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Thailandia. Le altre vittime della "war on drugs"
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Articolo di Alessandro Garzi
7 febbraio 2004 19:02
 
A fianco dei 2600 morti (in molti casi in circostanze per lo meno sospette), dei 90.000 arrestati, e delle circa 300.000 persone avviate piu' o meno volontariamente ai servizi di recupero, ed a fianco delle proteste delle ong di tutto il mondo per come la polizia ha condotto le proprie azioni, un lato poco considerato della "trionfale" guerra alle droghe promossa dal primo ministro Thaksin Shinawatra, e' quello delle famiglie di chi e' stato direttamente coinvolto nell'azione di propaganda del Governo.
E' stata cosi' forte, infatti, la propaganda, che i familiari dei "trafficanti" sono stati "marchiati", ed in un certo senso emarginati. Ci sono stati numerosi casi di figli che non sono stati ammessi a scuola, perche' gli viene detto, come denuncia il senatore Prateep Ungsomgtham Hata che "la scuola non ha posto per i figli dei trafficanti". Spesso, i ragazzi, anche adolescenti che hanno perso un parente o un genitore nella "guerra" di Thaksin, non riescono neppure ad affittare una stanza a Bangkok: i padroni di casa dichiarano, senza troppi problemi, che "la userebbero per venderci la droga. Per assurdo, questo comportamento -continua la denuncia di Prateep- ha proprio l'effetto di spingere questi ragazzi verso i trafficanti veri".
Le attivita' commerciali che le famiglie gestivano, sono quasi tutte sull'orlo del fallimento, spinte sia dai debiti (l'accusa di essere un trafficante prevede numerosi sequestri, a quanto pare, molto ben remunerativi per la polizia), che dalla "marchiatura" di cui sopra.
In molti casi, l'incubo delle famiglie non e' finito. Dopo il sequestro dei beni, e quello delle relative pensioni, la gente continua ad aver paura tanto da dover trasferire i figli in altre province, o all'estero.
Charuayporn Thongdee, un'infermiera che ha perso il marito nella "guerra", racconta come si sono svolte le cose: il marito e' stato trovato morto, e la polizia ha iniziato ad investigare partendo dal presupposto che fosse un trafficante e che si fosse trattato di un omicidio da parte di chi non lo voleva far parlare. Poi, trasportato il corpo in ospedale, e' stato ordinato al figlio e ad un infermiere di spogliarlo. Alla fine, i poliziotti hanno ordinato ai due di lasciare la stanza, per poi uscire con un sacchetto con 98 dosi di shabu. Come se non bastasse, il figlio e' stato incriminato, con l'accusa di "aver cercato di nascondere le prove".
Altre testimonianze parlano sempre di persone fatte passare come trafficanti a causa delle loro attivita' politiche, oppure a causa delle fortune accumulate, o, come nel caso di una vedova che adesso vive in Svezia, per colpa di una vecchia inimicizia con un poliziotto locale, o, al contrario, per essere "nessuno", come gli abitanti del quartiere-dormitorio di Klong Toei a Bangkok.

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