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 ITALIA - ITALIA - Dipendenze e consumi. Le conclusioni del convegno del Gruppo Abele
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Notizia 
29 aprile 2011 15:36
 
 Sovraffollamento carcerario, narcotraffico, prevenzione, trattamenti e riduzione del danno: dalla due giorni nazionale del Gruppo Abele su dipendenze e consumi arrivano forti denunce, ma anche proposte. Un doppio binario sul quale si sono mossi i lavori di oggi, che produrranno un documento finale relativo ad ogni tema affrontato dai 30 relatori e dai lavori che hanno coinvolto gli oltre 500 partecipanti. Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele, anticipa i contenuti del documento.
Seguiranno le dichiarazioni conclusive di don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele.
Carcere
Sono i numeri, più di tutti, a parlare chiaro: negli istituti penitenziari italiani ci sono 67.600 detenuti per 45.320 posti. Nelle carceri europee l’indice di sovraffollamento è pari al 99%, mentre in Italia è del 149%. Non solo: mentre nell’Ue la custodia cautelare tocca il 28,8% dei detenuti, nel nostro Paese si arriva al 41,7%. Con un aumento dei procedimenti pendenti pari al 28,8% e un vero e proprio crollo degli affidamenti terapeutici. “Chi oggi parla di detenzione sociale - spiega il  vicepresidente del Gruppo Abele -  non può purtroppo essere smentito”.
Ma come è possibile oggi evitare l’ingresso in carcere? “Servono anzitutto modifiche legislative - chiarisce Grosso - la Fini Giovanardi e l’ex Cirielli vanno riviste e cambiate. Ma serve anche una più completa applicazione dell’articolo 89 che consente di evitare la custodia ad una persona tossicodipendente sottoposta a processo per direttissima che abbia intenzione di sottoporsi a terapia. Una possibilità molto importante soprattutto per i giovani. I servizi, però, devono essere messi nella condizione di fare il loro lavoro in questo senso: supportare e seguire queste persone diventa indispensabile”.
La scarsità di risorse sta togliendo spazio anche alle misure alternative: “Sono sottoutilizzate - denuncia Grosso - i Sert non hanno più soldi, gli operatori non riescono a garantire continuità ai progetti”. E poi ci sono le persone straniere, per le quali molti giuristi parlano di “doppio ordinamento giudiziario: non hanno permessi premio né misure alternative. Per loro, il carcere, è più duro che per gli altri”.
Dal 2007 al 2010 in tutti gli istituti penitenziari del nostro Paese si registra un peggioramento drastico della qualità vita, complice la riduzione della spesa media annua. “Siamo passati – denuncia il Gruppo Abele -  dai 13.170 euro pro capite spesi nel 2007 ai 6257 euro nel 2010. La spesa è stata dimezzata, e questa riduzione ha effetti importanti e drammatici sulla qualità della vita nelle carceri. La condanna detentiva non priva il detenuto del diritto alla salute e cura: si tratta di una pena aggiuntiva arbitraria”. Oggi per ogni educatore ci sono 250 detenuti e solo il 25% delle persone in carcere ha accesso al lavoro, per qualche ora e a rotazione. “Esiste anche – chiude Grosso – un problema di rapporto tra “dentro e fuori”: il detenuto che esce spesso non ha residenza né diritti . C’è un reale, forte problema sanitario dell’uscita dal carcere di cui dobbiamo tener conto e su cui occorre lavorare”.
Narcotraffico
Il narcotraffico è l’affare illegale più redditizio al mondo e una delle voci più rilevanti dell’economia globale. Nel mondo vi sono interi Paesi strangolati dalle “narcocrazie”: in Messico, dal 2006, sono stati registrati 34mila omicidi, 15.273 vittime solo nell’ultimo anno, un morto ogni 34 minuti.
“In Russia - denuncia il Gruppo Abele - muoiono per droga 30mila persone all’anno, e in tutta Europa sono 10mila. Anche per questo oggi la lotta non può concentrarsi solo sui sequestri ma dev’essere lotta al riciclaggio: nessuno, oggi, traccia i soldi. Servono norme contro l’autoriciclaggio, ossia il reato di chi in Italia investe e reinveste i profitti derivanti da un atto illecito. Occorre andare nella direzione del superamento del segreto bancario, ratificare la convenzione di Strasburgo, estendere a livello europeo il riutilizzo sociale dei beni confiscati e uniformare i controlli doganali.
Prevenzione
Al di là delle prove di efficacia dei diversi interventi preventivi, su cui il dibattito è aperto e più che mai vivo, la due giorni di studio del Gruppo Abele ha evidenziato due problemi di base: il primo è quello relativo agli investimenti. “In Olanda - denuncia il vicepresidente dell’associazione - alla prevenzione è riservato l’ 1% degli investimenti, in Svezia  il 3%, mentre per l’Italia i dati non sono stati resi noti. Oltre alla scarsità dei fondi, esiste anche un  problema di continuità dei progetti: la prevenzione è efficace soltanto se è continua e durevole. Degli scarsissimi fondi usati oggi per la prevenzione, poi, si fa un uso inefficace, a forte rischio di effetto boomerang: basta vedere le ultime campagne in onda oggi sui network nazionali”.
La due giorni di studi, nel suo documento finale, ribadisce la necessità di una pluralità delle prevenzioni. “Informazione ed educazione - chiarisce Leopoldo Grosso - sono assi portanti, insieme alla cultura della comunità locale. La  prevenzione è sfida di vicinanza, e soprattutto offerta di opportunità”.
Trattamenti
Il convegno del Gruppo Abele ha espresso forte orgoglio per quello che i servizi in tema di trattamenti hanno saputo costruire in 35 anni di storia. “Quello dei trattamenti – chiarisce Grosso – è il più ricco, ma anche il meno integrato dei servizi. Una sorta di bellissimo impianto idraulico con tanta dispersione. Siamo certamente orgogliosi per la tenuta dei nostri servizi, ma sappiamo che questa tenuta non si è  tradotta nella rappresentazione sociale che ad esempio troviamo in Olanda”. Il sistema si è molto trasformato ma oggi – denuncia il Gruppo Abele -  è in fase di crisi per i tagli pesanti che delegittimano i servizi. “Sui territori si taglia come prima cosa proprio sui servizi di frontiera. I nuovi operatori, poi, sono precari e spesso con ritardi fortissimi sugli stipendi. Insomma non sono messi nelle condizioni di appassionarsi”.
Ribadita anche la necessità del protagonismo degli operatori, pur tra le difficoltà legate ai tagli. “Ciò non vuol dire - chiarisce Grosso - cancellare i vincoli giuridici, ma chiarire bene la distinzione dei ruoli di ciascuno”.
Riduzione del danno
La riduzione del danno non è mai stata accettata come “quarto pilastro” per la lotta alle dipendenze. “Storicamente scontiamo una difficoltà di rapporti tra cura e riduzione; mai siamo riusciti a creare una sinergia costruttiva, come tutta l’esperienza di questi anni dimostra. Vogliamo ribadire l’idea di una riduzione del danno come bene comune – ha detto Grosso -  che fa gli interessi di tutti ed è utile a tutti. Occorre far partire davvero una rete di riduzione del danno che diventi centro di riferimento culturale di elaborazione e proposizione”.  
È anche sulla necessità di un riequilibro dei costi economici che si è concentrata l’attenzione dei lavori: se in Olanda per i trattamenti vengono investite il 13% delle risorse per la lotta alle tossicodipendenze e in Svezia il 15%, per la riduzione del danno scendiamo rispettivamente al 9% e al 3%. “Per la repressione, invece – denuncia il Gruppo Abele - si concentrano il 76% degli investimenti”.
Quanto alla riduzione del danno sociale, si è tornato a parlare della proposta di concessione di residenza, anche solo nominale, per i senza dimora: “La concessione della residenza - chiarisce Grosso - segna un bivio importante tra inclusione ed esclusione. Siamo contrari alle liste dei “senza dimora” , che segnalano il forte emergere di percorsi di non inclusione”.
 
