testata ADUC
Bolivia. La coca, le eradicazioni e le coltivazioni alternative
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Donatella Poretti
25 ottobre 2003 14:43
 
Il neo ministro dell'Interno Alfonso Ferrufino ha confermato all'ambasciatore statunitense David Greenlee che le eradicazioni forzate di coca proseguiranno senza pause, mentre dal dipartimento del Tarija istituzioni civili e legislatori locali chiedono che venga indetto un referendum sulla "foglia sacra".
"Abbiamo politiche dello Stato che sono state adottate da molto tempo e per ora queste politiche sono in vigore. Cio' che desideriamo e' aprire uno spazio di confronto per affrontare fino in fondo il tema del narcotraffico, tuttavia non abbiamo preso in considerazione di realizzare una pausa" delle eradicazioni delle coltivazioni illegali di coca, ha spiegato ieri il ministro Ferrufino nel corso del suo intervento per le celebrazioni del XX anniversario della creazione dell'Unidad Movil de Patrullaje Rural (Umopar) a Chimoré, nel dipartimento cochabambino del Chapare.
"La revisione della Legge 1008 (che regolamenta la coca) e' una operazione che deve essere fatta dal Congresso Nazionale, e mi immagino che ciascun gruppo politico che compone il Parlamento elaborera' le sue proposte", ha aggiunto il ministro. Lo stesso che esattamente una settimana fa -cioe' appena assunto l'incarico ministeriale- aveva detto che la Legge 1008 sarebbe stata rivista e che stava verificando insieme ai cocaleros cosa fare della coca eccedente rispetto a quella prodotta in maniera legale nei 12 mila ettari dello Yungas.
Alle celebrazioni era presente anche l'ambasciatore statunitense che ha spiegato come esistano due Chapare, quello dello sviluppo alternativo, che si dedica a produrre palmito, peperoni, ananas e banane; e quello della coca illegale, che porta conflitti e scontri nel Paese. Il diplomatico ha cosi' precisato che sara' il lavoro che il ministero dell'Interno realizzera' insieme agli uomini dell'Umopar che determinera' "che tipo di zona sara' il Chapare e che tipo di Paese sara' la Bolivia".

E' davvero tutto cosi' semplice come suggerisce l'ambasciatore Greenlee? Le coltivazioni alternative, quelle su cui scommettono le stesse Nazioni Unite, sono davvero la "soluzione" per i coltivatori di foglia di coca, i cocaleros?
Su questo riportiamo un interessante commento di Andres Oppenheimer tratto dal quotidiano di Miami El Nuevo Herald.

