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Brasile. Il medico, una professione a rischio di tossicodipendenza e di suicidio
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Articolo di Donatella Poretti
18 settembre 2001 16:21
 
Lunedi' a San Paolo e' stato illustrato lo studio "Profilo del medico con tossicodipendenza", curato dal Cremesp (Consiglio Regionale di Medicina di San Paolo). La dipendenza da droga e' da non poco conto per la classe medica e il numero dei professionisti coinvolti e' alto. Sono ancora pochi quelli che volontariamente si sottopongono a cure di disintossicazione, il rischio e' la radiazione dalla professione. Anche per questo il Cremesp propone l'istituzione di un numero telefonico di pronto aiuto per i medici che si trovano nella situazione di dipendenza e misure alternative all'interdizione. Regina Parisi, presidente del Cremesp, ritiene che "sara' una misura intermedia, concessa a quei medici che si sottopongono spontaneamente ai trattamenti di riabilitazione".
Lo studio, che ha analizzato la posizione di 206 medici tossicodipendenti sottoposti a cure, ha evidenziato questo profilo: uomini, sposati, eta' media 39 anni che vivono a San Paolo. Il 20% ha problemi pendenti con la giustizia e il 30% aveva perso il lavoro, il 21 % ha problemi di depressione e il 16% affettivi. Le sostanze piu' consumate: alcool, cocaina, calmanti, marijuana, oppiacei e anfetamine, il 38% degli intervistati consumavano alcool insieme ad altre sostanze.
La situazione dei medici e' in generale disastrosa: solo l'anno passato tra i medici morti, nella fascia di eta' tra i 24 e i 39 anni, l'11% si e' suicidato, contro il 5% degli altri professionisti e il 3% della popolazione in generale (dati della Fondazione Seade Fundação Sistema Estadual de Análise de Dados). Le cause sembrano essere il lavoro difficile che svolgono, molte ore alle prese con casi gravi di incidenti, omicidi e soprattutto all'inizio della carriera sono sottoposti a giornate "disumane". Arthur Guerra de Andrade, coordinatore del corso di medicina alla Facolta' di ABC, ha sottolineato come i medici siano sotto pressione dalla societa', in contatto continuo con la morte e la sofferenza.
Un medico, ex tossicodipendente, ha rilasciato un'intervista al quotidiano Il Folho, e sotto anonimato ha raccontato la sua esperienza drammatica, tre suoi colleghi sono morti di overdose. Da due anni non e' piu' dipendente, ma per sette anni ha usato un derivato dalla morfina che viene usato per ridurre i dolori ai pazienti terminali. Un farmaco che si trova in tutti pronto soccorso e nei centri chirurgici. Il medico considera la dipendenza da oppiacei "una malattia professionale".
Come per i tossicodipendenti, anche per i medici presi in esame dallo studio, inizialmente c'e' la sensazione di poter tenere sotto controllo la propria dipendenza, quando il problema si aggrava tutto diventa piu' difficile. Non solo la perdita del lavoro, essere considerato un rischio e inaffidabile per curare i pazienti, perdere lo status sociale di professionista diventano fattori frenanti a chiedere aiuto. La malattia e la cura, il paziente e il medico si possono trovare insieme in una zona grigia dove e' difficile delimitare il confine.
 
 
 
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