testata ADUC
America Latina. Narcotraffico: un meccanismo di controllo sociale
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Marcelo Colussi
17 giugno 2007 10:57
 
Il commercio delle droghe illegali esiste da tanto tempo, ma e' a partire dagli anni 70 del secolo scorso che e' diventato qualcosa di piu' e di diverso da una semplice attivita' lucrativa. In quel periodo ha cominciato a trasformarsi in un complesso meccanismo di controllo sociale per volonta' dei grandi poteri. E come tutti i fenomeni massicci scaturiti dal capitalismo, una volta messo in moto ha acquisito dinamiche proprie, che pero' non sono riuscite a scalfire la sua natura di dispositivo di controllo della societa'. Questo carattere e' rimasto. In nome dell'ordine pubblico, della sicurezza sociale -e si potrebbero aggiungere anche altre pompose dichiarazioni-, i poteri effettivi usano le droghe illegali per giustificare le loro attivita' repressive. Come dice Charles Bergquist, citato da Chomsky nella sua opera Violence in Colombia 1990-2000: "la politica antidroga degli Stati Uniti contribuisce in maniera reale al controllo di un substrato sociale etnicamente definito ed economicamente sfruttato dentro la nazione e, parimenti, serve ai suoi interessi economici e di sicurezza all'estero".
Sembra ragionevole pensare che, come una qualsiasi calamita' naturale, anche il flagello del consumo di stupefacenti rappresenti un problema di cui gli Stati devono farsi carico. E trattandosi di un problema sanitario, sembrerebbe ovvio puntare alla prevenzione. Invece, vediamo che viene affrontato sempre piu' dal lato repressivo. Di fatto, da un paio di decenni e' diventato un problema politico-militare; per la strategia globale del governo statunitense esso ha assunto un'importanza capitale, e' la linea maestra del suo agire -o per lo meno cosi' viene ufficialmente dichiarato. Le droghe illegali giocano un doppio ruolo in questa strategia: da un lato rendono innocui certi strati di popolazione o i soggetti non funzionali al sistema (la tossicodipendenza allontana dalla realta' e dall'eventuale lotta sociale); dall'altro, costituiscono un buon alibi per il controllo poliziesco e militare. E' chiaro che se ci fosse un vero interesse a risolvere l'enorme problema socio-sanitario e culturale rappresentato dalle sostanze psicoattive, la cosa piu' logica da fare sarebbe -come si e' fatto con l'alcol- autorizzarle in modo regolamentato, in altre parole, depenalizzarle. Ma non succede. Eppure, in ogni parte del mondo si levano voci equilibrate che spiegano come l'unica via per porre fine alla violenza e a tutte le conseguenze nefaste di questi traffici sia la legalizzazione. Persino le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), nel marzo 2000 produssero un documento rimasto quasi sconosciuto alla stampa, intitolato "Legalizzare il consumo della droga, unica alternativa seria per eliminare il narcotraffico". Vi si legge: "Il narcotraffico e' un fenomeno del capitalismo globalizzato e dei gringos in primo luogo. Non e' un problema delle FARC. Noi rifiutiamo il narcotraffico. E siccome il governo nordamericano usa l'esistenza del narcotraffico come pretesto per la sua azione criminale contro il popolo colombiano, lo esortiamo a legalizzare il consumo degli stupefacenti. Cosi' si sopprimono alla radice i grandi guadagni derivanti dall'illegalita' di questo commercio, cosi' si controlla il consumo, si assistono clinicamente i tossicodipendenti e si liquida finalmente questo cancro. A grandi mali, grandi rimedi".
Ma gli Stati Uniti non ci sentono da quell'orecchio. La cosiddetta lotta al narcotraffico e' in definitiva l'unico modo che permette alla geostrategia di Washington d'intervenire la' dove gli interessa. O, piu' esattamente, dove ha degli interessi o dove questi sono colpiti. Lo dimostrano il Plan Colombia e le politiche nella regione andina e nell'Asia Centrale, come in Afghanistan: dove ci sono risorse da sfruttare -petrolio, gas, minerali strategici, acqua dolce, ecc.- e/o focolai di resistenza popolare, ecco apparire il "demonio" del narcotraffico. Una volta preparate le condizioni, grazie anche al formidabile aiuto dei mezzi di comunicazione, si puo' passare agli interventi militari -un passo pressoche' obbligato. Il tutto in nome dei sacrosanti valori della civilta' occidentale (leggi: impresa privata intenta ai suoi affari). Con la scusa di combattere un male di dimensioni apocalittiche come appunto viene descrittto il narcotraffico, simile al "comunismo internazionale" con cui si alimento' la paranoia collettiva durante la Guerra Fredda o all'attacco al "fondamentalismo islamico" e al terrorismo a partire dal golpe mediatico dell'11 settembre 2001, i motivi di una militarizzazione globale assoluta sono serviti. Grazie a loro, il governo degli Stati Uniti puo' fare in pratica cio' che vuole, con assoluta impunita': intervenire, sequestrare in qualunque parte del mondo sospetti narcotrafficanti e terroristi, dichiarare guerre preventive. In questo senso il narcotraffico si rivela un grandioso strumento di controllo sociale.
Che fare dunque? All'interno di un capitalismo globalizzato non c'e' molto da fare. Se il demonio e' stato creato per tenere a bada la protesta sociale, e' molto difficile, per non dire impossibile, opporre un contromessaggio. Cio' significa che il narcotraffico sia buono o desiderabile? Ovviamente no. Pero' se noi restiamo fermi a questa bugia, siamo condannati a muoverci in un ambito creato dall'imperialismo. Solo denunciando la menzogna possiamo aspirare a ridurre un po' le macchinazioni perverse in gioco. Ma e' chiaro che e' solo cambiando lo scenario globale che si potra' smontare la menzogna.

Tratto da un lungo articolo di Marcelo Colussi, saggista e scrittore italo-argentino, pubblicato su argenpress.info (traduzione di Rosa a Marca)
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS