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Arriva dalla Colombia la droga dei Vip
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Articolo di Cristiano Morsolin*
19 ottobre 2005 16:40
 
Maggiore coltivatore mondiale di coca, primo produttore di cocaina e terzo di eroina, il Paese andino riesce a mantenere alto il valore del peso grazie anche al traffico illegale. "I cartelli del narcotraffico fanno entrare valuta per un importo dai 2,5 ai 3 miliardi di dollari, pari al 0,61% del Pil" - ha ammesso nei giorni scorsi il presidente del Banco Centrale, Jose' Dario Uribe. Un traffico che, oltre ad arricchire i potenti cartelli, alimenta anche il conflitto interno del Paese. Da un lato i gruppi paramilitari delle AUC (Autodifese Unite della Colombia), dall'altro i guerriglieri marxisti delle FARC (Forze Rivoluzionarie della Colombia) e dell'ELN (Esercito di liberazione nazionale): tutti, in misure diverse, ammettono di servirsi del commercio illegale di coca per le proprie cause.
L'Ufficio contro la Droga delle Nazioni Unite UNODC (www.unodc.org/pdf/andean/Part3_Colombia.pdf)
calcola che esistano 80 mila ettari coltivati a coca.

Sabato 24 settembre una commissione internazionale di verifica dell'impatto delle fumigazioni e' giunta nella regione del Magdalena Medio (regione situata nel centro-nord della Colombia) nella valle del Rio Cimitarra. Una delegazione di attivisti statunitensi e canadesi membri della "Equipe cristiana di azione per la pace ECAP" inizia il monitoraggio fin dall'aereoporto civile di Yarigues de Barrancabermeja, convertito dal Plan Colombia (orchestrato dalla Casa Bianca, che in sei anni (2000-2005) ha sborsato la mastodontica cifra di 4.000 milioni di dollari) nella piu' grande bottega di prodotti chimici, di piccoli velivoli per le fumigazioni ed elicotteri militari; in una regione attanagliata da poverta' e crisi alimentare, le risorse del governo statunitense vengono cosi' utilizzate nella guerra dichiarata alla droga da parte del Governo di Uribe. Un gruppo di contadini mostra dei manifesti che inneggiano un messaggio chiaro: "SI allo sviluppo, all'autogestione e alla vita; NO ai dollari americani per armi e fumigazioni" e sottolineano che le fumigazioni sono un attentato contro le comunita' rurali e contro l'ambiente della Colombia. Le fumigazioni aeree - dove vengono utilizzati erbicidi e funghi tossici che a volte sono considerati illegali anche negli USA, non solo distruggono le piantagioni illegali di coca ma producono anche gravi conseguenze sulle coltivazioni tradizionali di sussistenza (banano, yuca, mais, riso), avvelenano gli animali domestici, i pesci, contaminano le risorse naturali che i contadini hanno bisogno per vivere e colpiscono anche la salute intossicando la popolazione locale e provocando problemi respiratori e dermatologici. Quando le piantagioni di coca vengono bruciate con i glifosati (venduti dall'impresa Monsanto, esperta anche di transgenetici!) i contadini si addentrano nella selva bruciando vari ettari di bosco per poi ricominciare nuove coltivazioni.
Dal 2002 l'Ambasciata Usa a Bogota' ha archiviato ben 8.000 denunce per danni a persone e alle coltivazioni provocati dalle fumigazioni con glisofato; nel 2004 solo cinque casi hanno ricevuto indenizzazione.
Ecco spiegato come i contadini si trovano sotto il fuoco incrociato: vittime del narcotraffico che lascia solo le briciole dei guadagni (2-3%), vittime della politica di sradicamento della coca visto che gli aiuti previsti per chi abbandona la coltivazione di coca non sono mai arrivati e i giovani, senza lavoro ne' cibo, aumentano le file della guerriglia o dei desplazados. Il Plan Colombia sta provocando massicci esodi di popolazione che provocano inquietudini nei paesi limitrofi come Ecuador e Peru' dove si avvertono gli effetti perversi di questa regionalizzazione del conflitto.

