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 MESSICO - MESSICO - Narcoguerra: la grande assente dalla campagna elettorale?
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Notizia 
30 giugno 2012 11:08
 
La decisione del capo dello Stato Felipe Calderon di impiegare l'esercito messicano nella lotta contro il narcotraffico, presa al suo arrivo al potere nel 2006, potrebbe costare domani la poltrona presidenziale al suo Partito di Azione nazionale, nonostante i candidati alla sua successione non offrano alcuna alternativa credibile. A fronte di una società traumatizzata dalla violenza crescente legata ai narcos, nessuno degli aspiranti ha utilizzato le parole "cartello" o "trafficante di droga" nei discorsi elettorali.
La totale mancanza di sicurezza nel paese è dunque la principale preoccupazione dei messicani, prima ancora della dilagante povertà. Ma durante la campagna, i candidati si sono limitati a indicare che avrebbero mantenuto i militari nelle strade, almeno fino a un reale rafforzamento delle strutture e dell'organizzazione delle forze di polizia. "Nessuno di loro ha un'idea chiara di ciò che deve essere fatto e le loro proposte vanno tutte nella stessa direzione: creare una polizia nazionale.
Ma la di là di questo, non c'è nulla di certo", ha detto José Antonio Crespo, ricercatore del Centro di ricerca e formazione economica.
Il favorito dei sondaggi, Enrique Peña Nieto, del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), ha smentito le insinuazioni arrivate dagli Stati Uniti secondo le quali il ritorno al potere del suo partito potrebbe significare la ricerca di un accordo con i cartelli della droga per frenare la violenza. Ad appena 15 giorni dallo scrutinio, Nieto ha annunciato che, in caso di elezione, il capo della polizia colombiana sarà il suo "consulente esterno" contro i cartelli.
In totale silenzio, sull'argomento narcos, è rimasto d'altra parte io principale sfidante di Nieto, il candidato della coalizione di sinistra Andres Manuel Obrador. La sua priorità, ha detto, è tentare di ridurre la povertà, terreno fertile per il reclutamento di giovani narcotrafficanti. Il poeta Javier Sicilia, che ha lanciato un movimento civico contro la violenza dopo la morte di suo figlio, ucciso da un gruppo di criminali, ha chiesto che il problema della droga sia trattato come un tema di Sanità pubblica e non di guerra. "Il dolore delle vittime della violenza è molto grande davanti alla vostra indifferenza. Non potete sfuggire alle vostre responsabilità", ha detto all'indirizzo di alcuni candidati.
L'offensiva contro i cartelli della droga è stata lanciata da Calderon nel 2006 con il contributo di 50.000 militari. Da allora, le autorità messicane hanno potuto annunciare l'arresto di 22 dei 37 leader del narcotraffico ricercati in Messico: in latitanza resta però il più pericoloso e potente di loro, il capo del cartello di Sinaloa, Joaquin El Chapo Guzman. E gli episodi di violenza hanno comunque subito un incremento. I massacri sono diventati comuni, corpi decapitati e mutilati vengono sovente abbandonati per strada. Dalle 2.800 vittime del 2007 si è passati alle oltre 12.000 del 2010. Il governo ha smesso di fornire cifre ufficiali da settembre 2011, quando il bilancio si era attestato a 47.500 morti dal lancio dell'offensiva militare.
Secondo le stime della stampa locale, adesso, le vittime sarebbero oltre 60.000. "Le lotte di potere interne sono la causa principale", ha detto Alejandro Poiré, ministro dell'Interno, riferendosi in modo particolare allo scontro sanguinoso tra il cartello di Sinaloa e quello degli Zetas. Ma le organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International o il movimento di Javier Sicilia, hanno sottolineato che molte delle vittime, delle persone scomparse o torturate, sono estranee al traffico di droga. Secondo Javier Oliva, esperto di sicurezza dell'Università nazionale autonoma del Messico, il dispiegamento dei militari ha mascherato la mancanza di una reale strategia. "Hanno scambiato la strategia con la tattica del confronto. Non non c'è nessuna chiarezza nelle proposte: non c'è lavoro di intelligence, non c'è alcuna prevenzione", ha detto.
 
 
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