Prime pronunzie che si riferiscono alla nuova formulazione del comma 5 dell'art. 73 – così come derivata dalla novella di cui all'art. 2 del D.L. 21 dicembre 2013 n. 146.
La nuova espressa qualificazione dell'istituto come reato autonomo, in luogo della precedente accezione – circostanza attenuante ad effetto speciale – introduce una serie di elementi di maggiore favore nei confronti dell'imputato, che possono essere valutati ai sensi dell'art. 2 comma 4° c.p. .
La sentenza 7363/14 della Quarta Sezione Penale del Supremo Collegio (9 gennaio 2014) si sofferma sul profilo della prescrizione, che muta sostanzialmente i suoi termini di decorrenza.
In virtù della autonomia di cui, ora, è munita la nozione di lieve entità, punita con la reclusione da 1 a 5 anni, il nuovo termine di base – a mente dell'art. 157 comma 1 c.p. - è pari a 6 anni.
Ove vada applicato il comma 2° dell'art. 161 c.p., il quale regola il regime delle interruzioni, il termine massimo (per imputati nei confronti dei quali non vada contestata la recidiva) è di 7 anni e 6 mesi, derivato dall'aumento di ¼ del tempo necessario a prescrivere.
Si tratta, pertanto, di una conseguenza che non era ritenuta possibile, quando la lieve entità era qualificata come circostanza attenuatrice del reato.
Non è però solo questo aspetto che richiama l'attenzione sulla norma in questione, perchè vi sono ulteriori aspetti che meritano approfondimento.
In primo luogo la nuova configurazione permette di evitare che l'istituto della lieve entità venga posto in bilanciamento – come invece prima avveniva – con eventuali circostanze aggravanti che vengano contestate all'imputato, con il rischio che un possibile giudizio di prevalenza di queste ultime, privasse di qualsiasi valore la citata qualificazione giuridica del fatto, (che è sinonimo di modesta gravità del fatto) e determinasse l'applicazione di sanzioni penali del tutto sproporzionate all'azione.
In secondo luogo, però, l’applicazione
tout court del testo di legge antecedente alle norme dichiarate incostituzionali
1, incontra un limite che attiene proprio al comma 5° dell’art. 73 e che deriva dalla contemporanea esistenza anche delle disposizioni introdotte dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 art. 2.
2
Ciò premesso, si crea una problema di individuazione della norma che debba formare oggetto di applicazione nel caso concreto.
Va, infatti, osservato in parallelo, che :
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, depurato dalle modifiche introdotte dalla L. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale :
A)prevede una trattamento sanzionatorio differenziato (pena ad hoc) per le condotte illecite riguardanti le droghe previste dalle tabelle II e IV dell’art. 14 ,
B)tale pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329,
C)la lieve entità continua a costituire una circostanza attenuante ad effetto speciale, da sottoporre al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti eventualmente contestate,
il testo dell’art. 73 comma 5° dpr 309/90, così come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146 :
A) prevede un trattamento sanzionatorio unitario e comune a tutte le tipologie di sostanze stupefacenti
B) tale pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000,
C) l’unicità della pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, che però non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale, ma prima della pronunzia relativa, se non di per sé incostituzionale, comunque in palese contrasto con il testo del comma 5° tornato vigente,
D) come già evidenziato la lieve entità diviene reato autonomo e, come tale, sottratto, quindi, a qualsiasi giudizio di valenza o bilanciamento con circostanze aggravanti,
E) come già osservato, il termine prescrizionale dello specifico reato è più breve di quello riguardante il reato di cui all'art. 73 nella previsione ordinaria (comma 1 e 4), in quanto esso è di sei anni – se breve – e di sette anni e sei mesi – se lungo - .
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Consegue dalle considerazioni che precedono, la necessità di individuare quale debba essere, tra le due ipotesi afferenti al comma 5° dell’art. 73 dpr 309/90, la norma che effettivamente vada concretamente applicata allo stato attuale.
Seguendo, sotto il profilo metodologico, i principi generali di natura costituzionale, si dovrebbe tenere conto del cd. criterio cronologico, in quanto entrambe le norme in questione provengono, infatti, da fonti ordinarie del medesimo tipo (l’una un DPR , l’altra un D.L.).
Il criterio in questione, al fine di eliminare tutte le eventuali antinomie, farebbe si che non si debba applicare (perché si ritiene abrogata) la norma precedente, bensì quella successiva (lex posterior derogat legi priori).
Si deve, però, osservare che, nella fattispecie, ove – accedendo al principio generale suesposto - si dovesse ritenere prevalente la dizione dell’art. 73 comma 5°, così come formulata dal D.L. 146/2013, ci troveremmo a dovere ictu oculi rilevare – per le ragioni già esposte – la sospetta incostituzionalità del dettato normativo, per l’illegittima equiparazione sanzionatoria delle varie e differenti sostanze stupefacenti – allo stato – ripartite in quattro tabelle portate dall’art. 14.
Ma questo non sarebbe (o non è) l’unico ostacolo a che la norma successiva prevalga, nonostante alcune sue indubbie peculiarità di grande favore per l'imputato.
In pari tempo, si deve, infatti, osservare che nessuna delle due norme si pone in un rapporto di genus ad speciem rispetto all’altra.
Vale a dire, che né la norma precedente – quella ora vigente – né quella successiva presentano un carattere speciale o eccezionale rispetto all’altra.
Nello specifico caso si verifica, pertanto, una situazione di assoluta incompatibilità strutturale della disciplina pregressa rispetto a quella nuova.
Quest’ultima, proprio perché concepita e promulgata intempestivamente dal Governo, non ha potuto tenere (nè tiene) conto della sopravvenuta riviviscenza sia del testo dell’art. 14 (ante riforma del 2006), con la scissione delle tabelle e la loro suddivisione, sia della bipartizione generale ad effetti sanzionatori.
Ritiene, inoltre, chi scrive – a complemento delle precedenti osservazioni - che, in una simile opera identificativa, si debba tenere in debita considerazione, sul piano metodologico, anche dell’applicabilità del principio del favor rei.
Su tale abbrivio, si deve, pertanto, osservare che
1)la nuova (o precedente) formulazione dell’art. 73 comma 5°, certamente ed intuitivamente, si fa preferire quoad poenam, (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329), ma, al contempo, essa continua a subire il genetico condizionamento, determinato dalla propria natura di circostanza attenuante, suscettibile di dovere essere posta in situazione di bilanciamento con eventuali aggravanti;
2)il testo dell’art. 73 comma 5° ricavato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, a propria volta, pur meno favorevole in punto di pena e pur sospettabile di incostituzionalità, per l’omogeneo trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e droghe leggere (oltre che in irreversibile contrasto con la struttura della norma allo stato vigente, che prevede due tipologie di pena), modifica la natura dell’istituto in parola in quella di reato autonomo, determinando una sua configurazione giuridica di maggior favore per l’indagato/imputato, a tacere delle rilevante circostanza del nuovo computo prescrizionale che riduce i relativi termini.
Allo stato, la giurisprudenza pare orientata – V. sentenza Tribunale di Perugia del 17 febbraio 2014 inedita – ad applicare la Legge JERVOLINO-VASSALLI.
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b) all'articolo 94, il comma 5 e' abrogato.