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Francia. Come si cerca d'aiutare i giovani a fare a meno della cannabis
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Articolo di Rosa a Marca
3 marzo 2005 15:28
 
La Francia e' tuttora il primo Paese consumatore di cannabis in Europa, con 850.000 fumatori regolari, di cui 450.000 giornalieri, specialmente giovani. Una campagna di prevenzione, lanciata l'8 febbraio, tenta di distruggere l'immagine positiva e festaiola della cannabis, informando sugli effetti nocivi conseguenti a un consumo massiccio e regolare. Contemporaneamente sono stati aperti 220 centri di consultazione specializzata e una linea telefonica.
L'esperienza del servizio di Michel Raynaud all'ospedale Paul-Brosse di Villejuif, uno dei primi e piu' sperimentati in questo campo, e anche l'unico a disporre di letti per eventuali ricoveri.
Le richieste che gli arrivano sono differenti a seconda della tipologia del consumatore di droghe. Ma come si svolge la prima consultazione, sempre cosi' delicata? Il dottor Amine Benyamina, psichiatra specializzato in dipendenze, spiega a grandi linee la presa in carico, fondata su un lavoro motivato e associato a terapie cognitivo-comportamentali. O anche, a seconda dei casi, sulla psicoterapia o dei trattamenti farmacologici. Il primo contatto avviene per telefono, spesso su richiesta dei genitori preoccupati del cambiamento del figlio. In uno dei primi colloqui il giovane viene ricevuto senza i genitori da un infermiere specializzato che l'aiuta a riempire un questionario molto dettagliato (ma riservato) al fine di definire meglio il suo caso: il primo contatto avuto con la sostanza; le modalita' di assunzione; gli effetti secondari di ordine psichiatrico o somatico; le conseguenze sugli studi, le difficolta' familiari o giudiziarie. Il questionario permette altresi' d'analizzare i problemi di dipendenza. Altre questioni piu' generali riguardano gli effetti positivi (sentimento d'appartenenza a un gruppo, per esempio) o negativi (conflitti con i genitori, pensieri paranoici).
In un secondo tempo il giovane e' ricevuto con i suoi genitori da uno psichiatra. "Ascolto le inquietudini dei genitori in presenza del ragazzo. E' molto importante vederli una prima volta insieme", assicura il dottor Benyamina. "Poiche' e' illusorio sperare in una cura del paziente se si escludono i suoi genitori". Cio' consente anche di dare delle spiegazioni sull'iter terapeutico successivo. In otto casi su dieci bastera' una sola visita per informare sui danni legati a un consumo episodico della cannabis e a rassicurare i familiari. "Non e' perche' un giovane fuma occasionalmente uno spinello che debba diventare per forza tossicomane o schizofrenico", rassicura lo psichiatra. "Il fatto d'introdurre un terzo, dotato di conoscenze, nella relazione genitori-adolescente consente loro di uscire da un confronto sterile", aggiunge. "Libero l'adolescente di tornare in seguito". La meta' di questi torna almeno una volta. Ma intanto il messaggio e' passato. Essi riescono a ridurre da se' il consumo, sono piu' vigili e collegano al consumo le loro difficolta' di concentrazione, le turbe della memoria.
Un trattamento specializzato si rivolge a piu' soggetti. E parte dal concetto che oggi la cannabis e' particolarmente carica di principio attivo (attorno al 10% o 15%) contro il 3%-5% di una ventina di anni fa. Al termine di un colloquio o due, lo psichiatra sara' in grado di valutare la dipendenza fisica e soprattutto psicologica. A quel punto avviera' un lavoro sulla motivazione a smettere, basato su tecniche classiche che passano dall'empatia e la riformulazione del discorso del paziente, evitando lo scontro. "Lo scopo dei colloqui e' proprio quello di dargli realmente la voglia di smettere". Il trattamento mira anche a far fronte a situazioni critiche: come rifiutare uno spinello, come non accettare certi inviti rischiosi.
Quando la motivazione c'e' davvero, il terapista propone una disassuefazione in ambulatorio o in ospedale di due o tre settimane. Con un contratto molto chiaro: astinenza totale, se no si esce. In caso di bisogno al paziente sono prescritti degli ansiolitici, talvolta degli antidepressivi se i segni della depressione sono evidenti, o anche degli antipsicotici. "Abbiamo iniziato con le degenze appena diciotto mesi fa, ed e' ancora troppo presto per valutare l'efficacia delle cure e il tasso di eventuali ricadute", precisa senza infingimenti il dottor Benyamina, che pure e' ottimista. In un secondo tempo i pazienti possono intraprendere una psicoterapia. E sembra anche necessario costituire un gruppo di parola con i genitori perche' possano scambiare le loro esperienze e difficolta'. Giacche' una famiglia informata e decolpevolizzata si inserire meglio nel processo di cura.
 
 
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