei (vedi appendice 4, paragrafo 8). D'altra parte, anche se alcune delle azioni del THC possono indurre l'attivazione del sistema oppiaceo, il THC non mima gli effetti della morfina o dell'eroina, né nell'animale da esperimento, né nell'esperienza soggettiva delle persone che lo assumono.
3.14 Questi dati del tutto recenti potrebbero, o potrebbero non, essere rilevanti ai fini del dibattito se la cannabis induca dipendenza fisica.
CAPITOLO 5:
USO TERAPEUTICO DELLA CANNABIS E DEI CANNABINOIDI: REVISIONE DEI DATI
5.1 La nostra ricerca è stata motivata principalmente dalle richieste, oggi sempre più pressanti, di una modifica dell'attuale legislazione nel senso di permettere l'uso terapeutico della cannabis, nonché di estenderlo per i cannabinoidi. Il presente capitolo esamina i dati che ci sono stati forniti riguardo gli usi terapeutici della cannabis e dei cannabinoidi, comprendendovi sia quelli correntemente impiegati che quelli proposti. E' importante operare una distinzione fra le diverse sostanze e preparazioni; ad esempio, la foglia dev'essere distinta dall'estratto di cannabis, e la cannabis intera dal THC. E' altresì importante, anche se non sempre agevole, distinguere le possibili modalità di somministrazione, ad es. mediante fumo o per ingestione orale.
Lo stato attuale dell'uso terapeutico della cannabis
5.2 Attualmente, l'uso terapeutico della cannabis nel Regno Unito è illegale (vedi riquadro 3), ma, ciononostante, abbastanza diffuso. Secondo il rapporto della BMA, "molti cittadini altrimenti rispettosi delle leggi vigenti - probabilmente varie migliaia" fanno uso terapeutico della cannabis al di fuori della legalità, per lo più fumandola, ma taluni anche assumendola per os. La UK Alliance for Cannabis Therapeutics (ACT) è a conoscenza di 200 cittadini del Regno Unito che hanno assunto cannabis per la sclerosi multipla (MS) (p 29); di questi, 53 hanno partecipato ad un recente studio sulla percezione degli effetti del fumo della sostanza (18) (Q 262). Scrive al proposito Clare Hodges: "E' impossibile sapere quante persone affette da MS usino la cannabis ... E' mia impressione, comunque, che la maggioranza di esse non la usi". Un'indagine condotta dalla Società per la Sclerosi Multipla ha evidenziato una percentuale vicina all'uno per cento; tuttavia, la Società ritiene trattarsi di una stima per difetto (Q 341).
RIQUADRO 3: ATTUALI CONTROLLI LEGALI
La regolamentazione della cannabis nel Regno Unito, in base al Misuse of Drugs Act del 1971, è alquanto complessa. La Tabella 2 del documento colloca nella classe B delle droghe soggette a controllo la stessa cannabis, oltre alla resina di cannabis e nella classe A il cannabinoide cannabinolo e i suoi derivati (definiti come THC e suoi omologhi alchilati in posizione 3). I reati relativi alle droghe di classe A comportano punizioni più severe. In base alla legge in questione, costituisce reato importare, esportare, produrre, fornire o possedere droghe soggette a controllo (benché non sia reato usarle); è reato anche coltivare piante di canapa, e persino concedere l'uso di locali per fumare cannabis.
Si fa spesso riferimento in questo contesto alla "Tabella 1 e Tabella 2". Si tratta di Tabelle facenti parte, non del Misuse of Drugs Act stesso, bensì delle Misuse of Drugs Regulations del 1985 (N° 2066), emanate in base al precedente. Le Tabelle da 2 a 5 comprendono droghe cui si applicano varie esenzioni; in particolare, le droghe della Tabella 2 possono essere somministrate o prescritte da un medico o un dentista (regolamento n.7), possono essere prodotte da un medico o un farmacista (regolamento n.8), possono essere fornite (regolamento n. 8) o possedute (regolamento n. 10) da varie classi di persone, tra cui medici, farmacisti e direttori di laboratori, e possono essere possedute da pazienti (regolamento n. 10). La Tabella 1 comprende invece le droghe cui non si applicano le esenzioni; la cannabis, la resina di cannabis e il cannabinolo e i suoi derivati (a parte il dronabinolo - vedi riquadro 5) compaiono nella Tabella 1.
I Regolamenti del 1985 conferiscono al Segretario di Stato il potere di concedere a chiunque la licenza di produrre, possedere o fornire qualsiasi droga soggetta a controllo, ivi compresa una droga della Tabella 1 (regolamento n. 10); di autorizzare la coltivazione di piante di cannabis (regolamento n. 12); e di approvare la concessione di locali per fumare cannabis a scopo di ricerca (regolamento n. 13).
