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America Latina. Alvaro Vargas Llosa su Evo Morales e la guerra alle droghe
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Articolo di a cura di Donatella Poretti
22 novembre 2003 19:41
 
Lo scrittore e giornalista peruviano Alvaro Vargas Llosa ha dedicato il suo editoriale, pubblicato sul quotidiano cileno La Tercera il 22 novembre, a Evo Morales: "Da cocalero a statista". Vargas Llosa ritiene pericolosa l'impostazione di Morales da un punto di vista liberale e liberista, e lo contrasta sul piano politico ed economico, ma in questo articolo si sofferma sul perche' possano nascere e affermarsi in America Latina certi fenomeni e certi personaggi. Ed e' interessante come due impostazioni politiche tanto diverse, come quella di Morales e quella di Vargas Llosa, sulla guerra alle droghe scatenata dagli Stati Uniti possano vederla in maniera simile.

"La foglia di coca, che e' una coltivazione illegale in Bolivia ad eccezione dello Yungas, la zona a nord di La Paz dove viene permesso un numero ridotto di ettari coltivati per l'uso medicinale e tradizionale, ha catapultato Morales a condizione di statista. Con lui, si conquistano il diritto di cittadinanza anche le sue antidiluviane elucubrazioni ideologiche?
La prima cosa da dire e' se e' preferibile accettare la sua esistenza per combatterlo meglio, o fare cio' che ha fatto il Governo statunitense: farne un nemico fino a trasformarlo nel capitano di una mobilitazione popolare vertiginosa. Nulla risulterebbe piu' dannoso che scatenare contro di lui una campagna repressiva la cui unica conseguenza significativa sarebbe la moltiplicazione del fenomeno. Per combattere cio' che Morales rappresenta, non bisogna combattere Morales, ma la causa della sua nascita. (.)
La prima cosa che dobbiamo fare e' smettere di trattare il fenomeno Morales come un fenomeno di delinquenza comune. C'e' una legge inesorabile che dice che: se un prodotto ha una sufficiente domanda, ci sara' un'offerta, e che se questa offerta viene repressa nasceranno empori illegali per il commercio, accompagnati da metodi tipici di tutte le organizzazioni illegali. Questa e' a partire dall'Harrison Act del 1914, la storia della coca nel continente, come fu quella dell'alcol negli Stati Uniti dagli anni Venti fino al 1933. E' stata percio' la guerra contro le droghe che ha fatto il personaggio Morales, che non e' nient'altro che quello piu' visibile dei 50 mila cocaleros boliviani.
Il fallimento della guerra contro le droghe in Bolivia e' un'evidenza quotidiana: e' stato appena ammesso anche dal Dipartimento di Stato (Usa), che dopo averci detto per due anni che la Bolivia rappresentava il successo delle sostituzioni delle coltivazioni, ora ha dovuto riconoscere che negli ultimi 12 mesi l'estensione delle piantagioni illegali di coca e' aumentata di 4 mila ettari.
E' questa, quindi, la principale piattaforma che sostiene Morales. Dato che la possibilita' di una decriminalizzazione della droga e' molto lontana nel tempo, la comunita' internazionale dovrebbe per lo meno attenuare, per cio' che e' possibile, l'aspetto repressivo della sua politica andina. Altrimenti ci sara' un Morales per molto tempo, anche se avra' un altro volto e un altro nome. Come diceva Mary O'Grady nel Wall Street Journal alcune settimane fa: la campagna contro la foglia di coca ha trasformato Morales nel difensore dei diritti della proprieta' dei campesinos e della loro partecipazione al mercato, ossia, nel paladino della liberta' economica (!!).
Quindi Morales e' fuoriuscito dall'ambito cocalero. Punta verso un progetto piu' interessante: il ritorno all'eta' della pietra. (.)
Se l'unica cosa che possiamo contrapporre a Morales e' un Governo statico e sulla difensiva, invece di uno creativo e audace, non c'e' modo che questo fenomeno si afflosci, e che Morales, e i suoi epigoni di tutta la regione andina, perdano ossigeno".
 
 
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