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Assolto proprietario di un negozio online di semi di cannabis. Sentenza e commento
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Articolo di Carlo Alberto Zaina
16 febbraio 2009 9:12
 
La Corte d'Appello di Firenze ha annullato la sentenza di primo grado con cui veniva condannato il gestore di un negozio online di semi di cannabis e materiale per la coltivazione (fertilizzanti, bilancini, etc.). Il giudice di primo grado aveva accolto la tesi dell'accusa secondo cui il proprietario del negozio avrebbe commesso il reato di istigazione all'uso illecito di sostanze stupefacenti (previsto all'articolo 82 della legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti). La Corte ha invece assolto l'imputato, in quanto la sua attivita' e' protetta da un diritto costituzionale, la liberta' di espressione. Segue il commento dell'avv. Carlo Alberto Zaina, difensore del proprietario del negozio. 

La Corte d'Appello di Firenze interviene con una pronunzia che si connota per esemplare nettezza argomentativa, in relazione alla problematica concernente l'applicabilità della disposizione prevista dall'art. 82 dpr 309/90, (e delle relative sanzioni).
La presunta violazione di detta norma, infatti, sempre più spesso viene contestata e posta in relazione all'attività propria dei commercianti di semi di canapa.
Nell'occasione, il Collegio ha assolto l'appellante e ribaltato totalmente il giudizio di colpevolezza espresso dal GUP di Firenze con la sentenza emessa il 23.07.2007 (Cfr. Altalex.com 28.11.2007).
Nella fattispecie, si tratta di una decisione coerente e del tutto lineare, la quale, in primo luogo, pone in risalto la necessaria evidenziazione della differenza intercorrente fra l'istigazione al reato e l'apologia di reato.
L'individuazione dei tratti salienti delle due condotte e dei due istituti giuridici, sopra citati, appare elemento pienamente decisivo allo scopo di potere verificare la sussumibilità della condotta attribuita all'imputato in un eventuale contesto penalmente rilevante.
In primis, e preliminarmente a qualsiasi altra osservazione di carattere metodologico, è apparso dato evidente, quello che l'unica ipotetica qualificazione giuridica dell'azione, che avrebbe potuto operare sensatamente nel caso in questione, era quella data dall'istigazione.
Va ricordato che, già nella sentenza di primo grado, in effetti, era stata categoricamente esclusa la possibilità che la vicenda potesse venire ricondotta - sul piano squisitamente del diritto – alle ipotesi della induzione o del proselitismo, condotte espressamente previste dal testo del citato art. 82 dpr 309/90.
Veniva, così, correttamente focalizzata, come operante nel caso concreto, solo un'azione di natura esclusivamente istigatoria.
Essa veniva ritenuta pertinente in funzione del fatto che – si assumeva in sentenza – attraverso la dotazione di un sito internet, l'imputato ben poteva sollecitare, coloro che avessero avuto accesso al web, all'uso illecito di sostanze stupefacenti.
Una delle manifestazioni di tale illegale esortazione (rectius istigazione) sarebbe, poi, consistita nell'esaltazione degli effetti dei prodotti ricavabili direttamente dalle piante, germoglianti dalla coltivazione dei semi.
Ergo, il messaggio asseritamente illecito, così diffuso, non si sarebbe limitato a suggerire, ai destinatari, l'acquisto dei semi, ma avrebbe – per naturale conseguenza – avuto lo scopo di indurre gli acquirenti, indi, a procedere alla coltivazione di quanto acquistato.
Questo, quindi, in sintesi, sarebbe stato il profilo contenutistico di fatto, che avrebbe legittimato la contestazione della violazione dell'art. 82 dpr 309/90, sotto l'aspetto della esistenza di un comportamento configurante l'istigazione.
E', peraltro, emerso, pacificamente – sia in primo grado, che in sede di giudizio di appello - che la ratio, che sostiene l'istituto dell'istigazione, porta tale illecito atteggiamento a distinguersi in modo evidente dalle previsioni sia del proselitismo, che dell'induzione.
Ricondurre, però, sic et simpliciter, tutto il ragionamento sin qui sviluppato al contesto – seppur specifico – della mera istigazione, a parere della Corte, finiva per costituire operazione, francamente, semplicistica e non corretta.
L'istigazione, infatti, oltre ad esplicitarsi quale espressione di un messaggio illecito indirizzato nei confronti di un destinatario assolutamente specifico e, come tale, quindi, ben individuato, presenta, infatti, un carattere cd. diretto.
Vale a dire che l'istigazione presenta un connotato di volontaria e deliberata spinta e di incitamento – da parte del soggetto agente - al compimento di azioni illecite, che si rivolge in forma diretta nei confronti del destinatario del messaggio.
