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Proibizionismo. Studio: la repressione aumenta la violenza e arricchisce i criminali
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Articolo di Pietro Yates Moretti
4 maggio 2010 13:09
 
L'aumento esponenziale di sparatorie, decapitazioni e rapimenti che ha accompagnato la guerra alla droga del Governo messicano era scientificamente prevedibile. Bastava aver riletto la copiosa letteratura scientifica sull'argomento. Lo rivela uno studio dell'International Centre for Science in Drug Policy, gruppo no profit di scienziati canadesi e britannici che ha esaminato oltre 300 studi internazionali sull'argomento pubblicati negli ultimi 20 anni.
Ogni volta che una comunità tenta di aumentare il livello di repressione dei reati legati agli stupefacenti, si produce un aumento dei profitti delle organizzazioni criminali che operano sul mercato nero. A sua volta, questo provoca un aumento vertiginoso della violenza fra gang e cartelli rivali per il controllo del sempre più lucrativo mercato delle droghe. E ogni volta che un boss del narcotraffico viene catturato o ucciso, spiegano gli studiosi, i sostituiti tendono ad essere più brutali e meno sofisticati del precedente. Insomma, un circolo vizioso di violenza di cui fanno le spese milioni di cittadini innocenti.
Lo studio punta il dito soprattutto sulla spesa per l'apparato repressivo degli Stati. Nella guerra alla droga, infatti, è il sistema giudiziario-repressivo (forze dell'ordine, carceri, tribunali) che riceve la stragrande maggioranza dei fondi pubblici, invece del sistema sanitario e quello educativo.
I ricercatori offrono anche un interessante parallelo fra la guerra messicana alla droga, che ha prodotto quasi 20mila morti in pochi anni, e il proibizionismo statunitense all'alcool negli anni 1920. Queste esperienze non sono solo accomunate dal proibizionismo, ma anche dal tasso di incremento delle violenza e di arricchimento delle grandi organizzazioni criminali.
Qui il rapporto in inglese e in spagnolo.
 
 
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