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Brasile. I test antidroga sul lavoro: dipendente o tossicodipendente?
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Articolo di a cura di Donatella Poretti
8 marzo 2004 20:00
 
Il quotidiano brasiliano Folha de S.Paulo ha pubblicato un'inchiesta sul mondo del lavoro e i test antidroga. Non esistendo, infatti, una legislazione in materia, le opinioni sulla legalita' dei test sono oggetto di dibattito e di confronto fra le diverse posizioni. I due laboratori di San Paolo -USP e Maxilab- che praticamente sono quelli che concentrano quasi tutte le analisi che vengono fatte nel Paese, hanno almeno 300 aziende che inviano i test (urine e capelli). Il laboratorio di analisi tossicologiche dell'Univesita' di San Paolo, negli ultimi tre anni ha fatto 10.130 test per conto di 227 imprese brasiliane; il Maxilab, un laboratorio privato ma diretto da professori dell'USP, ha 73 ditte tra i suoi clienti, e in tre anni ha analizzato 37.000 campioni.
Di questi 47.130 campioni, sono risultati positivi un 2%. La maggioranza alla marijuana, quindi cocaina e anfetamine. Le aziende che realizzano questi test sono soprattutto quelle del settore dei trasporti; mentre le piu' grosse sono l'Embraer (industria aerea), l'Esso Brasil (petrolifera), la Caterpillar (metallurgia), e la Trasportadora Americana (trasporti).

La polemica per questi esami e' sia di tipo giuridico che medico. In mancanza di una legge del lavoro che proibisca questi esami, prevale il principio del diritto dell'individuo alla privacy, all'intimita', vita privata e immagine previsti nella Costituzione Federale. Sarebbe a dire, che l'impiegato fara' il test solo se lo vorra', sottoponendosi percio' volontariamente. Ma sulla volontarieta' emergono dei dubbi.
Se infatti Marcelo Pereira Gomara, avvocato del gruppo di consulenza legale per le imprese, Tozzini Freire e Teixeira e Silva, spiega che le aziende stanno "agendo nell'ambito della legalita', ossia lasciando la decisione finale al dipendente e non divulgando l'esito, e quindi non ci sono problemi". Che invece intravedono dall'OAB (l'Ordine degli Avvocati del Brasile), secondo cui i dipendenti accettano di fare i test sotto una sorta di "ricatto" dovuto alla fragilita' dei contratti di lavoro e agli alti indici di disoccupazione (a gennaio l'indice era all'11,7%). "E' un falso moralismo (la mancanza di obbligo per fare l'esame). I test sfruttano la necessita' del lavoratore di mantenere il posto", spiega cosi' Raimundo Cesar Brito, segretario generale dell'OAB.
La segretaria nazionale delle Politiche Sociali della Cut (Centrale Unica dei Lavoratori), Gilda Almeida de Souza, va sulla stessa linea: "e' chiaro che il lavoratore che si rifiuta di fare il test verra', in una qualche maniera, punito. Puo' anche darsi che vengano utilizzati altri meccanismi per il licenziamento, ma anche la non accettazione puo' essere un motivo per il suo allontanamento".

Ancora altri problemi ci sono se la questione la si guarda dal punto di vista medico. I risultati dei test medici non devono essere divulgati, e secondo il codice etico solo il medico e il paziente vi possono avere accesso.
Sia l'USP che Maxilab accettano cosi' dei campioni che non hanno nessun riferimento nominale, ma solo un numero identificativo. I risultati vengono poi inviati all'azienda e l'informazione viene conosciuta dai funzionari superiori e dagli psicologi che poi hanno in cura il dipendente nei diversi programmi di attenzione per tossicodipendenti e alcolisti che si realizzano all'interno dell'azienda.
"Questo infrange il segreto medico. Riferire queste informazioni e' un'infrazione etica grave. E' la stessa cosa che non assumere una persona perche' e' sieropositiva", precisa Antonio Goncalves Pinheiro, consigliere del CFM (Consiglio Federale di Medicina).
A tranquillizzare ci pensa il medico tossicologo Ovandir Alves Silva, direttore scientifico della Maxilab e docente all'Universita' di San Paolo. Non c'e' ragione per allarmarsi, i test vengono fatti solo in quelle imprese che hanno dei programmi per la prevenzione e la riabilitazione dall'uso di droghe. "L'obbiettivo e' l'aiuto, il trattamento e non la punizione. Le imprese si fanno carico dei test tossicologici come parte della responsabilita' sociale che hanno nei confronti dei loro funzionari. E i dipendenti lo comprendono", spiega un po' maternalisticamente.

Infine, un'altra questione polemica e' quella della metodologia delle analisi. Secondo Regina Lucia de Moraes Moreau, del laboratorio dell'USP, un risultato positivo rivela solo un contatto di un individuo con una sostanza stupefacente, ma non la quantita' consumata o il tempo intercorso tra l'analisi e l'assunzione. Se infatti alcune sostanze come la cocaina possono lasciare tracce nell'organismo fino ad otto giorni, la marijuana puo' essere rintracciabile fino a 28 giorni.
 
 
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