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AMERICA LATINA. Idee e spunti d'azione per il nostro Governo
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Articolo di Donatella Poretti
7 giugno 2006 17:12
 
Testo integrale dell'intervento all'incontro del 7 giugno, alla Farnesina, con il sottosegretario agli Affari Esteri con delega per l'America Latina, Donato Di Santo, con chi, a vario titolo, si occupa di America Latina.

Tra i tanti, i problemi dell'America Latina che mi interessa mettere in evidenza sono due: quello democratico e quello del narcotraffico. Separati in teoria, ma che spesso finiscono per intrecciarsi.
Occupandosi di questa regione americana, la prima cosa che salta agli occhi, nel nostro Paese, e' la mancanza di informazione. I nostri media si occupano poco di politica estera, e nel caso dell'America Latina il fenomeno e' accentuato grazie anche a luoghi comuni, anche ereditati da un passato che torna inesorabilmente attuale.

Basti pensare ai personaggi politici di primo piano che sembra non riescano mai a scomparire nonostante i disastri politici delle loro amministrazioni (Menem in Argentina e il peronismo perpetuo, o Alan García Pérez di nuovo presidente dopo 16 anni in Peru', Paese dove non lascia la scena neppure l'ex-presidente Fujimori).
Luoghi comuni che rimangono tali nonostante i protagonisti modifichino il loro agire. Mi riferisco, per esempio, ad una immagine romantica che ritrae i guerriglieri delle Farc in Colombia come forza di liberazione di ispirazione di sinistra, mentre sono divenuti terroristi e narcotrafficanti, e, con i paramilitari di destra, sono impegnati piu' nello spartirsi terreni e coltivazioni di coca che ideali.

Tra i fatti positivi ci sono i successi elettorali di una sinistra democratica e occidentale rappresentata da Luiz Inácio Lula da Silva in Brasile e da Michelle Bachelet in Cile, diversi e distinti da un'altra sinistra rappresentata da Hugo Chávez in Venezuela e da Evo Morales in Bolivia. Completamente a parte, e non classificabile come democratico, ma come regime dittatoriale, il caso di Cuba e di Fidel Castro.

Dicevo... democrazia e narcotraffico.

Il problema democratico
si incentra soprattutto su Cuba e Fidel Castro. Eccezion fatta per chi ancora si emoziona ai suoi discorsi e per chi resta legato ad un mito giovanile sulla Rivoluzione dei "barbudos", sembra che, per l'avvento della democrazia, l'unica cosa da sperare sia la morte del dittatore.
Nel frattempo la dissidenza interna e' alimentata dal regime medesimo o e' in carcere: comunque non in grado di organizzare qualcosa per preparare l'alternativa. Nel contempo i petrodollari del presidente venezuelano Chávez stanno rimpolpando le casse vuote dell'Avana, cosi' come in passato faceva l'Unione Sovietica.
Per Castro l'embargo Usa e' un alibi grazie al quale sostiene che Washington sta strozzando l'economia dell'isola. Ma temo che anche per noi l'embargo Usa sia un alibi per non intervenire.
Perche' non si rivedono tutte le forme di cooperazione e gli investimenti, con l'unica arma che abbiamo a disposizione, cioe' il RICATTO DEMOCRATICO?
Le elargizioni internazionali sarebbero una formidabile arma in merito: investimenti in cambio di riforme democratiche.In mancanza, ogni euro e ogni dollaro sara' stato speso male, e gli elettori italiani farebbero bene a chiederne conto agli eletti.
Nel contempo anche l'Ambasciata italiana a Cuba potrebbe servire. Organizzare eventi pubblici, mettere a disposizione i locali per accessi liberi ad Internet e ai media internazionali, per esempio.
La presenza di un'Ambasciata in un Paese non democratico se non e' utile anche per la promozione dei propri principi, rischia di svolgere solo un ruolo di ufficio di affari che, in pratica, mantiene in piedi un regime opposto al nostro.
Chi meglio di un Governo di centrosinistra potrebbe realizzare un intervento simile, senza rischiare di essere etichettato come "servo" di Washington?

Quindi, il narcotraffico, e le coltivazioni illecite di coca e non solo.
La politica Usa di "war on drugs" avviata dalla presidenza Clinton e proseguita da quella Bush, ha comportato la spesa di 4 miliardi di dollari in 6 anni per il solo "Plan Colombia" e un risultato disastroso: le coltivazioni sono cresciute, scompaiono in una zona e appaiono in un'altra fino a penetrare nei parchi nazionali provocando danni ambientali sia per il disboscamento realizzato dai coltivatori che lo spargimento di erbicidi come il glifosato. La conseguenza e' che la disponibilita' di queste droghe illegali sulle piazze Usa ed europee non e' mai venuta meno, cosi' come il prezzo non e' mai aumentato.
Le politiche in materia delle convezioni Onu intendevano estirpare il problema cocaina estirpando le piantagioni -con fumigazioni o coltivazioni alternative- ma i fatti sono andati in una direzione opposta.
Occorre ricordare che per diversi popoli indigeni che vivono sulle Ande, la coca non solo costituisce la coltura piu' redditizia, ma anche una componente sacra e storica della vita quotidiana. Su questo, la vittoria di Evo Morales in Bolivia dovrebbe servire da lezione. L'Italia potrebbe percio' promuovere una campagna internazionale per valutare politiche alternative.
L'Unodc (l'ufficio Onu sulle droghe) diretto da un italiano e finanziato in larga parte da fondi italiani, nel quadro dei suoi programmi di riduzione dell'offerta, continua a promuovere eradicazioni volontarie o forzate, e i risultati sono quelli che ho sopra descritto. Come obiettivo a medio termine, sarebbe meglio uno studio di fattibilita' -in cooperazione con la Banca mondiale, altre banche regionali per lo sviluppo e attori locali- per stabilire se esistano condizioni per l'industrializzazione legale della foglia di coca, e quindi la produzione di sostanze che non contengano alcaloidi.
 
 
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