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Dopo guerriglia e narcos. La giungla della Colombia si offre come una dispensa del mondo
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Articolo di Redazione
13 marzo 2017 13:08
 
 Gli elicotteri dell’Esercito colombiano rompono il silenzio delle notti a El Guaviare, una estesa superficie di terra calda nel sudest del Paese del realismo magico, per proteggere una popolazione che sogna di offrire all’umanita’ il suo paradiso ecoturistico e una dispensa di una ricchezza e varieta’ straordinarie, dopo che e’ terminato l’incubo del fuoco incrociato e senza fine tra i guerriglieri di sinistra e i gruppi armati illegali. E’ la giungla dove, Ingrid Betancourt e la sua segretaria Clara Rojas, hanno passato sei lunghi anni di prigionia nelle mani delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC).
Nella decade del 1980 si sono insediati li’ i narcoterroristi, che inondarono le strade delle piccole citta’ e le fattorie di banconote, mentre montavano nella selva tropicale spessissima i loro laboratori clandestini di cocaina. Durante cinquantadue anni, El Guaviare e’ stato in mezzo ad una confusione totale tra i guerriglieri delle Farc, i paramilitari di estrema destra e i narcotrafficanti in libera uscita da Pablo Escobar e Gonzalo Rodriguez “El Gacha”. Ora ai suoi maltrattai abitanti tocca di apprendere a vivere in una pace che per loro e’ sconosciuta.
“Qui tutto il mondo ha rapporti con il business della cocaina”, dice Arnoldo Lopez, guida turistica di 27 anni, che mostra con orgoglio ai visitatori le ricchezze di un mondo abbandonato, tra i maggiori per biodiversita’ nel Pianeta, coperto da una flora copiosa ed una fauna esuberante, dove si nascondono pitture rupestri con pittogrammi non datati e ancora incisi nelle impressionanti caverne sacre degli indigeni, accessibili solo agli sciamani. In questo eden scorrono fiumi colorati con belle piante acquatiche e si gode una vista spettacolare della imponente Serranìa del Chiribiquete, incastrata nello Escudo Guayanés, una delle formazioni rocciose piu’ antiche della Terra, che attraversa Venezuela, Brasile, Guyana, Guyana francese e una parte di Colombia. Un paesaggio affascinante.
Terra di coloni abitata da cabucos, meticci di bianchi e indigeni, il fertile Guaviare e’ passato dalla commercializzazione della gomma al business delle pelli selvagge per arrendersi a partire dalla meta’ del 1980 nella produzione prima di marijuana e poi di cocaina, una droga che ha fatto arricchire i portafogli delle mafie piu’ sanguinarie della Colombia e le arche dei guerriglieri e paramilitari, che ora emergono dalla selva per ricongiungersi alla societa’ civile dopo la firma della controversa pace siglata lo scorso 24 novembre tra il governo di Juan Manuel Santos e i leader delle Farc. Una pace con un estenuante e interminabile cammino crivellato di buche, il cui ultimo capitolo e’ stato sottoposto ai colombiani con il referendum di ottobre sul testo definitivo, che fissa pene minime per i criminali delle guerriglie. Senza entrare nei complicati meandri interpretativi di cio’ che e’ stato votato, i colombiani anelano la pace e maggiormente nelle zone distanti dalla capitale Bogota’. Vogliono reinventarsi con un turismo ecologico per gli amanti della natura e del trekking e liberarsi dello stigma che la droga ha iniettato in queste zone popolate da comunita’ indigene che non avuto nessuna opportunita’ di scoprire la civilizzazione.
Gli abitanti di El Guaviare hanno appreso a maneggiare i silenzi e ad affrontare con incertezza mai nascosta le opportunita’ che gli vengono offerte per uscire da violenza e narcotraffico. “Non e’ una cosa facile”, riconosce Cesar Arredondo, guida turistica di 25 anni che e’ cresciuta a San José del Guaviare sotto la dittatura delle Farc, dove i guerriglieri punivano severamente i minori che venivano scoperti mentre fumano una semplice sigaretta. Con i ladri e i trafficanti di droga, tuttavia, erano meno accondiscendenti. Semplicemente li ammazzavano, anche se non avevano scrupoli a fare business con la coca di purissima qualita’ prodotta dai narcos.
