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Italia. Cassazione: overdose e' omicidio solo se lo spacciatore poteva prevederla
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6 giugno 2009 9:06
 
Se lo spacciatore di droga non poteva prevedere la morte per overdose del tossicodipendente non puo' essere accusato di omicidio colposo. Le sezioni unite penali della Cassazione hanno notevolmente ristretto la possibilita' di condannare i pusher per un'ipotesi particolare di omicidio colposo (in gergo tecnico: omicidio come conseguenza di altro reato) in seguito alla morte del tossicodipendente al quale hanno venduto la dose letale. I giudici della Corte, con la sentenza 22676, hanno in pratica stabilito che l'accusa di omicidio colposo puo' essere contestata solo quando chi spaccia aveva elementi per prevedere che l'uso di stupefacenti da parte dell'acquirente avrebbe potuto causarne la morte. Una sentenza che ha percio' annullato la condanna nei confronti di uno spacciatore romano accusato per la morte di un tossicodipendente provocata dalla dose che gli aveva venduto. Il caso affrontato dalla Cassazione risale al 15 dicembre 1995. Il giovane, insieme con altri due amici, aveva acquistato eroina da Ivano R. e poco dopo essersela iniettata si senti' male e mori'. In primo grado lo spacciatore venne condannato per il possesso di droga ma assolto dalle accuse di cessione e di omicidio colposo perche' il tribunale ritenne non utilizzabili le dichiarazioni rese alla polizia dopo l'arresto.
In appello la sentenza fu ribaltata e nel 2002 Ivano R.
condannato a 1 anno e 6 mesi per possesso e cessione di droga e a due anni per omicidio "come conseguenza di altro reato".
Contro questa decisione la difesa e' ricorsa in Cassazione e i giudici della quarta sezione penale hanno trasferito gli atti alle sezioni unite in quanto sulla questione relativa alla responsabilita' dello spacciatore per la morte del tossicodipendente successiva all'assunzione della droga, la giurisprudenza negli ultimi anni si e' espressa in modo diverso. Dopo un'articolata valutazione delle precedenti sentenze discordanti e anche della giurisprudenza costituzionale riguardante il principio di colpevolezza, la Cassazione ha precisato che non basta "il mero rapporto di causalita' materiale" fra la vendita della droga "l'evento diverso ed ulteriore". In sostanza. Soltanto "se si accerta la sussistenza di un coefficiente di prevedibilita' della morte - scrivono le sezioni unite - si puo' dedurne una forma di responsabilita' per colpa". E nel caso che ha portato alla condanna di Ivan R. la Corte sottolinea che dalle indagini medico legali era emerso che la morte del tossicodipendente era stata causata dalla "miscela" tra eroina e alcol. Un cocktail letale soprattutto perche' il giovane "faceva uso di diversi medicinali".
In altre parole, dal momento che la dose di eroina venduta rientrava nelle "normali quantita'", e che lo spacciatore non aveva alcun elemento per conoscere le abitudini del suo "cliente" occasionale, ne' per essere informato del fatto che fosse "dedito all'alcol e facesse uso di medicinali", non puo' avere alcuna colpa per la morte del ragazzo. In sostanza la Cassazione stabilisce che "l'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza e' quella che richiede una responsabilita' per colpa in concreto, ossia ancorata ad un coefficiente di prevedibilita' in concreto del rischio connesso". La Corte, nell'annullare con rinvio la condanna per omicidio colposo, conferma la pena di 1 anno e 6 mesi per cessione di droga e indica ai giudici d'appello che dovranno celebrare il nuovo giudizio per l'omicidio la strada da seguire: "dovra' escludersi la responsabilita' in tutte le ipotesi in cui la morte risulti in concreto imprevedibile, in quanto intervenuta per effetto di fattori non noti come potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso di cessione di una sostanza 'normale' per qualita' e quantita' e di morte dovuta alla contemporanea assunzione di alcol che abbia accentuato gli effetti della droga".
 
 
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