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Afghanistan. Dopo il burka
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Articolo di G. Higueras
17 maggio 2007 11:45
 
El Pais. Quest'anno il caldo ha anticipato il raccolto dell'oppio, che le piogge di marzo ha reso splendido. Se si cercano i coltivatori di papavero basta addentrarsi nelle zone interne dell'Afghanistan. Nei primi giorni di maggio, dalla strada che collega Kabul al Pakistan si poteva vedere una moltitudine di donne intente a raccogliere le capsule secche del papavero, nel cui interno ci sono i semi. "La guerra ha distrutto i nostri sistemi ancestrali d'irrigazione, e gli aiuti del Governo per piantare cereali non bastano nemmeno per concimare il terreno. Coltiviamo oppio per ammazzare la fame", sostiene Habib Gul. Figlio di una stirpe di campesinos che si perde ormai nel tempo, Habib ha 52 anni, 13 figli e la netta consapevolezza di che cosa sia il meglio per la sua famiglia. "Ho ereditato questa terra da mio padre e da lui ho imparato a coltivare l'oppio, cosi' come mio padre l'aveva appreso da mio nonno", racconta, mentre due dei suoi figli raccolgono i semi da piantare in novembre. "Qui, tutti abbiamo delle sbarre di ferro. Non possiamo permettere che la polizia distrugga il nostro mezzo di vita", spiega, riferendosi ai timidi tentativi del Governo provinciale di sradicare le coltivazioni di papavero, in base alle raccomandazioni del presidente Hamid Karzai. "Nessuno denuncia perche' tutti abbiamo gli stessi problemi per sopravvivere", aggiunge.
Nel 2006 l'Afghanistan ha generato il 92% della produzione mondiale illegale d'oppio. Il 10% dei 31 milioni di afghani e' direttamente collegato alla coltivazione e al traffico della sostanza stupefacente, che rappresenta il 60% dell'economia nazionale. Quest'anno le cifre sono simili, pero' la cosa grave e' che s'intensifica il legame tra oppio, traffico d'armi e rivolta armata.
"Noi non abbiamo nulla a che vedere con i taliban. Coltiviamo oppio perche' e' l'unica cosa redditizia quando si ha solo un acro di terreno (4.047 metri quadrati) secco e arido", dice Habib. "Senza questo guadagno non potrei accasare i miei figli e condannerei tutti i miei alla vergogna e all'indigenza", sostiene. Pero' non c'e' dubbio che il narcotraffico e la ribellione armata si diano una mano. A Helmand -la provincia che produce il 40% dell'oppio afghano- e a Kandahar, i ribelli e i narcotrafficanti pagano i giovani che impugnano le armi con una cifra che e' quattro volte lo stipendio (52 euro) di un poliziotto. L'influenza del terrorismo in un terzo del sud del Paese s'estende di giorno in giorno. Negli ultimi cinque anni, la guerriglia si e' riarmata nei rifugi delle zone tribali del Pakistan, aree in cui buona parte dell'oppio afghano viene trasformato in eroina. Per farlo s'utilizza l'anidride acetica, un precursore chimico, il cui traffico e la vendita sono altrettanto illegali.
Il Consiglio Senlis, gruppo internazionale di pressione, sostiene che l'unico modo per stabilizzare e garantire lo sviluppo dell'Afghanistan sarebbe l'introduzione di licenze alla coltivazione d'oppio par produrre pasticche di morfina e codeina nei villaggi afghani. Jorrit Kamminga, responsabile delle indagini di Senlis a Kabul, afferma che "la distruzione del papavero e' un metodo inefficace e controproducente, poiche' genera piu' frustrazione tra i campesinos". Kamminga sostiene che, cosi' come per l'accordo con la Turchia nel 1970, in Afghanistan si dovrebbe stabilire un programma pilota che "permetta ai campesinos di coltivare, alle autorita' locali di creare posti di lavoro con la produzione di analgesici e al Governo di riscuotere le imposte". "Tutto e' pronto per la legalizzazione. Prima dobbiamo sradicare le coltivazioni, poi fissare le licenze con finalita' terapeutiche", afferma Sami, viceministro Antinarcotici. Non smette infatti di stupire il fatto che gli ospedali del maggior produttore di stupefacenti manchino di morfina e di ogni genere di farmaci palliativi contro il dolore.
Soltanto il regime brutale dei Taliban (1996-2001) riusci' a frenare la coltivazione d'oppio. Nursultan, di 38 anni, ricorda che lui e la maggior parte dei suoi vicini furono obbligati ad andare in esilio in Pakistan. I campi si disertificarono. La fame fece strage dei piu' deboli. Nursultan, tornato nel 2002, si duole di essersi fatto convincere e di non aver piantato il papavero nel 2005. "Ho coltivato mais, ma con quello non si vive. Sposare un figlio costa piu' di 200.000 afganis (3.000 euro) e ne ho quattro e tre figlie". Come Nursultan e Habib, la maggioranza dei piccoli coltivatori della zona hanno venduto il raccolto ai narcotrafficanti prima ancora di piantare i papaveri. "Mi hanno pagato 50.000 afganis. Avrei guadagnato molto di piu' se lo avessi venduto ora, perche' sono stati ricavati quattro chili d'oppio fresco, e il suo prezzo e' di 30.000 afganis al chilo. Se poi lo si conserva e si fa in modo che non perda l'acqua, il valore aumenta, pero' si corrono dei rischi". Malgrado che sia nato e cresciuto tra gli stupefacenti, Nursultan assicura di non aver mai fumato oppio ne' essersi iniettato eroina. "Siano troppo deboli per reggere alle droghe. Esse sono per voi", dice con un sorriso, mentre alcuni dei curiosi che si sono avvicinati rompono le capsule con l'alluce e mangiano i semi.

Traduzione di Rosa a Marca
 
 
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