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Brasile. Grazie alle bande del PCC le galere sono diventate strategiche per il traffico di droghe
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Articolo di Redazione
30 luglio 2019 10:53
 
Bruno Paes Manso è ricercatore al Centro Studi sulla violenza dell’Università di Sao Paulo e coautore dell’opera “A Guerra”, sull’affermazione del Primo Commando della Capitale (PCC), la principale organizzazione criminale del Paese, accusata del massacro di 57 detenuti – 19 dei quali decapitati – che facevano parte di una banda rivale, in una prigione di Altamira (Stato di Parà), lunedì 29 luglio scorso. Risponde ad alcune domande del quotidiano Libération sul sistema penitenziario brasiliano.

D. Questo bagno di sangue in una prigione dell’Amazzonia quest’anno. A maggio, 55 detenuti sono stati assassinati a Manaus. A gennaio 2017, più di un centinaio di detenuti sono morti nella guerra tra bande in Amazzonia e nel Nordest. Come lo spiega?
R. Queste violenze sono il risultato dell’espansione del PCC [ndr. nato nel 1993 in un penitenziario di Sao Paulo dove erano detenuti i suoi fondatori, dei rapinatori di banche]. Con la banda, le prigioni sono diventate strategiche per l’organizzazione del traffico di droghe a margine del sistema carcerario. I suoi leader dirigono il business direttamente dalle loro celle, grazie alla diffusione di telefoni cellulari, che entrano di sotterfugio in prigione. Il PCC ha costruito questo modello di gestione negli anni 2000, quando è riuscito a prendere il controllo del 90% delle prigioni dello Stato di Sao Paulo, il più popolato del Paese. In questo momento gestisce il mercato della droga negli altri Stati brasiliani, dopo essere entrato in contatto con dei fornitori attivi alla frontiera con la Bolivia e il Paraguay. Ma deve far fronte alla resistenza delle bande locali. Perché il “modello di business” del PCC si è sparso un po’ dovunque nel Paese. Non esiste più uno Stato del Brasile dove non ci sia una banda nelle prigioni. Venti anni fa erano ancora quasi inesistenti.
D. Come la sovrappopolazione carceraria ha favorito il loro emergere?
R. Negli anni ‘90 il Brasile contava 90.000 detenuti. Oggi sono 725.000 [ndr. La terza popolazione carceraria nel mondo], e c'è spazio solo per metà di loro. Di fronte ad un ritmo crescente di incarcerazione, la costruzione di nuovi penitenziari batte il passo. Debordanti per l’afflusso di detenuti, le autorità hanno finito per lasciare di fatto il controllo delle prigioni. E’ per questo che il PCC ha tessuto la sua tela a Sao Paulo, diventando il controllore del mercato criminale locale. I detenuti che seguono le regole stabilite dalla bande riescono ad avere un tranquillo soggiorno in prigione. Questa viene chiamata “assicurazione prigione”.
D. Questa politica di incarcerazione di massa sembra che non sia in grado di ridurre l’insicurezza.
R. Questa in effetti ha contribuito ad aggravare la violenza, favorendo la proliferazione delle bande. Lì dove gruppi rivali si affrontano, come nel Nord e nel Nordest, il numero i omicidi è esploso, nelle prigioni ma anche nelle strade, dove c’è il prolungamento della loro rivalità. A Sao Paulo si mettono molte persone in carcere ma nello stesso tempio gli omicidi sono fortemente calati – senza che le autorità lo abbiano perseguito come un obiettivo. Diciotto anni fa, lo Stato paulista aveva la percentuale di omicidi più alta di tutto il Brasile. Questa percentuale è ormai la più bassa, e questo accade nel più grande mercato di consumatori di droghe dell’America del Sud. Di fatto, il PCC è il solo a controllare questo mercato. Coi suoi rivali fatti fuori, il conflitto è diminuito. Ma ormai esportano al di fuori di Sao Paulo.
D. A cosa è dovuto il calo di omicidi che si è registrato in tutto il Brasile l’anno scorso?
R. Nel 2017 si è raggiunto un livello record (59.128 assassinati) in seguito ai massacri di gennaio nelle prigioni, che hanno aggravato la tensione in diversi Stati. Ora, i capi delle bande sono diventati più pragmatici, valutano che è loro interesse ridurre i morti. D’altra parte, gli Stati [ndr la sicurezza è decentralizzata] sono più in grado di reagire, soprattutto attraverso l’intelligence. Anche se questo nuovo bagno di sangue non è stato evitato, ma non era cosa facile. Queste persone sono in isolamento. Tutti hanno un coltello. Chi uccide per primo sopravvive.
D. Che dire della politica penitenziaria di Bolsonaro?
R. Così come il Presidente, il suo ministro incaricato della Sicurezza Pubblica, Sergio Moro, vogliono mettere più persone in galera, senza considerare i danni collaterali. Essi sono per l’indurimento delle pene, cosa che aumenterà ancora il numero di detenuti. In realtà, Bolsonaro non si è mai interessato alla sicurezza pubblica. Lui non crede nello Stato né nel sistema democratico. Difende la semplificazione dell’accesso alle armi in modo che il cittadino possa difendersi da solo. Ma più armi implica maggiore violenza.

(intervista di Chantal Rayes, raccolta a Sao Paulo e pubblicata sul quotidiano Libération del 30/07/2019)
 
 
 
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