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Usa. Canapa industriale e nativi: la Dea ignora e distrugge
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Articolo di Benedetta Marziali
30 agosto 2001 19:24
 
Per il secondo anno consecutivo il lungo braccio della DEA ha colpito la riserva dei Nativi americani Sioux "Cresta di pino". Il 30 di luglio gli agenti federali hanno estirpato la piantagione di canapa industriale* che Alex White Plume ("Piuma Bianca") coltivava in tre ettari di terreno.
Quest'anno le cose si sono svolte in modo del tutto civile, ma lo scorso anno l'intervento della DEA, nella stessa piantagione, si e' svolto con la logistica di un raid militare -come dice White Plume stesso. I rapporti si sono "addolciti", tanto che quest'anno la famiglia del coltivatore e gli agenti hanno fatto colazione insieme prima di dare inizio all'eradicazione. Piuma Bianca non si oppone alle decisioni federali, in cambio non ci saranno capi d'accusa contro di lui o la sua famiglia.
L'accordo "ibrido" nasce "sul campo" perche' deve rispondere a due realta' coesistenti: la legge federale e i diritti tribali di cui godono i nativi: la legge federale non prevede distinzione tra marijuana e canapa industriale mentre il diritto a coltivare cio' che piu' ritengano giusto e' sancito nel trattato col Governo degli Stati Uniti del 1868.
Il 18 luglio scorso White Plume ha scritto una lettera al Procuratore del South Dakota -Michelle Tapken- dove "molto rispettosamente si richiede che le forze dell'ordine siano poste sotto l'autorita' competenti e che si astengano dall'occuparsi delle piantagioni di canapa dei nativi; come sanzionato in un'ordinanza del 1998 a loro favore, ma evidentemente ignorata.
Per la DEA, a dispetto della scienza, "la canapa e' canapa" -come ribadito in un memorandum del 1998, dove si sentenzia, inoltre, che chi voglia coltivare canapa per uso industriale deve ottenere l'appropriata registrazione negli schedari dell'Agenzia; dimenticare i "memorandum" porta direttamente alla persecuzione federale e quindi al carcere.
Di quale appropriata registrazione si parli e' poco chiaro anche all'avvocato che si occupa della cause dei coltivatori, Thomas Ballanco, che sospetta che la Dea abbia ulteriori interessi nel distruggere la coltivazioni di canapa: "una delle ragioni delle zelanti eradicazioni della DEA sono i 500 MLN USD che riceve ogni anno per farlo". La posizione e' facilmente condivisibile se si considera che il 99% delle piantagioni distrutte sono selvatiche o di tipo industriale e che, su ammissione dell'Agenzia stessa, non rappresentano un prodotto stupefacente.
La tenacia nel non considerare i numerosi trattati intercorsi tra le tribu' native e il Governo, sta depauperando le comunita', chiuse nella morsa delle spese legali senza poter trarre profitto da una risorsa a "360°", creando un pericoloso precedente: una bomba che pochi hanno interesse a innescare.
La vicenda e', in ultimo, annoverabile alla politiche della "war on drugs": un'attivita' propagandistica, oltre che remunerativa, di trasparente evidenza, dove la logica del "distruggo ergo risolvo" e' un déja vu tristemente noto.

*(con meno dell'1% di THC, agente psicoattivo presente in percentuali superiori nella marijuana)
 
 
 
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