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Gb. Perche' punire gli sportivi per marijuana?
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Articolo di Alessandro Garzi
15 ottobre 2003 19:07
 
Le sostanze "dopanti" per gli sportivi, sono bandite dalla World Anti-Doping Agency secondo tre criteri: se migliorano le prestazioni sportive, se queste mettono a repentaglio la salute degli atleti, se l'uso viola le regole di sportivita'.
Le droghe per uso "ricreazionale", violano, di solito gli ultimi due punti, anche se sostanze come la cocaina possono migliorare le prestazioni in alcuni sport, ma sicuramente non nel calcio.
Secondo una inchiesta fatta dalla Bbc, il 46% dei calciatori inglesi era al corrente che alcuni loro colleghi facevano uso di droghe: non sostanze "dopanti", ma semplicemente cocaina in discoteca, o marijuana in casa di qualcuno.
La Federazione inglese proibisce l'uso di droghe illegali in quanto, come si legge sulle linee guida "l'uso di droghe illegali mette a repentaglio lo sport e puo' rovinare una carriera"
Ma proibire semplicemente l'uso di droghe nello sport -si chiede Michael Hann sul quotidiano britannico "The Guardian"- e' abbastanza? "Se le droghe illegali mettono a repentaglio la salute di un atleta, altrettanto fanno le droghe legali, come l'alcool", e in questo caso sono noti in tutto il mondo i casi di Jimmy Greaves e George Best, "e lo sport non e' certo messo in una luce peggiore da un calciatore che fuma uno spinello piuttosto che da un gruppo di colleghi ubriachi che vanno a molestare alcune ragazze (e' un caso di cronaca recente che vede protagonisti alcuni calciatori inglesi n.d.r.)".
"Considerare doping -prosegue Hann- le sostanze stupefacenti, come, e soprattutto la marijuana, significa utilizzare le strutture antidoping come una estensione delle forze di polizia, cioe' qualcosa che esula dal loro compito. In un momento in cui si va verso leggi meno severe su alcune sostanze, e' per lo meno perverso il trattamento riservato ai professionisti dello sport. Se non viene fatto danno a nessuno (e questo non e' certo il caso di bande armate o di narcotraffico), e non esiste nessun vantaggio nella competizione sportiva, le federazioni non dovrebbero avere il diritto di regolare la vita sociale dei loro iscritti".
Il caso piu' eclatante e' quello del calcio, dove l'uso di stupefacenti e' di gran lunga maggiore rispetto gli altri sport, ma dove e' sicuramente minore quello di sostanze dopanti (almeno in Gran Bretagna). Tra il 1998 e il 2002, sono stati trovati 29 calciatori positivi alla marijuana su un totale di 72 trovati in tutto lo sport britannico, mentre per l'uso di sostanze stimolanti, il rapporto e' di 71 su 458. Ma la maggioranza dei calciatori in questa ultima categoria e' risultata positiva alla cocaina, piuttosto che alle sostanze che vengono solitamente trovate nel sangue degli altri atleti.
Le pene, per chi fa uso di cocaina sono particolarmente severe: i calciatori ricevono squalifiche per nove anni e tre mesi, mentre i giocatori di hockey, negli ultimi anni hanno anche raggiunto i due anni lontano dalle gare. Un calciatore, per marijuana e' stato sospeso per tre mesi.
"Ma questi -conclude Hann- non sono i cosiddetti 'modelli'. Chi, al di fuori di una piccola cerchia ha mai sentito nominare i giocatori di hockey (sport non molto seguito in Gran Bretagna)? Ed i calciatori che sono stati trovati positivi, sono per lo piu' giovani, lontani dalla fama dei loro colleghi nelle prime squadre, e sono stati puniti per essere 'tossicodipendenti' in un modo del tutto sproporzionato, ad esempio, agli altri ragazzi che stavano fumando con loro. Se si crede davvero, come Gordon Taylor (presidente della federcalcio inglese n.d.r.) di togliere di mezzo le droghe ricreazionali dallo sport professionistico, si vada alla polizia a denunciare gli atleti. Forse sara' qualcosa di eccessivo, ma in questo modo non si fara' social engineering mascherato da promozione delle virtu' sportive".
 
 
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