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 FILIPPINE - FILIPPINE - Morti narcotraffico. Corte Suprema ordina divulgazione documenti
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3 aprile 2019 8:17
 
La Corte Suprema delle Filippine ha ordinato ieri la divulgazione dei documenti della Polizia relativi all'uccisione di migliaia di sospetti durante la sanguinosa guerra al narcotraffico intrapresa dall'amministrazione del presidente Rodrigo Duterte. La sentenza potrebbe far luce sulle gravi accuse di uccisioni extragiudiziali e violazioni dei diritti umani che hanno portato, tra le altre conseguenze, a uno scontro tra Manila e la Corte penale internazionale. Il portavoce della Corte Suprema Filippina, Brian Keith Hosaka, ha dichiarato che la sentenza ordina al sollecitatore generale di consegnare i rapporti della Polizia a due organizzazioni per i diritti umani che hanno chiesto di poterli consultare. La Corte Suprema, che conta 15 membri, non si e' ancora espressa in merito a una seconda petizione che chiede di proclamare incostituzionale la guerra al narcotraffico del presidente Duterte. Secondo i dati ufficiali pubblicati dalla Philippine drug enforcement agency (Pdea), la guerra al narcotraffico ha causato la morte di oltre 5mila persone tra luglio 2016 e novembre 2017.
Il presidente della Commissione sui diritti umani delle Filippine, Jose Luis Martin Gascon, ha accusato il presidente di quel paese, Rodrigo Duterte, di essere la minaccia maggiore mai fronteggiata da quell'organo indipendente di vigilanza. A rinnovare le polemiche tra l'organizzazione e il governo Duterte e' stata la decisione dell'amministrazione presidenziale di revocare la propria adesione alla Corte penale internazionale. Gascon e' una delle voci piu' critiche nei confronti del presidente Duterte, e afferma che questi abbia deciso di abbandonare la Corte temendo i risultati dell'indagine avviata dalla Cpi in merito alla guerra al narcotraffico della sua amministrazione. Il 25 marzo scorso il procuratore della Corte, Patou Bensounda, ha dichiarato che la Cpi manterra' la propria giurisdizione in merito agli eventuali crimini commessi dal governo Filippino, a prescindere dall'uscita di Manila dallo Statuto di Roma.
Le Filippine hanno formalmente revocato alla fine del mese scorso la loro adesione alla Corte penale internazionale (Cpi), attualmente impegnata ad indagare i presunti crimini commessi nell'ambito della sanguinosa guerra al narcotraffico intrapresa dal governo del presidente Rodrigo Duterte. La scadenza giunge mentre nel paese proseguono le polemiche politiche in merito allo stato dei diritti umani nel paese e alla liberta' di stampa, anche a seguito della sentenza d'appello che la scorsa settimana ha confermato una condanna a carico del sito d'informazione "Rappler". Il ritiro dalla Corte penale internazionale diverra' effettivo domenica prossima, e i tentativi dell'opposizione parlamentare Filippina di scongiurare tale scenario paiono essere falliti. Duterte in persona ha annunciato l'uscita del suo paese dallo Statuto di Roma - il trattato istitutivo della Cpi - esattamente un anno fa, nel pieno di aspre polemiche con la comunita' internazionale e settimane dopo l'annuncio dell'avvio delle indagini a suo carico da parte della Corte dell'Aia.
Le Filippine sono il secondo paese al mondo ad abbandonare la Cpi, dopo il Burundi nel 2017. Gambia e Sudafrica avevano revocato la loro adesione alla Corte nel 2016, ma erano tornati sui loro passi l'anno successivo. Dall'insediamento al governo di Rodrigo Duterte, il profilo dei diritti umani delle Filippine ha progressivamente attirato l'attenzione della comunita' internazionale, complici anche una serie di eccessi verbali del presidente Filippino: lo scorso ottobre, ad esempio, Duterte ha dichiarato durante un discorso presso la base militare di Camp O'Donnel, a Capas, che quanti muovono critiche dall'estero alla guerra al narcotraffico intrapresa dal suo governo dovrebbero essere utilizzati come "bersagli umani" per i soldati. Il commento era giunto in risposta alla condanna formulata a suo carico del Tribunale internazionale del popolo (Ipt) belga, che lo ha riconosciuto colpevole di violazioni dei diritti umani.
In quell'occasione, Duterte aveva anche ribadito di riconoscere solamente "il giudizio del popolo Filippino": "Se verro' meno ai miei doveri, come Filippino sara' vostro diritto di cittadini criticarmi e allontanarmi", ha detto Duterte, che poi ha aggiunto: "Questi caucasici, pretendono di venire qui a darci lezioni sulle nostre presunte colpe". "Non ho neanche idea di cosa sia, una uccisione extragiudiziale. Non e' inclusa nel Codice penale", ha affermato il presidente. In un comunicato pubblicato nel marzo dello scorso anno, dopo l'annuncia dell'uscita dalla Cpi, Duterte aveva accusato la Corte dell'Aia di aver violato i suoi diritti ad un giusto processo e la presunzione d'innocenza. Il presidente aveva affermato che le note e le dichiarazioni da parte dei funzionari delle Nazioni Unite dimostrano senza ombra di dubbio che questi ultimi hanno gia' sancito la sua colpevolezza. "Data la propensione esibita dalla Cpi a non concedere il dovuto rispetto agli Stati firmatari dello Statuto di Roma, e l'evidente partigianeria dell'Onu contro le Filippine, tanto vale che queste ultime valutino l'abbandono dello Statuto di Roma", aveva aggiunto il presidente nel suo comunicato.
Il procuratore della Cpi Fatou Bensouda ha annunciato l'apertura di un "esame preliminare" a carico di Duterte e del suo governo, per "analizzare i presunti crimini commessi" nel contesto della Guerra al narcotraffico, intrapresa dall'attuale governo Filippino nel giugno 2016. Durante tale offensiva hanno perso la vita oltre 5mila spacciatori e sospetti tali, e altre migliaia di persone sarebbero rimaste vittima di bande di "vigilante" che le autorita' descrivono come bande rivali, ma che attivisti dei diritti umani affermano essere gruppi armati pro-Duterte. Le organizzazioni per i diritti umani accusano le autorita' Filippine di aver compiuto uccisioni sommarie di numerosi sospetti. La Polizia nega, affermando di essere ricorsa alla forza letale solo contro sospetti armati e violenti. A sottoporre il caso alla Cpi, nel 2017, e' stato Jude Sabio, avvocato di un assassino reo confesso che afferma di aver fatto parte di una "squadra della morte" di Duterte a Davao, dove il presidente Filippino diede inizio alla sua guerra al narcotraffico nella veste di sindaco.
Gli attivisti per i diritti umani delle Filippine affermano che il bilancio della guerra alla droga sia sino a quattro volte superiore a quello ufficiale. Duterte respinge le accuse, e afferma che la Corte penale internazionale si sia dimostrata un soggetto di parte. L'opposizione al Senato delle Filippine ha tentato di bloccare l'uscita del paese dalla Corte, affermando che revocare l'adesione al Trattato di Roma richieda il parere favorevole della maggioranza dei senatori, cosi' come per l'atto della ratifica. La Corte Suprema Filippina, pero', non si e' espressa in proposito la scorsa settimana, e cio' ha consentito al governo di rendere effettiva la decisione. Jose Manuel Diokno, un avvocato per i diritti umani candidato al Senato alle elezioni di medio termine del prossimo maggio, ha dichiarato la scorsa settimana che il ritiro del paese dalla Cpi avra' serie conseguenze a livello domestico e internazionale.
"Questa decisione danneggera' la nostra credibilita' e la nostra posizione all'interno della comunita' internazionale", ha detto Diokno. "A sua volta. Cio' potrebbe danneggiare le relazioni commerciali del nostro paese, e probabilmente influira' anche sull'aiuto estero. Al di la' di quest'ordine di preoccupazioni pero', credo che il ritiro causera' un danno ancor maggiore e piu' durevole nel nostro paese, perpetuando una cultura dell'impunita', che si disinteressa degli abusi", ha affermato l'oppositore del presidente.
(agenzia stampa Nova)
 
 
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