Premessa 1. La cannabis terapeutica è regolamentata in Italia. Male, con problemi di distribuzione e fabbisogno di cui non si capisce il limite tra
norme insufficienti e stigma politico/sociale legato al fatto che la sua consorella, quella ricreativa, è illegale, anche se per i consumatori è un illecito e non un crimine. Nel mondo, anche in era di pandemia Covid,
è molto e autorevolmente studiata e testata con risultati confortanti.
Premessa 2. Il premier Draghi si è assunto la responsabilità di sistemare meglio l’Italia in/per/con l’Ue con un governo di unità nazionale dove, in nome di questa unità, è comprensibile non sia prevista la legalizzazione della cannabis ricreativa.
Cosa hanno in comune
Il premier Draghi viene presentato come certa e sicura ricetta a tutti i mali e incapacità delle politiche degli ultimi decenni. Aspettiamo i risultati.
Sulla cannabis terapeutica ogni giorno ci sono studi ed esperimenti che la indicano come rimedio per disturbi e malattie numerosi e diffusi (molto per mancanza di effetti secondari come talvolta accade per i farmaci tradizionali). Ma siamo agli albori: la sua recente legalizzazione (dove lo è) pesa su studi e applicazioni che non possono che essere recenti, esprimendo tendenze più che realtà.
Quindi, il premier Draghi e la cannabis terapeutica rappresentano aspettative e tendenze di un mondo nuovo, dove la razionalità potrebbe sostituirsi alle ideologie. Impresa ardua. Non impossibile se
partiamo da un presupposto: mai dare per scontato che non ci possa essere un metodo e una soluzione nuova, anche che sia il contrario di quanto acquisito.
Cercare e ricercare, in politica come in medicina: la destra con la sinistra, l’erba del diavolo come farmaco.
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