Il numero dei desplazados in Colombia oscilla tra 1.700.000 e i due milioni, tutti contadini costretti alla fuga dalle violenze e dai massacri, attuati per l'80% dai gruppi paramilitari, per il resto dalle guerriglie.
"Le comunita' contadine vengono massacrate dai paramilitari (1500 sono i dirigenti contadini assassinati). Sono presi di mira soprattutto i leaders, per disgregarle. I contadini vengono cacciati per prendere le terre - i latifondisti sono i narcotrafficanti maggiori - o per consentire alle multinazionali di estrarre petrolio e minerali" mi spiega Gilma Benite (che ho personalmente intervistato ad aprile a Bogota') dirigente del Consiglio nazionale dei contadini e di Anuc UR.
"I movimenti campesinos e indigeni non accettano e anzi rifiutano i programmi geopolitici e militari come il Plan Colombia che l'impero statunitense vuole imporre usando come pretesto il narcotraffico. Rifiutiamo i programmi di sradicamento forzato della coca che distruggono la nostra Madre Terra e violentano i diritti umani dei popoli. Rivendichiamo il consumo tradizionale e ancestrale della foglia di coca ma rifiutiamo fermamente le mafie dei narcotrafficanti organizzati dai grandi centri di consumo di cocaina dei paesi sviluppati del Nord del Mondo" conclude la combattiva dirigente contadina.

La concentrazione delle terre in Colombia e' impressionante, anche per l'America latina: l'1,5 per cento dei proprietari possiede l'80 per cento delle terre, il 42 per cento delle coltivabili sottratto ai contadini negli ultimi 15 anni. E' un processo di appropriazione esploso negli anni '80, con la crescita dei gruppi paramilitari finanziati dal capo del narcotraffico Pablo Escobar e dai grandi latifondisti, per acquisire terre per la coca e difendere il traffico di droga. I paramilitari buttano fuori dalle loro terre i contadini, li massacrano nei modi piu' atroci - la motosega e' l'arma preferita - controllano le spedizioni di droga e combattono la guerriglia, che nelle campagne ha il suo retroterra e si preoccupano di zittire le voci del dissenso, per esempio perseguitando i difensori dei diritti umani (una "caccia all'uomo" che si e' scagliata anche contro il sottoscritto, minacciato e costretto ad abbandonare il paese con la scorta armata dell'Ambasciata italiana). "Ripulire" i villaggi dai sostenitori della guerriglia, e' al primo posto dell'agenda dei paramilitari, un'armata di oltre 10.000 soldati delegata a vincere la guerra contro le Farc (Forze armate rivoluzionarie di Colombia) e l'Eln (Esercito di liberazione nazionale), finora perduta dall'esercito, nonostante l'addestramento che ben 13.300 militari colombiani hanno ricevuto a Fort Benning, nella Georgia, nella famosa "Scuola delle Americhe" (che ha formato i torturatori nelle dittature di Pinochet, di Videla, di Strossner, espressione di quel coordinamento criminale che fu il "Plan Condor" con l'appoggio USA).
I legami tra militari e squadroni della morte sono stati denunciati piu' volte dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Questa colpevole complicita' viene garantita con l'appoggio dello Stato attraverso l'approvazione nel giugno scorso della legge "Pace e Giustizia" che prevede la smobilitazione dei paramilitari che, se confessano i loro crimini di lesa umanita', possono subire una condanna massima di soli sei anni.
Agli inizi di agosto Human Rights Watch (come in seguito Amnesty International, Federazione Internazionale dei diritti umani FIDH e Commissione Internazionale di Giuristi CIJ) ha diffuso un inquietante rapporto dal titolo "Las apariencias engañan. La desmovilización de grupos paramilitares en Colombia" : dal 2003 sono quasi 6.000 i paramilitati smobilitati; fino all'aprile di quest'anno solo 25 di questi sono detenuti per le atrocita' commesse. Questa politica del Governo Uribe ha provocato la decisa opposizione di 158 ONG e organizzazioni della societa' civile europea e colombiana che hanno scritto una lettera aperta per chiedere all'Unione Europea di non appoggiare l'attuale processo di smobilitazione dei gruppi paramilitari colombiani nell'ambito del dibattito in Commissione dell'Unione Europea per l'America Latina COLAT che che si e' concluso a Strasburgo il 6 ottobre citando critiche e riserve "annotando le preoccupazioni espresse dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani relative al fatto che la legge approvata non tiene in sufficiente considerazione i principi di verita', giustizia e riparazione in accordo agli standard internazionali".

