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Cile. Arriva Cáñamo, la rivista della marijuana
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Articolo di Donatella Poretti
8 dicembre 2003 15:49
 
La storia inizia a Tarragona, Spagna, dove alla fine degli anni Settanta un comitato di consumatori di marijuana si presento' alla procura locale per chiedere se fosse stato un reato quello di fare una piantagione di cannabis, ciascun componente dell'associazione avrebbe piantato 3 piante, con il fine di non utilizzarle per la vendita. La procura stabili' che il reato non c'era, e cosi' fu fatta la semina con relativo atto pubblico. Prima della raccolta, la piantagione venne distrutta dalla polizia, si apri' un processo e il Tribunale Supremo decise che il reato esisteva. Il caso suscito' un clamore tale che migliaia di persone si iscrissero a questo comitato, e da qui' inizia la storia della rivista Cáñamo. Il primo numero apparse nel luglio del 1997, e nella copertina c'era scritto "Ora abbiamo voce".
Il racconto e' di Kim Serra, 49 anni, catalano tecnico in relazioni del lavoro, fondatore e delegato per la pubblicazione mensile. Serra martedi' scorso era in Cile cercando di rifinire i dettagli con il gruppo che a partire da marzo dara' la luce alla versione cilena di Cáñamo.
"Questa versione -spiega Serra- verra' adattata a questo Paese. L'informazione dovra' essere verace, nessuna stupidaggine. In Cile si rispetta la liberta' d'espressione e il tema delle sostanze stupefacenti e' uno di quelli di cui si puo' discutere".
La rivista uscira' ogni due mesi, con 5 mila esemplari distribuiti a Santiago, Valparaiso e Concepcion. Saranno 90 pagine con interviste, reportage, opinioni e dati utili. Il primo numero sara' gratuito.

Il cileno alla testa del progetto che comprende giornalisti, fotografi e pubblicisti, e' Sebastián Binfa, 27 anni, laureando in Veterinaria e membro del collettivo La Mandrágora, noto per vendere bibite energizzanti naturali in alcune feste. Vive con la mamma e racconta "ora non fumo piu' canne, mi hanno annoiato".
Binfa risponde alle domande di Jalil Riff del quotidiano Las Ultimas Noticias, che subito gli chiede di raccontare la sua storia.
"In Spagna ho conosciuto il titolare di uno smartshop -una specie di bar in cui si vendono droghe legali come il guarana' e la salvia divinorum, oltre a libri sul tema-. Io ero impegnato nell'omeopatia e cosi' avevo conosciuto le bibite energizzanti. Nello stesso periodo ho conosciuto Cáñamo. La mia idea era quella di mettere in piedi in Cile uno smartshop e di vendere, tra gli altri libri, numeri della rivista Cáñamo. Quando abbiamo fatto un po' di conti, il noleggio per l'aereo e tutte queste cose, ci siamo resi conto che non era possibile. Questo e' successo a maggio, e mentre stavamo pensando come fare si e' aperta questa possibilita'".
Esiste un "perche'" in questo progetto?
"In Cile c'e' abbastanza ignoranza. Si condanna la marijuana e nessuno e' mai morto per averla fumata, mentre muoiono persone nel sud per mangiare l'amanita muscaria (un fungo allucinogeno) perche' non sanno che non se ne puo' mangiare piu' di dieci grammi e che prima deve essere fatta essiccare. Sono dettagli e su questo noi vogliamo dare informazione".
Binfa riflette sui contenuti della rivista e spiega: "In Cile, quanti consumatori di marijuana ci sono? Secondo la Conace (Commissione Nazionale di Controllo degli Stupefacenti) sono 500 mila e recentemente sono apparsi cannabis.cl e clicca qui, che rientrano nell'ambito della legalita'. Ma non ci sono associazione ne' Ong sul tema. La gente preferisce dare il denaro ai narcotrafficanti all'angolo della strada, fumarsela e via".
Il progetto Cáñamo in Cile comprende, tra gli altri obbiettivi, permettere la coltivazione e il consumo personale. "Mi aveva richiamato l'attenzione il progetto di legge del senatore Nelson Avila, che voleva legalizzare l'autocoltivazione, che non e' la stessa cosa di legalizzare la marijuana. Tieni la tua pianta, e' per te, non la puoi vendere, e' solo per consumo personale. Se una persona ha la sua pianta va a leggere sul tema e ci riflettera' sopra. Pero' oggi questo non succede, nessuno si informa dei pro e dei contro del consumo. E mentre avviene questo, le mafie si impadroniscono dei quartieri periferici e tutti sappiamo quello che c'e' li'".
 
 
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