In pratica, dunque, la legge vieta l'uso terapeutico della cannabis e della maggior parte dei suoi derivati e ne consente il possesso unicamente a scopi di ricerca su licenza del Ministero degli Interni. Due cannabinoidi psicoattivi possono essere impiegati a scopo terapeutico, il nabilone e il dronabinolo (vedi riquadri 4 e 5). Due cannabinoidi non-psicoattivi, invece, il cannabidiolo ed il cannabicromene, non sono droghe soggette a controllo, ed in teoria potrebbero essere prescritte senza licenza; al momento, comunque, nessuno lo fa.
La legislazione del Regno Unito è una delle più restrittive al mondo. Legislazioni più liberali sono vigenti, fra gli altri, nei Paesi Bassi, in Italia, Spagna, Canada, in alcuni Länder della Germania e Stati dell'Australia e degli USA.
5.3 L'ACT è anche a conoscenza di 50 consumatori di cannabis affetti da lesioni spinali, nonché di altri 20 con altre patologie. Un'inchiesta condotta nel 1997 dal giornale Disability Now tra i suoi lettori disabili ha rivelato che, fra 200 partecipanti, assumevano la cannabis 40 persone affette da MS, 40 da lesioni spinali, 35 da dorsalgia, 27 da artrite e 64 da altre patologie. Un'altra indagine riguardante 2.794 consumatori abituali di cannabis ha rivelato che 78 di essi la usavano principalmente a scopo terapeutico (p 244).
5.4 Ci sono inoltre pervenute testimonianze scritte (non incluse nel volume di dati pubblicato) da quattro pazienti affetti da MS (oltre a Miss Hodges) che riferiscono di un effetto benefico della cannabis sulla loro sintomatologia e chiedono di modificare la legislazione in modo da permetterne la prescrizione. Il Dr. Fred Schon, primario neurologo, descrive il drammatico miglioramento osservato, in séguito ad automedicazione con fumo di resina di cannabis, in un paziente affetto da MS che presentava in precedenza una grave ed invalidante alterazione dei movimenti oculari (p 303). Abbiamo anche raccolto testimonianze di persone che hanno usato la cannabis per combattere l'epilessia, le meningoencefaliti ed il dolore, nonché come antiemetico in séguito a chemioterapia. Altre testimonianze aneddotiche sono state fornite dall'ACT e dal London Medical Marijuana Support Group.
5.5 Secondo Neil Montgomery, un certo numero di consumatori a fini terapeutici della cannabis sono, o sono stati, anche consumatori voluttuari della stessa, talché l'uso terapeutico, nel loro caso, risulta in una certa misura condizionato dalla loro esperienza ricreativa (p 132). Delle nove persone dedite all'uso voluttuario della cannabis che abbiamo incontrato, tre appartenevano a questa categoria. Un numero crescente di utenti coltiva la cannabis in proprio, "in primo luogo per evitare problemi d'impurità", ovvero acquistano all'ingrosso per assicurarsi la disponibilità delle dosi necessarie; in entrambi i casi esponendosi a sentenze più severe, se colti in flagrante, rispetto a chi acquista frequentemente modiche quantità (cfr. IDMU p 261). I consumatori a scopo terapeutico tipicamente assumono la cannabis con altrettanta frequenza, ma in dosi più piccole, degli utenti voluttuari (Q 567).
5.6 L'uso della cannabis a scopo terapeutico talvolta è reso possibile dalla connivenza delle professioni mediche. Clare Hodges ha fatto ricorso ad un consiglio medico prima di provare la cannabis per la sua MS, e non ne è stata dissuasa (p 27). "Oltre 50 pazienti hanno raccontato all'ACT che i loro medici avevano raccomandato loro di provare la cannabis per alleviare i loro sintomi (p 29); e 50 dei 200 partecipanti all'inchiesta di Disability Now hanno affermato che i loro medici sapevano ed approvavano. 100 medici fanno parte dell'associazione ACT (Q 96). La maggior parte dei malati di MS che assumono la cannabis a scopo terapeutico affermano che i loro medici sono "moderatamente favorevoli" (Q 341). Un medico, al corrente che una sua paziente usa la cannabis per alleviare i dolori, non se ne mostra preoccupato. Un altro paziente ha preso la cannabis per la sua epilessia dietro raccomandazione del suo curante. Un altro medico era contrario alla lettera che ci ha scritto il suo paziente, utente di cannabis, "per via dei progressi nel campo dei farmaci antiemetici". Secondo il Dr. William Notcutt, primario di anestesia , l'automedicazione di cannabis per il dolore è ormai diffusa, e "consigliarne l'uso può essere considerato al giorno d'oggi parte della gestione farmacologica del dolore" (p 101, Q 434). Infine, lo stesso rapporto della BMA sull'uso terapeutico della cannabis è stato occasionato da una risoluzione favorevole all'uso terapeutico di "certi cannabinoidi assuefacenti" approvata nel 1997 dal Convegno Annuale dei Rappresentanti della BMA.