La risposta della societa' civile colombiana

A fine giugno 2005 a Bogota' e' nato il movimento nazionale delle vittime dei crimini di Stato con la partecipazione di 800 delegati provenienti da tutta la Colombia. Si tratta della risposta organizzata delle vittime delle gravi violazioni dei diritti umani e del genocidio che attanaglia il paese dopo oltre 50 anni di guerra, segregando la popolazione in un sorta di militarizzazione permanente della societa'.
La societa' civile sopravissuta alla feroce repressione e alla criminalizzazione dei movimenti sociali (basta ricordare i 1.500 sindacalisti uccisi e i 6.000 militanti della Unione Patriottica UP) osa dare una risposta a un processo di "paramilitarizzazione della societa'" che ha precise responsabilita' e si attiene ad un sanguinario disegno politico con l'avvallo della Casa Bianca: una sorte di missione comune per vincere con il potere della verita', la prepotenza delle menzogne e delle armi.
Il 9 agosto il Movimento nazionale delle vittime di Stato ha presentato al Vice-Presidente della Repubblica Francisco Santos una denuncia in "incostituzionalita'" della legge n. 975/2005 (appunto la legge "giustizia e pace") perche' "e' di fatto una legge dell'impunita' che rende possibile ai persecutori di continuare a coprire le circostanze di tempo, luogo, ecc, di come sono avvenuti i crimini, impedendo che siano castigati proporzionalmente ai crimini commessi e impedendo che le vittime partecipino nella fase decisionale sui procedimenti per la riparazione integrale", assicurando cosi' il consolidamento paramilitare.
In uno stato di falsa democrazia, con la stampa imbavagliata e censurata (come denunciato dai rapporti di "Giornalisti senza Frontiere") con la sovranita' limitata dalle presenza di truppe antiterrorismo per le strade delle citta', il Governo del Presidente Uribe non riconosce l'esistenza di un conflitto interno ma solo di terrorismo ma non spiega perche' da agosto 2002 al giugno 2004, cioe' nei primi due anni di governo Uribe, e' aumentato il numero di persone che hanno perso la vita a causa della violenza socio-politica in Colombia, fino ad arrivare a 10.586 assassinati, secondo la Corte Interamericana per i diritti umani.

L'opposizione della societa' civile USA

Questa complicita' che unisce Stato e paramilitarismo e' stata analizzata anche dalle principali Ong statunitensi (WOLA, LAWGEF, CIP - Center for International Policy: clicca qui) che hanno presentato un interessante rapporto sui cinque anni del Plan Colombia, in occasione della visita di Condoleza Rice in Colombia a fine aprile 2005, e che ha inquietato numerosi senatori democratici che hanno messo fortemente in discussione il Plan Colombia: "Anche se la crisi in Colombia e' urgente, gli USA devono cambiare le priorita'. In vece di aiutare le forze militari della Colombia ad occupare il territorio, dobbiamo appoggiare i dirigenti eletti in Colombia affinche' rafforzino lo Stato di Diritto e promuovano uno sviluppo piu' equitativo, governando per il bene di tutti".
WOLA ha recentemente pubblicato un interessante rapporto dal titolo "Drugs and Democracy in Latin America: the impact of U.S. Policy"; Coletta Youngers (che ho conosciuto a Lima dove ha lavorato per quasi un decennio con il coordinamento nazionale degli organismi dei diritti umani in Peru') mi ha dichiarato che "le politiche statunitensi per il controllo delle droghe rende instabili i governi democratici della regione andina perche' contribuisce a confondere le funzioni militari e delle forze dell'ordine, militarizzando le forze di polizia; perche' rafforza le forze militari a discapito delle autorita' civili in una regione con una tragica storia di governi militari; perche' esacerba i problemi dei diritti umani esistenti in paesi piagati da una crescente impunita'; perche' conduce al deterioramento delle liberta' civili attraverso l'adozione di dure leggi antidroga; perche' ha spinto autorita' USA a perseguire mete antidroga di corto raggio alleandosi con personaggi criminali come Vladimiro Montesinos in Peru', che pregiudicano uno sviluppo democratico a largo raggio".

