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Il Tropico della coca
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Articolo di Wálter Fanganiello Maierovitch *
23 agosto 2004 19:59
 
Chapare, 4 agosto 2004. Ora di pranzo per studenti e professori del corso itinerante di specializzazione promosso dalla Scuola di Giornalismo Autentico di Narco News, diretta dal giornalista nordamericano Alberto Giordano.
Piatto del giorno: pesce, manioca e fave. Non mancavano birra e succo di arance, fatto da spremitori manuali made in Brasile. Il refettorio e' a cielo aperto e si trova all'interno di un parco ecologico amazzonico, vicino a Vila Tunari nel Chapare. Tutto questo sotto il caldo e l'umidita' del Tropico di Cochabamba, conosciuto anche come il Tropico della Coca.
In una delle tavole, circondata dai giornalisti del corso, si sono ritrovati due vecchi conoscenti: Silvia Natália Rivera e José Mirtenbaum. In attesa del cibo, si aggiornano e masticano foglia di coca: pinchar hojas de coca, come dicono i boliviani.
Visti da lontano, e per chi non lo sapesse, poteva sembrare che Silvia e José masticassero un chewing-gum e avessero una palla da biliardo nella guancia. Niente di tutto questo, da una parte della bocca i nativi depositano le foglie di coca, triturate con i denti e mischiate con un po' di cenere, per togliere l'amaro dal succo. Il risultato finale per gli stranieri curiosi che masticano la foglia di coca: bocca, lingua e gola semi anestetizzate. "Il pesce non ha nessun sapore", reclamava un giovane giornalista brasiliano.
Silvia si presenta elegante dall'alto dei suoi 54 anni e dei suoi pochi capelli grigi: "Sono gia' nonna, bambina". Usa sempre dei cappelli, scialli dai colori accesi, gonna lunga e trecce lunghe, uguale a tutte le donne del suo popolo aimará. José e' un boliviano di 56 anni e di discendenza polacca. Barba rasata, jeans e maglietta di cotone, come quando fuggi' dalla dittatura boliviana e ando' in esilio a New York. Approffitto' di questo periodo di uscita forzata dal suo Paese per utilizzare la sua laurea e insegnare nelle universita' gringhe.
Per gli altri commensali, Silvia e José ripetevano, con l'insistenza degli insegnanti convinti: "la coca non e' la cocaina". Gli aimarás, quéchuas, guaranis lo sanno fin dalla nascita. Questi popoli indigeni masticano la foglia di coca che e' considerata sacra. Inoltre, l'estratto della foglia masticata e' stimolante. L'effetto e' psicoattivo, simile a quello provocato dal caffe' e dalla Coca-Cola.
Molte persone "ciucciano" piu' di un litro di Coca-Cola e poco sanno della sua storia. E che storia! L'italiano Angelo Mariani mise in commercio un vino che conteneva un estratto della coca nel 1863. Ebbe un enorme successo fino al 1885. Allora un tale John S. Pemberton lo supero' con il French Wine Cola. L'anno seguente la bevanda cambio nome in Coca-Cola. Nell'etichetta c'era scritto: Coca-Cola, ideal tonic and nerve stimulant.
Silvia sottolinea, inoltre, che masticare foglia di coca non pregiudica la salute. Dei 14 alcaloidi, spiega, ce n'e' uno che aiuta ad assorbire le proteine e le vitamine. Questo spiega perche' i nativi, sfruttati dagli spagnoli, riuscivano a lavorare molto, mangiando quasi nulla. Sopravvivevano grazie alla coca che riusciva a trarre giovamento delle sostanze nutrienti presenti nella loro parca alimentazione. Da li' veniva la forza per lavorare nelle miniere degli sfruttatori spagnoli, detti "colonizzatori".
Uno studente si chiede: "Quanto mastica un nativo al giorno, professoressa Silvia?", "Lei di quale giornale e'? Quale giornale le ha dato la borsa di studio per il corso? Scriva: da 25 a 75 grammi al giorno. Lo ricordo sempre ai miei studenti di Sociologia dell'Universita' Andina Simon Bolivar, in Ecuador, e dell'Universita' Mayor de San Andres, a La Paz". Regolarmente, Silvia tiene dei corsi anche a Madrid, New York, Washington e Houston.