Controllo ferreo. I commandi guidati da Rodrigo Londoño, “Timochenko”, controllavano scrupolosamente la vita dei contadini. Indicavano quando potevano coltivare, tagliare alberi o cacciare con un controllo dell’ansia che senza volerlo e’ servito per proteggere questo paradiso dalla distruttiva mano dell’uomo. In Colombia, il secondo Paese con piu’ mine antiuomo al mondo, dopo l’Afghanistan, esiste piu’ di un milione di chilometri quadrati di terra vergine controllata durante l’ultimo mezzo secolo dalla guerriglia, di sinistra e di destra, e dai narcotrafficanti, che in un circolo perverso costringevano a pagare i lavori contadini degli ingenui indigeni con piccoli pacchetti di cocaina. “Quando ero piu’ giovane non potevo uscire di casa dopo le otto di sera”, ricorda Arnoldo Lopez riferendosi al coprifuoco che i miliziani imponevano ai 60.000 abitanti di San José del Guaviare, capitale del dipartimento. 
Nel ricordo dei piu’ anziani rimangono, piene di sangue e fuoco, le immagini del massacro nel 2002 a Boyacà. Le Farc, scontrandosi coi paramilitari per il controllo della zona e dell’accesso al fiume Atrato, assassinarono in un chiesa piu’ di 100 persone che si erano li’ rifugiate. E non si puo’ dimenticare la mattanza di 32 persone a Paripiàn nel 1997, provocata da un attacco dei “paracos” di 
Carlos Castaño Gil contro quelli che consideravano collaboratori della guerriglia del sud.
La vita a El Guaviare e’ stata molto dura, ammettono tutti, decisi oggi, per finire, a sfruttare la bellezza dei propri paesaggi. Ma questo esige la presenza dello Stato, che recriminano di averli abbandonati alla propria sorte durante gli oltre 50 anni di conflitto. “Di qua i politici passano solo quando e’ periodo di elezioni, e anche poco”. Dice Abraham Ballesteros, che insieme a sua moglie, Sonia Lopez, custodisce l’ingresso al ripido cammino che porta alle pitture rupestri di Nueva Tolima, nella Sierra di Lindosa.
La stessa critica viene fatta dalle popolazioni delle poverissime comunita’ che vivono ai margini del fiume Guaviare, una coda larga di 1.497 chilometri alla confluenza dei fiumi Guayabero e Ariari. “Alla fine della decade del 1980, in pieno clima da narcotraffico, qui c’era una discoteca”, ricorda con nostalgia una donna di 66 anni che vive da 45 anni in questo luogo tormentato dai colpi d’arma da fuoco dell’Esercito, della guerriglia e dei paramilitari di Castano Gil. Nel 2004, i “paracos” cominciarono ad uscir dalla zona che controllavano per reinserirsi nella societa’. Non lo hanno fatto tutti, alcuni crearono nuove brigate criminali che ora terrorizzano gli indigeni, trafficano con droga e si dedicano, senza nessuno scrupolo, all’estrazione mineraria illegale.
Il Parco Nazionale della Serranìa del Chiribiquete sorge all’improvviso in questo vasto e frondoso paesaggio esteso del dipartimento di Caquetà. Piu’ conosciuto come El Brocoli, per il notevole spessore della sua vegetazione, ha un’estensione superiore a quella dei Paesi Bassi: El Chiribiquete, di 575.000 ettari, fu scelto da Pablo Escobar per occultare in Tranquilandia il suo maggiore laboratorio di cocaina, camuffato in un’umida selva amazzonica inondata da fiumi, selvaggi, vestigia di rituali indigeni e piante allucinogene, tossiche e medicinali.
La tribu’ dei Karijonas. Scoperta questa frontiera del mondo civilizzato nel 1987, una spedizione del giardino botanico di Madrid collaboro’ nel 1991 nelle indagini sull’enorme luogo sacro della tribu’ dei Karijonas, abitato da centinaia di specie di polli e papaveri.
E’ il paradiso intrappolato in un conflitto che non senza difficolta’ fa di tutto per portare la pace ai contadini de El Guaviare, decisi a cambiare coltivazioni della foglia di coca in cacao, caffe’, patata o ananas. Mentre si procede a ripulire le zone inquinate dai diserbanti chimici lanciati dal cielo nell’ambito del Plan Colombia sottoscritto con gli Usa nel 1999 per distruggere le ampie piantagioni di cocaina.
L’agricoltura e il turismo sono la nuova scommessa del governo di Juan Manuel Santos per questa zona che si offre al mondo come un’immensa dispensa di una terra fertilissima capace di superare la fame che oggi colpisce 850 milioni di persone.

(articolo di Natalia Vaquero, pubblicato sul quotidiano La Nueva España del 12/03/2017)
 
 
 
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