In pari tempo, essa presuppone una reiterazione nel tempo, sì che l'attività persuasiva non appaia in sé occasionale od episodica, ma strutturata in un disegno criminoso preciso che deve influenzare altri e distinti soggetti, inducendoli ad assumere le condotte criminali così prospettate.
Quando, invece, manchi questa diretta influenzante determinazione del soggetto,cui l'invito illecito viene rivolto, ma si sia in presenza di un condizionamento di carattere mediato, nonchè dell'esaltazione esemplificativa di fatti e circostanze, cioè si verta in un contesto indubbiamente stimolatorio della volontà del soggetto, ma privo del rapporto diretto essenziale nell'istigazione, si è nel campo della apologia.
Or bene, (e credo a ragione veduta), la Corte territoriale opera, con la sentenza in commento, in modo inequivoco il distinguo sin qui ricordato, posto che la condotta fattuale contestata all'imputato rientra nella cornice data dal concetto di apologia.
Non a caso – in una situazione nella quale si è in presenza di un palese dolus bonus, che mira ad esaltare il prodotto in vendita, cioè dinanzi alla magnificazione dei risultati prodotti da una ipotetica coltivazione – ritiene il Collegio che la fattispecie si caratterizzi nel concretare una indubitabile una forma di “manifestazione del pensiero”, e come tale tutelabile.
Per vero, è ovvio rammentare che, laddove l'espressione di tale facoltà si appalesi come idonea a provocare la commissione di reati, l'apologia assume caratteri di illiceità e punibilità.
E', comunque, evidente che il principio di tassatività delle norma penale, in uno con quello di stretta legalità, impongono – sine dubio - non solo che il limite dianzi esposto venga certamente superato, ma che esiste in origine una previsione legislativa che renda perseguibile, in concreto, tale condotta.
E' chiaro che nel caso dell'art. 82 dpr 309/90, si evidenziano due dati decisivi per la soluzione del problema.
1)         Da un lato, non può sfuggire il tenore lessicale della previsione contenuta nell'art. 82 dpr 309/90, il quale sanziona solamente l'istigazione, l'induzione ed il proselitismo.
Vengono, così, focalizzati, in ossequio al rammentato principio di tassatività, i comportamenti che si reputano possano formare oggetto di punizione.
Qualsivoglia altra e distinta condotta, che non rientri nei parametri o che possa venire circoscritta nello steccato delle tre indicate previsioni, non assume – né può assumere - valore penalmente rilevante.
2)         Dall'altro, si deve sottolineare come il rapporto eziologico si dipani fra condotta apologetica ed eventuali effetti dei prodotti ottenuti tramite la coltivazione.
Si può seriamente ipotizzare, dunque, nel tentativo di pervenire ad una completa ricostruzione (dal punto di vista materiale e da quello psicologico) del comportamento ascrivibile all'imputato, la provata sussistenza dell'intenzione di valorizzare il solo cd. uso personale dei ricavati della coltivazione e non già questa specifica condotta di produzione.
Se il descritto iter ricostruttivo porta, dunque, a formulare una conclusione plausibile, e di tale esito non vi può essere dubbio, appare evidente che si rimane nell'alveo dell'esercizio – anche se in una forma che può essere considerata eticamente discutibile – della libertà di pensiero, prerogativa individuale e collettiva tutelata dall'art. 21 Cost.

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       Va, da ultimo, notato, incidenter tantum, che – comunque – la Corte distrettuale sottolinea la palese inadeguatezza della indicazioni fornite in tema di coltivazione.
        Come più volte sottolineato a commento di vicende del tipo di quella in questione, la scelta di fornire generiche delucidazioni in ordine al modo di coltivare piante potenzialmente produttive sostanze stupefacenti, non può assumere rilevanza penale.
          E' patente, infatti, la necessità che l'indicazione concernente tempi, modi e strumenti atti a svolgere l'attività di coltivazione, debba caratterizzarsi per profili di specificità ed idoneità, sì che la tecnica coltivativa, che venga, così, raccomandata e consigliata come utilizzabile nella singola fattispecie, presenti connotati di unicità e non possa affatto venire estesa ad altri e differenti tipologie di coltivazione.
         La fungibilità a l'aspecificità di tali elementi materiali, i quali, dunque, ben possono venire utilizzati anche per coltivazioni differenti da quelle illecite sin qui considerate, costituiscono, quindi, caratteri di assoluto rilievo, nel senso che essi non possono affatto costituire prova di una qualsivoglia forma di istigazione alla coltivazione da aprte del commerciante.

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