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Cannabis. Coltivazione per uso personale offende salute individuale e pubblica? NO!
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Articolo di Claudio Miglio, Lorenzo Simonetti *
13 gennaio 2013 11:35
 
Fare l’elemosina a un uomo nudo, per strada, non esaurisce gli obblighi dello Stato, che deve assicurare a tutti i cittadini la sopravvivenza, il nutrimento, un vestire dignitoso, e un modo di vivere che non contrasti con la sua salute.
Montesquieu, De l’esprit des lois, Livre XXIII, chap. XXIX (1748)

La legge è uguale per Tutti: non dimentichiamo le decine di processi persecutori contro Pierpaolo Pasolini il quale sapeva che le conquiste di libertà sono fragili se la denuncia delle molte illibertà che ancora rimangono non viene continuamente riproposta con intransigenza!
Pierpaolo Pasolini non rientrava nell’uomo medio, perché sapeva bene quel che c’è dietro l’uomo medio, e lo scrive al tempo de La Ricotta: “un mostro, un pericoloso delinquente, razzista, conformista, schiavista, colonialista, qualunquista”. La qualificazione di “criminale”, quindi, è ritorta contro i suoi stessi persecutori.

E allora, basta diseguaglianze nell’applicazione di norme in materia di stupefacenti oramai prive di un substrato di realtà!
Basta condanne per coltivazione identificando il cittadino come uno spacciatore!
Basta umiliazioni di ogni sorta e genere (non solamente processuali) per i coltivatori!
E’ arrivato il momento di presentarsi dinanzi ai Tribunali italiani con una valida questione di legittimità costituzionale e non limitarsi più a profili formali di mancata attuazione di disposizioni normative prive, peraltro, di efficacia diretta.
E’ arrivato il momento di reagire di fronte agli arbitri giudiziari presentando con coraggio giuridico la questione di legittimità che entri nel merito della problematica della coltivazione!


Nei processi che stanno per iniziare e in cui avremo l’onore di assumere la difesa di piccoli coltivatori in proprio, si affermerà la libertà di coltivare dell’individuo e di esprimersi nella società: il coltivatore (e il consumatore) non dovrà più essere giudicato come un potenziale spacciatore ovvero come qualcuno che possa offendere il bene astratto della salute pubblica.

Se è vero che il Legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, non può agevolare comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale, tale obiettivo non può essere perseguito attraverso sanzioni penali privative della libertà personale.
La tutela della salute individuale, infatti, non può essere presidiata da pene che limitano ovvero comprimono la stessa libertà dell’individuo.

Quanto alla presunzione della maggiore pericolosità della condotta di coltivazione, per l’incertezza circa la quantità di sostanza estraibile, la decisione della Corte Costituzionale del 1995 appare superata dalla più recente giurisprudenza costituzionale in tema di offensività.
L’applicazione di tale principio, quale requisito imprescindibile della punibilità, che il Giudice delle leggi ha operato nel ’95, a ben vedere, è molto lontana dagli approdi a cui è giunta la successiva dottrina e giurisprudenza.

Le più recenti decisioni della stessa Consulta sono tutte volte a non limitare la valutazione dell’offensività al mero reato impossibile, ma ad estendere l’indagine al grado di offesa in concreto arrecata al bene. Il richiamo al principio di necessaria offensività, intanto ha un senso in quanto è in grado di sottrarre all’area dei fatti penalmente rilevanti, fatti che, altrimenti, alla stregua del solo principio di tipicità formale vi sarebbero inclusi.

Non si tratta, dunque, di escludere l’offensività solo quando il fatto concreto sia impossibile perché “inidoneo” (art. 49, co. 2 codice penale), ma anche quando la fattispecie, in astratto integrata, per le concrete circostanze dell’azione non ponga in pericolo il bene tutelato.

Il confine del penalmente illecito della nozione di “coltivazione” deve essere tracciato, allora, nel rispetto del principio di necessaria offensività (artt. 25, co. 2 e 27 commi 1 e 3 Costituzione), che costituisce imprescindibile parametro interpretativo per il giudice ordinario, il quale deve sempre in concreto verificare, non solo l’inidoneità assoluta, ma anche il grado dell’offesa arrecata.

Ciò considerato, l’affermazione giurisprudenziale secondo la quale «l’attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialità diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili», non può costituire una presunzione assoluta. Ciò perché il bene giuridico tutelato, costituito dalla salute pubblica, può risultare non in pericolo ove sia, nel processo penale, esclusa la “diffusione della sostanza”.
Infatti, è senz’altro “agevole” immaginare una condotta di coltivazione (alternativa) destinata, cioè, ad un uso esclusivamente personale!

In ciò la giurisprudenza costituzionale sembra aderire alla dottrina maggioritaria secondo cui la costituzionalizzazione del principio di offensività impone che i reati di pericolo astratto vengano trasformati in reati di pericolo concreto o, quanto meno, di pericolo relativamente presunto.

Esclusa la salute individuale dall’alveo del “bene giuridico protetto”, una corretta applicazione del principio di offensività presuppone anche un tentativo di ancorare ad elementi certi il confine del penalmente rilevante.
Sotto questo profilo, allora, non si può far riferimento a nozioni troppo vaghe, quali la “sicurezza” e l’ ”ordine pubblico” ovvero “il normale sviluppo delle giovani generazioni”, che più propriamente sembrano elementi caratterizzanti la ratio dell’incriminazione, che è cosa da tenere sempre distinta dal bene giuridico protetto.

In ogni caso, la tutela di interessi certamente rilevanti come la sicurezza e l’ordine pubblico, deve conformarsi al principio di necessaria offensività. Occorre, allora, sempre accertare in concreto se la condotta di coltivazione offenda tali beni.

Senza ombra di dubbio, invece, il primario interesse tutelato è la salute pubblica: l’offesa che la condotta di coltivazione può arrecare, infatti, consiste nel pericolo della diffusione della sostanza stupefacente.
Tuttavia, per le stesse ragioni sopra appena accennate, occorre verificare in concreto che sussista un pericolo per la salute collettiva, ossia che la sostanza coltivata, per le circostanze del fatto, sia con probabilità razionale destinata al mercato della droga.

Per affermare la colpevolezza non è sufficiente “la maggiore ipoteticità” della lesione al bene protetto ma occorre, alla stregua di un giudizio probabilistico e logico razionale, l’accertamento in concreto dell’offesa.

Se, cioè, non può essere criticato il fatto che la coltivazione trovi un trattamento normativo differenziato rispetto alla detenzione, atteso il maggior pericolo insito nella condotta, non si può tuttavia impedire, sulla base di un giudizio di ragione, la prova della inoffensività del fatto.
Una più attenta valorizzazione del principio di offensività si rinviene nelle più recenti pronunce della Corte Suprema (una per tutte: sentenza 17 febbraio 2011, n. 25674), nelle quali si afferma l’inoffensività della condotta anche in presenza di coltivazione di stupefacenti aventi un “effettivo effetto drogante”, purché al di sotto della soglia dei valori tabellari.

In questa prospettiva, l’elemento privilegiato per la valutazione in concreto dell’offensività della condotta – ossia per il pericolo di diffusione sul mercato – è costituito dalla quantità di principio attivo ricavabile dalla coltivazione.

Ebbene, non si capisce il motivo per cui a priori debba escludersi rilevanza alle ulteriori circostanze fattuali caratterizzanti la coltivazione e, tra esse, anche la sicura destinazione ad un uso esclusivamente personale.

Continua …prima della presentazione della questione di legittimità costituzionale…

articolo pubblicato su http://www.legalizziamolacanapa.org/

* avvocati del foro di Roma
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