C'e' un'altra cosa, mette in evidenza Silvia: i nativi e i contadini boliviani, chiamati cocaleros e organizzati in sindacati, non fanno uso del cloridrato o del solfato di cocaina. Sanno che la macerazione della foglia di coca e l'aggiunta delle sostanze chimiche -tipo etere e acetone- fanno male alla salute: nessun precursore chimico e' prodotto in Bolivia. Inoltre la Bolivia non ha una industria chimica nemmeno per fabbricare la testa di un fiammifero, conclude.
A rafforzare le parole della sociologa aimará, José spiega che la tradizione di masticare la foglia di coca si e' diffusa tra i popoli andini intorno all'anno 3.000 a.C. L'"industria della cocaina" si insedio' durante la dittatura di Hugo Banzer e Kissinger lo sapeva. Il re della borracha, Roberto Suarez, divento' il sovrano della cocaina. Usava per la produzione e lo stoccaggio le sue fabbriche a Guajara-Mirim, alla frontiera con il Brasile. Gli uomini di fiducia di Roberto Suarez lavoravano e consigliavano il dittatore Banzer.
E' interessante riflettere su di un dato, sottolinea José: "I nativi masticano la coca quando camminano da soli, o si ritrovano con amici. Diventano piu' attenti e programmano il loro lavoro. Il cervello lavora piu' rapidamente e il ragionamento ne e' stimolato. Nelle riunioni, la conversazione e' sempre proficua. Non si esce mai fuori dal discorso. I nordamericani proibiscono la masticazione della coca, ma si riempiono di bevande alcoliche nei bar. Ubriacati dall'alcol parlano a vanvera. Nessuno ricorda nulla il giorno dopo". Risata generale. Un brasiliano aumenta la dose: "Nel mio Paese si usa dire che il sedere di un ubriaco non ha padrone".
Con abilita', Silvia riprende la conversazione. Nelle Convenzioni dell'Onu del 1961, i nordamericani sono riusciti a mettere -nella stessa tabella delle droghe proibite- la coca e la cocaina. Per questo, sono qui in Bolivia. Hanno gia' costruito anche una base militare. Sara' che in Chapare c'e' il petrolio?
Durante la dittatura, l'ambasciata nordamericana preparo' un progetto di legge che divenne il n.1008, del 1988. Immaginate l'assurdita' di un caso gia' avvenuto qui e immaginatevi la stessa legge in vigore negli Usa: un pacchetto di solfato di cocaina e' stato trovato in un pullman pieno di passeggeri. Percorreva il tratto Chapare-Cochabamba. Tutti i viaggiatori vennero arrestati. Il giudice non accetto' l'accusa generica e il procuratore fece ricorso. Per questo, restarono tutti in carcere. Solo dopo molti vennero assolti grazie ad una sentenza di un giudice. Ma nessuno assolto venne liberato. Si e' dovuto attendere che la Corte Superiore della Giustizia riesaminasse il caso. E per questo si e' dovuto aspettare circa 5 anni.
Per la legge boliviana, si puo' piantare la coca solamente a Yungas de La Paz, e non piu' che 12 mila ettari. Nel Chapare, le piantagioni sono illegali e abbiamo circa 6 mila ettari illegali di coltivazioni.
La proibizione non tiene conto dell'uso tradizionale. E il Governo e l'ambasciata nordamericana danno denaro affinche' i procuratori dell'antidroga perseguano i cocaleros. Non comprendono che la foglia di coca non e' la cocaina, ripete Silvia.
Una pausa e arriva il pesce. Prima della prima forchettata, Silvia dice che il Plan Dignidad delle coltivazioni sostitutive, finanziato dall'Onu e dagli Usa, era una specie di Plan Colombia fatto per i boliviani.
Per completare il pasto, te' di coca. Semplicemente estraendo dalla scatolina con 60 sacchetti, venduti in qualsiasi supermercato boliviano.

* Gia' segretario antidroga del Brasile
 
 
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