Recentemente, con il D. Lgs. n. 28/2015, è stata introdotta dal legislatore una nuova causa di non punibilità per "particolare tenuità del fatto", già esistente, con presupposti e finalità diverse, per il processo minorile e per alcuni reati di competenza del giudice di pace.
In sostanza, il giudice, in presenza di determinati presupposti, può dichiarare non punibile l’imputato (o l’indagato se applicata in fase di indagini preliminari) con una sentenza, per così dire, in rito e non nel merito della responsabilità. La pronuncia, tuttavia, viene iscritta nel casellario giudiziario in modo che il giudice possa sapere se l’interessato ne ha già usufruito. Per questo motivo ed anche perché la pronuncia ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo l’imputato potrebbe avere interesse a rinunziarvi, ma ciò non è stato previsto dal legislatore che sul punto ha lasciato ampia – forse troppa - discrezionalità al giudicante.
Si tratta di una norma destinata ad avere larga applicazione ed i cui effetti dirompenti – e per certi versi auspicabili – si sono già fatti vedere nella prassi giudiziaria, a cominciare dalle prime applicazioni per i piccoli furti nei supermercati (Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3936; Trib. Firenze 25 settembre 2015, n. 4415).
Evidente l’intento di alleggerire il carico del contenzioso penale e di mitigare la rigidità del principio di obbligatorietà dell’azione penale, laddove gli interessi in gioco non giustifichino lo spreco di tempo e risorse richiesto dalla celebrazione di un processo penale. E’ da tempo sotto gli occhi di tutti gli operatori, infatti, l’assoluta sproporzione tra i mezzi impiegati dalla macchina della giustizia per la celebrazione di un dibattimento pubblico (con la necessaria presenza di giudice, pubblico ministero, avvocato, cancelliere, ufficiale giudiziario, addetto alla trascrizione, personale di polizia etc. etc.) e gli obiettivi perseguiti con l’applicazione di sanzioni penali per alcune fattispecie di reato, a volte punite con ammende o multe addirittura inferiori ai cento euro, così da rendere del tutto irrazionale l’azione amministrativa in questo settore così delicato.
Per questi motivi - ed anche perché contribuisce a restituire al cittadino un’immagine della giustizia meno inconcludente e più funzionale alle esigenze della collettività – la norma va salutata con favore, nonostante le forti perplessità avanzate da alcuni commentatori.
Questi i presupposti per la sua applicazione:
- che i reato sia punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena;
- che per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa sia di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale;
- l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona;
- il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Nessuna preclusione, dunque, per particolari tipologie di reato individuate “a monte”, come dimostrano le prime applicazioni delle giurisprudenza di merito, che ha riconosciuto all’imputato la causa di non punibilità, ad esempio, anche in materia di reati edilizi (v. Trib. Firenze, sent. 17.12.2015, n. 6219) e neppure per quei reati caratterizzati dalla presenza di soglie di punibilità, come, ad esempio, la guida in stato di ebbrezza, come è stato deciso da una recente pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 25 febbraio 2016), che ha risolto un contrasto insorto in seno alla sesta sezione. Tra le altre cose, le Sezioni Unite hanno anche stabilito che alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge, come la sospensione della patente di guida.