5.7 Il governo ritiene che l'onere della prova gravi sui proponenti l'uso terapeutico della cannabis sotto forma erboristica. Non più tardi del 1 marzo 1994 l'allora Ministro degli Interni replicando ad un'interrogazione alla Camera dei Comuni affermava che "era ormai consolidato il parere negativo sull'uso terapeutico della cannabis" (HCWA 632). Da allora, la linea del governo sembra essersi un po' ammorbidita: il 2 luglio 1997 il Ministro della Sanità, on. Tessa Jowell, dichiarò che le autorità competenti stavano procedendo ad una revisione dei dati disponibili. "Allo stato attuale non esistono dati conclusivi. Il problema principale è che manca la dimostrazione scientifica che una medicina a base di cannabis sia priva di tossicità, efficace e di qualità accettabile" (HCWA 174). Il 27 ottobre 1997 l'on. Paul Flynn, rivolgendosi all'on. George Howarth, Sottosegretario di Stato al Ministero degli Interni, disse che la cannabis era già largamente usata, sia pur illegalmente, da malati di MS, paresi cerebrale e glaucoma; la risposta del Ministro fu: "Tutte le sostanze usate a scopi terapeutici devono essere sottoposte ad analisi scientifica. Se la cannabis superasse queste prove...il Ministro della Sanità...sarebbe disposto a prendere in considerazione di permetterne l'uso terapeutico. Sfortunatamente, sino ad ora non esistono dati conclusivi in questo senso" (col. 580; vedi anche HL 20 aprile 1998, WA 192, e HC 5 maggio 1998, WA 351).
5.8 Il Dipartimento della Sanità ha rilasciato una dichiarazione scritta dello stesso tenore: "Allo stato attuale non esistono dati sufficienti a dimostrare l'efficacia della cannabis come agente terapeutico" (p 48). Verbalmente, il Dipartimento si è spinto un po' oltre, affermando: "Riconosciamo pienamente l'importanza della ricerca in quest'area ed il suo valore potenziale, soprattutto quando è rivolta ai bisogni di pazienti cui abbiamo ben poco da offrire in alternativa" (Q 167). Sta di fatto che la MS non è l'unica patologia nei cui confronti i trattamenti convenzionali presentano effetti relativamente limitati, ragion per cui il Dipartimento ha sentito il bisogno di mettere in guardia dal rischio di una distorsione prospettica provocata dal "brivido aggiuntivo" della cannabis (Q 225).
5.9 Posto che il consumo di cannabis a scopo terapeutico è chiaramente in aumento a dispetto delle leggi, abbiamo chiesto ad alcuni dei nostri testimoni quale consiglio darebbero a persone che ne fanno o contemplano la possibilità di farne uso terapeutico, ed ai loro medici. Il Dipartimento di Sanità suggerisce che i medici avvisino gli utenti sugli aspetti legali del problema, nonché sulle "limitate prove" di efficacia della sostanza. D'altra parte, "bisogna anche prendere atto che i pazienti possono scegliere di fare cose sconsigliate dai loro medici, e che anche in questo caso sussisterebbe la necessità per il medico di continuare a lavorare per assistere quell'individuo" (Q 172). Un funzionario si è spinto a rilasciare la seguente dichiarazione, sia pure in via extra-ufficiale: "Le decisioni altrui devono essere decisioni altrui" (Q 224).
5.10 La BMA raccomanda agli utenti di cannabis a scopo terapeutico di essere consapevoli dei rischi cui si espongono, di chiedere l'arruolamento in sperimentazioni cliniche e di discutere con i loro medici delle possibili nuove alternative terapeutiche; ma non raccomanda loro di smettere (Q 55). La Società per la Sclerosi Multipla "non incoraggia né giustifica alcun individuo a infrangere la legge" (Q 341).
