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Quando il narcotraffico e' consustanziale, il futuro incerto dell'America Latina secondo Mario Vargas Llosa
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Articolo di Donatella Poretti
24 ottobre 2004 15:35
 
Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa e' certo che "su di un solo tema si puo' assicurare enfaticamente che l'America Latina sta molto meglio ora che 25 anni fa: ci sono meno dittature e, con l'eccezione della Colombia, le guerre civili sono finite e una convivenza, spesso tesa e precaria, ha sostituito le antiche mattanze. Tuttavia, salvo il Cile, in nessuno dei Paesi latinoamericani si avverte uno sviluppo reale, ne' in termini macroeconomici ne' tanto meno rispetto ad una diminuzione della poverta' o ad un aumento delle opportunita' per gli strati sociali piu' bassi, in maniera tale da rompere il confinamento nel sottosviluppo".
Inizia cosi' il commento che Vargas Llosa ha scritto per El Pais, pubblicato su molti altri quotidiani del continente latinoamericano. "[.] in America Latina l'insediarsi di regimi democratici non ha portato, come conseguenza, una drastica riforma dello Stato per purgarlo da cio' che e' divenuta la principale fonte della inattivita' della democrazia: la corruzione. Da una parte all'altra del continente, questa si estende come un fango putrido in cui restano paralizzati, insudiciati o asfissiati tutti gli impegni modernizzatori, ed e' la ragione principale per lo scoraggiamento e la frustrazione che spinge ogni anno migliaia di latinoamericani ad emigrare verso gli Stati Uniti, l'Europa, l'Asia e l'Oceania.
Uno degli effetti piu' nefasti della corruzione e' stato quello di snaturare misure come quella della privatizzazione del settore pubblico, indispensabili per il decollo di un Paese, che ora trova ovunque una crescente resistenza popolare. [.] Le industrie illegali, invece, come quella del narcotraffico, hanno saputo approfittare in alcuni casi molto meglio dei governi della globalizzazione e delle nuove tecnologie per decentralizzare le loro operazioni e per nascondersi dietro a facciate legali, in maniera tale che nella maggior parte dei Paesi dell'America Latina operano con una mobilita' ed una efficacia che gli garantiscono praticamente totale impunita'. In Paesi come la Colombia e il Messico -ma certo non sono gli unici- la produzione e la commercializzazione della droga da' da mangiare a tanta gente, assicura l'esistenza di tante imprese e lavori dignitosi, e' il sostentamento di tanti professionisti, funzionari e politici che non e' esagerato dire come il narcotraffico e' niente meno che consustanziale con la societa' e che l'idea di porvi fine e' divenuta, in un futuro piu' o meno vicino, una chimera.
Un Paese non puo' modernizzarsi e svilupparsi se i suoi cittadini vivono nell'insicurezza, con il perpetuo sospetto che in qualsiasi momento possono essere attaccati, sequestrati, truffati, e che i poliziotti e i giudici non solo sono, nella maggiorparte dei casi, incapaci di difenderli, ma che, molto spesso, sono complici di coloro che li aggrediscono e li violentano perche' possono corromperli o intimidirli. [.]
L'unico Paese che in America Latina sembra essere uscito da questo circolo vizioso e' il Cile, un caso di cui si parla poco, perche' ricordarlo sembra una forma di giustificazione della dittatura di Pinochet. Questo e' assurdo. [.]
Ma una cosa e' sicura: che il decollo economico del Cile si e' realizzato dopo e non prima della democratizzazione del Paese e grazie al consenso, su cui ora sono unite tutte le forze politiche, verso un modello economico liberale [.]
Eppure, nonostante questo, il caso cileno non serve come modello in America Latina visto che non c'e' un solo governo che abbia l'integrita' morale e politica di imitarlo. L'unico che ci ha provato, quello di Uribe in Colombia, vede i suoi sforzi frenati per il logorio di una guerra difficile, in cui uno Stato povero, debole e corrotto si trova a combattere contro una guerriglia finanziata dallo strapotente narcotraffico e dalle non meno prospere industrie del sequestro e del crimine".
 
 
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