E se nel 2009, a Vienna, l’Onu ha ammesso “insoddisfazione per i risultati raggiunti dalla cosiddetta lotta alla droga”, è proprio da qui che il Gruppo Abele intende ripartire. “Occorre riequilibrare gli investimenti e pensare a nuove modalità per la lotta alle dipendenze - ha chiuso Grosso -  aprire una fase post proibizionista è una sfida possibile”.

Intervento conclusivo di Luigi Ciotti al convegno “Dipendenze e consumi. A 35 anni dall legge 685”
«Dobbiamo tornare a farci sentire». Questo l’appello di Luigi Ciotti agli oltre 400 operatori sociali presenti al convegno nazionale sulle dipendenze che si è concluso oggi alla Fabbrica delle “e”, la sede del Gruppo Abele a Torino. «Dobbiamo farci sentire e farci capire anche fuori dai nostri contesti, usare linguaggi accessibili ai “non addetti ai lavori”, come non sempre siamo stati capaci di fare in passato». Un’esigenza di comunicare tanto più forte perché, accanto alle forme “tradizionali” di dipendenza, la società fa oggi i conti con altre e più pericolose “droghe”: «La droga di una politica troppo spesso ostaggio dei privilegi dei singoli o di casta. La droga di un’economia che mortifica e spolpa i servizi sociali. La droga di un’informazione che, senza voler generalizzare, in molti casi non informa ma deforma, distrae, nasconde.» E ancora «La droga del lavoro senza sicurezza e diritti. La droga di una cultura che riduce tutto al metro del successo, della ricchezza e dei soldi. La droga della disuguaglianza accettata come una fatalità. La droga delle illusioni vendute come speranze.» Ma soprattutto, sottolinea don Ciotti, quella droga che ci impedisce di ribellarci e combattere tutte le altre: «la droga dell’indifferenza, dell’assuefazione, della rassegnazione».

Contro queste “nuove droghe”, e contro «la trasformazione delle questioni sociali in problemi penali, in temi di ordine pubblico», don Luigi chiama gli operatori dei servizi sociali – «pubblici e privati, senza differenze, perché tutti noi svolgiamo un servizio pubblico» – a scendere di nuovo nelle piazze e nelle strade, «che sono sempre state per noi il luogo di incontro con i bisogni e le fragilità delle persone, ma anche la nostra università, il nostro primo luogo di formazione». In quelle strade infatti «c’è una grande voglia di cambiamento, una grande rabbia positiva e propositiva che chiede solo di essere raccolta, di trovare progetto e parole credibili». «Oggi siamo qui – conclude allora don Ciotti richiamando la mobilitazione del Gruppo Abele che stimolò la nascita delle legge 685 – per ricordare e ricordarci, a 35 anni di distanza da quel digiuno, che la nostra fame di giustizia sociale, di dignità, di verità è ancora in gran parte da saziare».
 
 
 
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