La Bolivia e la guerra contro le droghe

La sanguinaria rivolta dei cocaleros e dei sindacati di sinistra che ha abbattuto il Governo della Bolivia la scorsa settimana dovrebbe generare un serio dibattito a Washington sul fatto se non sia arrivato il momento di ri-valutare la "guerra" degli Stati Uniti contro le droghe.
No, non sto proponendo la legalizzazione delle droghe, e neppure che gli Stati Uniti lascino perdere tutte le loro operazioni di interdizione nei confronti dei narcotici all'estero.
Tuttavia la morte di 80 manifestanti nelle proteste della Bolivia la scorsa settimana e il collasso del Governo costituzionale dell'ex presidente Gonzalo Sanchez de Lozada pongono delle domande in merito alla politica statunitense di sostenere l'eradicazione forzata delle coltivazioni di coca senza offrire ai campesinos alternative soddisfacenti.
In una intervista rilasciata durante le sue prime ore di esilio negli Stati Uniti, l'ex presidente Sanchez de Lozada mi ha detto che le esportazioni di coca della Bolivia erano riuscite a generare 500 milioni annuali di dollari alla fine del decennio passato: una cifra importante considerato che il totale delle altre esportazioni del Paese arrivavano alla cifra complessiva di 1.500 milioni di dollari.
Quando la Bolivia, con il sostegno degli Stati Uniti, ha eradicato la maggior parte delle coltivazioni illegali di coca negli ultimi quattro anni, le entrate del Paese sono crollate in maniera significativa. Nonostante gli sforzi e le promesse di sviluppare coltivazioni alternative come palme, banane e ananas, il Paese non ha piu' potuto recuperare gli introiti perduti, mi ha spiegato l'ex presidente.
"La Bolivia ha fatto uno sforzo tremendo, ma ha pagato per questo un prezzo molto alto", mi ha detto Sanchez de Lozada. "Anche se la coca era un'attivita' illegale, era un ingresso importante per l'economia" del Paese.
Per quanto Sanchez de Lozada ritenga positiva la politica delle coltivazioni alternative, che ha fatto si' che il 60 per cento dei campesinos della zona cocalera del Chapare gia' si siano dedicati alle coltivazioni legali, ci sono altri ex funzionari boliviani e statunitensi che sono piu' scettici.
Secondo loro, l'errore piu' grosso della politica degli Stati Uniti e' stato quello di ritenere che si possa trasformare un coltivatore di coca in uno di palmito. La maggioranza dei cocaleros non sono mai stati degli agricoltori, ma degli ex minatori delle colline -compreso il loro leader della sinistra Evo Morales- che calarono nelle pianure del Chapare negli anni Ottanta, attratti dal denaro facile delle coltivazioni di coca.
Durante la prima meta' del XX secolo la Bolivia era stata un importante esportatore di argento, stagno e altri metalli. Quando nella seconda meta' del XX secolo crollo' il mercato dei metalli, le esportazioni della Bolivia caddero in picchiata, proprio nel momento in cui iniziava la moda della cocaina negli Stati Uniti e in Europa.
Decine di migliaia di minatori disoccupati cominciarono cosi' a scendere dalle montagne intorno alle citta' di Oruro e Potosi, per cominciare a coltivare la foglia di coca nelle pianure del Chapare, coca che poi veniva esportata in Colombia per la produzione della cocaina.
Nell'anno 1997 la Bolivia era il maggior produttore mondiale di coca, con 270 tonnellate all'anno. Ma nel 2002, dopo il programma di eradicazione forzata, finanziato dagli Stati Uniti, e l'intercettazione di decine di aerei di narcotrafficanti, realizzata da parte del Peru', la produzione illegale di coca boliviana e' crollata a 20 tonnellate all'anno. La gran parte dell'affare della coltivazione di coca si e' trasferito in Colombia.
La Bolivia aveva offerto alle 50 mila famiglie cocaleras del Chapare programmi di coltivazioni alternative, ma molti cocaleros non accettarono l'offerta, oppure abbandonarono le nuove coltivazioni dopo poco tempo: il palmito o il banano gli producevano a malapena il 20 per cento di quello che guadagnavano con la coca, e richiedevano un lavoro dieci volte maggiore. Mentre la coca e' infatti una pianta che praticamente cresce da sola, il palmito o il banano hanno bisogno di erbicidi, di acqua, e di attenzione continua.
In Bolivia Washington dovrebbe promuovere il turismo e fabbriche manifatturiere, invece delle coltivazioni alternative.
Gli Stati Uniti potrebbero dare agli esportatori di prodotti tessili, di calzature e di altri prodotti manifatturieri boliviani un accesso preferenziale a lungo termine nel suo mercato interno, oppure convocare un Piano Marshall di aiuti internazionali, prima che il Paese si trasformi nella prima narco-dittatura delle Americhe.
Anche Manuel Rocha, ambasciatore degli Stati Uniti in Bolivia fino al 2002, applaudito da Washington per avere realizzato gli obbiettivi di eliminazione delle coltivazioni illegali di coca, mi ha spiegato questa settimana che "forse e' arrivato il momento di guardare in maniera diversa le coltivazioni alternative".
"Puo' accadere che una strategia sviluppata dal settore privato dia risultati migliori di quella attuale, che cerca di convertire ex minatori che erano diventati cocaleros in agricoltori indipendenti", ha detto Rocha. "Ovviamente, in molti casi questo non sta funzionando".
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS