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 ITALIA - ITALIA - Con cocaina istinto vince su ragione. Ecco perche' ricadute. Studio
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16 febbraio 2017 17:26
 
 Il consumo abituale di cocaina induce un'alterazione cerebrale che fa prevalere la parte istintiva del cervello su quella razionale: questa disfunzione spiega perché una persona che consuma cocaina, anche dopo un periodo relativamente lungo di astinenza, resta soggetta a un elevato rischio di ricaduta. A rivelarlo è lo studio 'Resting state brain connectivity patterns before eventual relapse into cocaine abuse, condotto dai ricercatori del dipartimento di psicologia dell'Università di Milano-Bicocca e dell'Università di Urbino 'Carlo Bo', insieme all'Ospedale Niguarda Ca' Granda e al Sert 1 di Milano, appena pubblicato sulla rivista 'Behavioural Brain Research'. Per dimostrare questa alterazione, fino ad oggi solo ipotizzata dalla letteratura scientifica, i ricercatori hanno misurato il livello di organizzazione funzionale delle reti cerebrali in stato di riposo di 18 ex consumatori abituali di cocaina, in astinenza dalla droga da cinque mesi. "L'astinenza dei pazienti durava in media da 141 giorni - spiega Manuela Berlingeri, docente presso l'università di Urbino e il centro di neuroscienze NeuroMi di Milano - e il fatto che dopo quasi cinque mesi il cervello mostrasse ancora gli effetti tipicamente indotti dal consumo di cocaina suggerisce che, di fatto, esso sia in grado di lasciare una traccia nelle strutture cerebrali che resta impressa in un arco temporale relativamente lungo".
"I pazienti in cui il meccanismo individuato era più forte sono ricaduti - aggiunge Eraldo Paulesu, professore di psicologia fisiologica all'Università di Milano-Bicocca - e questo evidenzia una distinzione fra due gruppi e due momenti diversi. Le implicazioni pratiche future, dopo studi ripetuti sulla base di un campione formato da centinaia di pazienti, potrebbero evidenziare predittori del rischio di ricadute, per individuare quali pazienti seguire con più attenzione e quali siano i momenti di maggiore vulnerabilità". Il confronto fra il campione degli ex consumatori di cocaina e 19 persone che non avevano alle spalle una storia di tossicodipendenza - spiega in una nota l'università Bicocca - ha rivelato una riduzione della connettività funzionale fra il nucleo accumbens (una regione profonda del cervello importante per la motivazione) e la corteccia dorsale prefrontale, implicata nel controllo cognitivo del comportamento. Viceversa, il nucleo accumbens mostrava una maggiore connettività con la regione orbitale del lobo frontale, struttura che codifica il valore edonico delle ricompense. Negli otto pazienti che sono ricaduti nel consumo di cocaina tre mesi dopo le rilevazioni, l'alterazione era ancora più evidente.
Le misurazioni sono state rese possibili grazie all'uso della risonanza magnetica funzionale e di test psicologici basati su scale di valutazione dell'impulsività. Tutti i pazienti tossicodipendenti hanno evidenziato un disturbo nel controllo cognitivo del comportamento (Strategic and controlled behaviour) proporzionale, a sua volta, alla connessione fra la corteccia dorsale prefrontale e il nucleo accumbens. Il 'cervello istintivo', essendo le strutture cerebrali turbate nei loro rapporti di forza fisiologici, tende a prendere il sopravvento sul 'cervello razionale' e il controllo del comportamento risulta indebolito, così come risultano alterati i meccanismi chimici legati al rilascio di dopamina e alla sensazione di ricompensa. Le ricerche, infine, hanno evidenziato un sistema 'push and pull' basato su un rapporto di correlazione inversa, dove più forte è il rapporto fra corteccia orbitofrontale e nucleo accumbens (sistema della ricompensa), meno forte è il rapporto fra il nucleus e la corteccia dorsale prefrontale (sistema del controllo cognitivo). Queste conclusioni delineano un modello nuovo che si distacca da quello elaborato da Nora Volkow, autorevole studiosa americana delle dipendenze. La chiave di volta del nuovo modello - conclude l'atebeo milanese - si trova nella struttura del nucleo accumbens e nello studio di come si connette con le altre regioni del cervello. I risultati, secondo gli studiosi, mostrano che tali interazioni sono particolarmente turbate nei pazienti a maggior rischio di ricaduta.  
 
 
 
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