5.11 Benché la cannabis di per sé sia illegale, nel Regno Unito certi cannabinoidi vengono correntemente usati in medicina, in ambito perfettamente legale. L'effetto anti-nausea dei cannabinoidi ha trovato applicazione clinica nella soppressione della nausea e del vomito associati alla chemioterapia nei pazienti neoplastici. Quest'ultima è la sola indicazione clinica per la quale esistano dati adeguati derivanti da sperimentazioni cliniche controllate, per lo più risalenti a studi condotti negli anni '70con THC purificato ed il cannabinoide sintetico nabilone, un analogo del THC, che si è dimostrato altrettanto efficace della proclorperazina e di altri agenti anti-nausea disponibili a quell'epoca. In base a questi dati il nabilone ha ottenuto la registrazione e, su prescrizione medica, è disponibile per questa indicazione nel Regno Unito (vedi riquadro 4). Peraltro, secondo il Professor Malcolm Lader dell'Istituto di Psichiatria dell'Università di Londra (20) (Q 7), questo farmaco è stato poco usato. Lader ritiene che ciò sia prevalentemente dovuto al fatto che durante gli anni '80 sono stati introdotti più potenti farmaci anti-nausea, quali gli antagonisti della serotonina ondansetrone (Zofran), granisetrone Kytril) e tropisetrone (Navoban), oggi largamente usati in combinazione con la chemioterapia anti-cancro (cfr. Hall p 221 e Appendice 3 Paragrafo 13). Questi farmaci hanno il vantaggio, rispetto ai cannabinoidi idroinsolubili, di poter essere somministrati per via sia endovenosa che orale, e la loro efficacia raggiunge fino al 90% dei pazienti. Non sono state condotte sperimentazioni cliniche comparative dell'efficacia dei cannabinoidi rispetto agli antagonisti della serotonina (RPharmSoc p 287).
RIQUADRO 4: NABILONE
Il nabilone è un analogo del D9-THC. E' stato registrato nel 1982 per uso, solo su prescrizione e solo ospedaliero, contro la nausea da chemioterapia insensibile agli altri trattamenti. E' un prodotto di sintesi della Eli Lilly & Co. Ltd ed è commerciato nel Regno Unito dalla Cambridge Selfcare Diagnostics Ltd; una confezione di 20 capsule da 1 mg (per uso orale) costa £ 102. Nel biennio 1997-1998 ne sono state vendute 5.400 confezioni. Non è un farmaco soggetto a controllo.
Secondo il Dr. Kendall dell'Università di Nottingham, il nabilone non è largamente usato per il trattamento della nausea (p 268). Il nabilone viene usato "molto raramente" nella MS - probabilmente meno della stessa cannabis (MSSoc Q 353). Peraltro, il Dr. Notcutt lo usa per il controllo del dolore all'Ospedale James Paget di Great Yarmouth - vedi al paragrafo 5.14.
5.12 Ciò significa che la cannabis ed i cannabinoidi sono probabilmente utili come antiemetici solo in quella modesta percentuale di pazienti che non rispondono ai trattamenti esistenti, oppure, eventualmente, nella terapia dell'iperemesi che può protrarsi per vari giorni in séguito alla chemioterapia antineoplastica, e che non risponde bene agli antagonisti della serotonina. I cannabinoidi, inoltre, sono indubbiamente efficaci come antiemetici ed ulteriori ricerche in questo campo potranno esplorare il loro impiego in combinazione con gli antagonisti della serotonina, aiutare a determinare per quali pazienti essi sono più indicati, ed esaminare le potenzialità del cannabinoide D8-THC, apparentemente meno psicoattivo, per il quale sono stati osservati incoraggianti risultati clinici preliminari (Q 74).
5.13 Il THC stesso (dronabinolo - vedi riquadro 5) è registrato come antiemetico negli Stati Uniti, ma non nel nostro Paese. Il rapporto della BMA, peraltro, raccomanda che si proceda anche da noi alla sua registrazione. Ciò dipenderà dalla richiesta presentata in tal senso dalla casa produttrice; nel frattempo, i medici potranno prescriverlo come farmaco non registrato, ma a loro proprio rischio.
RIQUADRO 5: DRONABINOLO
Il dronabinolo è THC. E' in commercio sotto il nome di Marinol, un D9-THC sintetico in olio di sesamo, prodotto e confezionato in capsule morbide di gelatina (per uso orale) da 2.5, 5 o 10 mg di THC. N egli Stati Uniti è registrato, sia come antiemetico, che come stimolante dell'appetito nei pazienti affetti da AIDS. Il Marinol è prodotto, negli Stati Uniti, dalla Unimed Pharmaceuticals Inc.; è notevolmente più costoso del nabilone (Notcutt Q 427). Non è registrato come antiemetico nel Regno Unito; tuttavia, nel 1995, su consiglio dell'OMS, è stato spostato dalla Tabella 1 alla Tabella 2 dei Regolamenti del 1985 (in base ad un emendamento delle Misuse of Drugs Regulations n° 2048), e può quindi essere prescritto su base nominale, secondo la definizione dei Regolamenti del 1985 (vedi riquadro 6).