La posizione dell'Unione Europea

L'Unione Europea ha espresso la sua contrarieta' al Plan Colombia fin dal 2001. Nel dicembre 2004 il Consiglio dei Ministri UE ha assunto le raccomandazioni del relatore Giusto Catania (giovane eurodeputato segretario di Rifondaz. Com. in Sicilia) sul progetto di strategia antidroga della UE nel periodo 2005-2012 in sui si sottolinea che la "riduzione del danno deve essere l'elemento chiave delle politiche sulla droga".
In particolare il Presidente della Commissione del Parlamento Europeo per le relazioni con i paesi Andini, Alain Lipietz (Verdi - clicca qui) ha evidenziato l'importanza "che l'Europa realizzi un cambiamento di politiche sulle coltivazioni tradizionali considerate illecite, come la foglia di coca, per frenare la repressione che si produce non solo contro le persone ma anche contro l'ambiente, colpiti dalla violenza con cui si combatte le coltivazioni. Le stesse fumigazioni e la massiccia presenza militare sono un'aggressione all'ambiente (come documentato dal Transnational Institute TNI di Amsterdam - clicca qui)".
Va sottolineato il forte contenuto controcorrente della nuova strategia antidroga dell'Unione Europea: "si manda un messaggio chiaro alle autorita' e ai cittadini europei. L'Europa e' pronta per un cambiamento del suo punto di vista sul fenomeno globale delle droghe. Per questo si sollecita l'incremento dei programmi di riduzione del danno tra i consumatori di droga e di facilitare un processo permanente di consultazione con organizzazioni di cittadini coinvolti nella problematica ed esperti indipendenti sull'impatto della politica della droga a livello dei cittadini".

Si tratta delle stesse linee guida che anima il cammino di "storiche" organizzazioni della societa' civile anche in Italia come per esempio il Coordinamento Nazionale delle Comunita' d'accoglienza CNCA (www.cnca.it), che dal 1983 si occupa di tossicodipendenze e riduzione del danno - e della rete di "LIBERA, nomi e gruppi contro la mafia" (www.libera.it), che da un decennio si occupa di educazione alla legalita', alla cittadinanza attiva, contro il crimine organizzato transnazionale, mafie e narcotraffico e pubblica il mensile "NARCOMAFIE" (www.narcomafie.it), e che proprio in questi giorni sta realizzando la carovana antimafia che percorrera' tutta l'Italia ma anche Albania, Serbia e Bosnia, Francia e Magreb: "quest'anno la carovana ha rafforzato ulteriormente il suo carattere internazionale, per potenziare relazioni tra storie e culture diverse, per determinare condizioni di co-sviluppo, per tutelare i diritti e la democrazia in alternativa ai processi di corruzione e alla violenza delle mafie internazionalizzate" ha dichiarato don Luigi Ciotti, Presidente di Libera.

Le polemiche innescate in questi giorni in occasione della Conferenza nazionale degli operatori e delle autonomie locali sulle droghe che il Governo sta organizzando per il prossimo dicembre, con le critiche del cartello "Non incarcerate il nostro carcere" e dalla rete FUORILUOGO (www.fuoriluogo.it), confermano l'importanza di far crescere una coscienza nuova per leggere e capire il fenomeno delle droghe nella sua complessita', sia dal punto di vista dei produttori che dei consumatori, svelando non solo il busines ma anche gli interessi strategici legati all'indebolimento delle democrazie nella regione andina, come dimostrano gli attacchi della Casa Bianca nei confronti del candidato presidenziale Evo Morales che il prossimo 4 dicembre potrebbe diventare il primo cocalero a venire eletto come nuovo Presidente della Repubblica della Bolivia.


*Cristiano Morsolin, educatore ed operatore di reti internazionali. Co-fondatore dell' Osservatorio Indipendente sulla Regione Andina SELVAS.org, lavora in America Latina dal 2001 con esperienze in Peru', Ecuador, Colombia e Brasile.
E-mail: [email protected]
 
 
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