In un'inchiesta condotta negli Stati Uniti nel 1997, solamente il 6 % di 1500 oncologi hanno dichiarato di aver prescritto il dronabinolo nel corso dell'anno precedente (Brett p 204, cfr. Hall p 222). Secondo la BMA, il consumo di dronabinolo nel Regno Unito è basso a causa degli ostacoli amministrativi e della disponibilità di buoni farmaci alternativi (Q 83). Secondo il Dr. Notcutt del James Paget Hospital, a Great Yarmouth (Q 422), in pratica, esso comunque non è attualmente disponibile nel Regno Unito
5.14 Il Dr. Notcutt sta trattando correntemente con nabilone, prescritto senza licenza, pazienti che soffrono di algie ribelli alle altre cure. Questo medico ha trattato un totale di 60 pazienti affetti da una varietà di patologie croniche algogene, tra cui la MS, diversi tipi di cancro, lesioni spinali e del sistema nervoso periferico. Il 50 % dei pazienti ha tratto beneficio dal nabilone, anche se, complessivamente, un numero significativo risulta intollerante agli effetti collaterali della droga (effetti psicoattivi sgradevoli e sonnolenza) (Q 400), talché la percentuale complessiva di successo della terapia si aggira attorno al 30% (p 104).
15.15 L'efficacia della cannabis nel trattamento dell'anoressia, da più parti sostenuta, non ha ancora una sua chiara spiegazione scientifica. In soggetti normali, l'assunzione di cannabis è seguita, a distanza di circa tre ore, da un incremento dell'appetito, in modo particolare per i cibi dolci (Pertwee Q 256). Tuttavia, i consumatori abituali di cannabis tendono ad assuefarsi a questo effetto e ad accusare persino una riduzione dell'appetito. Secondo il rapporto della BMA, le sperimentazioni cliniche non hanno evidenziato alcun effetto benefico del THC sull'appetito di pazienti affetti da anoressia nervosa. D'altra parte, il dronabinolo, nel corso di studi clinici controllati, ha significativamente ridotto la nausea, prevenuto ulteriori cali ponderali e migliorato l'umore di pazienti con sindromi AIDS-correlate in stadio avanzato. Basandosi su questi dati, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha concesso al dronabinolo la registrazione per il trattamento dell'anoressia associata all'AIDS; il Dr. Robson considera quest'ultima "la più stringente delle indicazioni" per le medicine a base di cannabis (Q 458).
5.16 Per quanto riguarda l'uso dei cannabinoidi nell'AIDS, ci si preoccupa dei possibili effetti immunosoppressivi di queste sostanze (BMA QQ 79, 80, Hall Q 742). Tali effetti potrebbero provocare danni in pazienti il cui sistema immunitario è già compromesso, anche se in realtà non vi sono dati che dimostrino alcun rapporto fra l'uso della cannabis e la velocità di progressione verso l'AIDS in uomini HIV-positivi (Robson Q 460).
5.17 Il rapporto della BMA raccomanda che le indicazioni ammesse per il nabilone siano allargate alla prevenzione del calo ponderale ed al trattamento dell'anoressia nei pazienti affetti da AIDS e neoplasie, e che il dronabinolo anche nel nostro Paese sia ammesso per quest'indicazione. Come già ricordato, ciò dipenderebbe dalla richiesta del produttore; nel frattempo, i medici avrebbero la possibilità di prescriverli "off-label", assumendosene ogni responsabilità. Il dronabinolo è un farmaco soggetto a controllo, collocato nella Tabella 2 delle Misuse of Drugs Regulations (vedi riquadro 2); così, la prescrizione dovrebbe essere fatta su base nominale, giusta la definizione dei Regolamenti (vedi riquadro 6).
RIQUADRO 6: PRESCRIZIONE SU BASE NOMINALE
. In base al Comma 15 delle Misuse of Drugs Regulations del 1985, ogni prescrizione di un farmaco elencato nella Tabella 2 (o Tabella 3) dei Regolamenti dovrà:
. (a) essere scritta in inchiostro o in modo altrimenti indelebile, recare la firma abituale del prescrivente e la data scritta di suo pugno;
. (b) recare, per quanto richiesto, le informazion