====== NOTIZIARIO DROGHE ================== Notizie quotidiane sulle droghe con attenzione alla situazione internazionale, alle diverse realtà, ai traffici, all'andamento della "war on drugs", ai sistemi di produzione e di spaccio delle sostanze stupefacenti. Edito da Aduc, Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori. Redazione: Via Cavour 68, 50129 Firenze URL: http://droghe.aduc.it NON DARE PER SCONTATA LA NOSTRA ESISTENZA! Senza il sostegno economico di persone come te non saremmo in grado di informarti. 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Se in precedenza lo scrutinio, così, operato, si è incentrato sul dubbio di legittimità (costituzionale) e di conformità (rispetto alla decisione quadro europea), riguardante la scelta del legislatore italiano di applicare il medesimo trattamento sanzionatorio, in relazione alle condotte illecite concernenti qualsiasi sostanza stupefacente, senza – peraltro - operare distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti (come, invece, raccomandato dalla normativa europea), le riflessioni che seguono, involgono il tema della soluzione che i diversi piani legislativi, quello sovranazionale e quello nazionale, offrono relativamente alla detenzione ed all’acquisto di stupefacenti.   1) LA DETENZIONE E L’ACQUISTO NEL SISTEMA PREVISTO DALLA DECISIONE 2004/757/GAI   A) IL COMMA 1 DELL’ART. 2   L’art. 2 della decisione quadro citata prevede, al comma 1 lett. c), che la detenzione o l’acquisto di sostanze stupefacenti vengano sanzionate (ove di per sé non autorizzate), ove esse risultino essere in nesso di strumentalità rispetto ad una delle attività descritte alla lett. a) del medesimo comma 1[1]. Appare del tutto evidente che la modalità sistematica di possibile inserimento della detenzione o dell’acquisto di stupefacenti nel novero dei comportamenti illeciti, attuata esclusivamente con il disposto della lett. c), si accredita come chiaro esempio di deroga alla valutazione di irrilevanza penale, che caratterizza – pare indubitabilmente - le due condotte in esame. Il tenore letterale dell’articolo 2, infatti, non pare lasciare dubbi, in ordine al tipo di concezione al quale pare essersi ispirato il legislatore comunitario. Egli, inequivocabilmente, ha sottoposto la sanzionabilità di queste condotte alla sola condizione dell’esistenza di un nesso eziologico (o finalistico) che vincoli direttamente le condotte in esame ad altre già di per sé illecite[2]. Solo in tale eventualità viene, quindi, declinata la loro illiceità. Il legame strumentale tra condotte e fine illecito penalmente rilevante pare, quindi, costituire il primo (e probabilmente unico) carattere discretivo, in base al quale la detenzione e l’acquisto possono, talora ed eccezionalmente, venire inseriti nella categoria degli atti penalmente punibili. A questa tesi appare, poi, di ulteriore supporto, la considerazione che, se il legislatore comunitario avesse qualificato come geneticamente illecite e penalmente rilevanti, sia la detenzione che l’acquisto di sostanze droganti : 1. avrebbe dovuto inserire queste due condotte, già in origine, nella tassativa e dettagliata previsione della lett. a), 2. non avrebbe avuto necessità e possibilità di introdurre il comma 2 dell’art. 2, norma, che esclude dalla sfera di applicabilità tutte le condotte (altrimenti illecite) che risultino riconducibili al consumo personale e sulla quale si avrà modo di soffermarsi infra. Consegue, quindi, la conclusione che la diversificazione metodologica dell’approccio punitivo alle due specifiche condotte in esame, oggetto di una previsione ad hoc, costituisce ennesimo argomento a riprova di una collocazione usuale delle stesse nella categorie dei comportamenti ritenuti originariamente leciti. Non è, dunque, casuale che la struttura dell’art. 2 della decisione 2004/757/GAI dimostri di essere fortemente condizionata dal ruolo di centralità che riveste il consumo personale di stupefacenti, quale scopo successivo rispetto alla detenzione ed all’acquisito di sostanze stupefacenti. Queste due attività possono, talora, risultare sanzionate, se effettivamente connesse ad atti illeciti debitamente descritti, mentre in altre occasioni, vengono assolutamente escluse dal campo della punibilità (e con esse, di seguito, tutte le altre), se espressione di attività di consumo personale. Il doppio binario sul quale corre la norma europea, esclude la possibilità di equivoci e sovrapposizioni di carattere terminologico, evitando che impropriamente una condotta possa essere inserita in più distinte classi. La creazione, al comma 1°, di una serie di gruppi autonomi (e distinti) di condotte illecite, costituisce opzione che risponde a criteri di classificazione e qualificazione del livello di antigiuridicità dei singoli comportamenti. Essa conferma come le due condotte in esame, strutturalmente lecite (o, comunque, non illecite penalmente), possono assumere rilevanza penale solo in presenza di una esplicita condizione, che consiste nella loro propedeuticità a successive condotte illecite. Muovendo da queste basi, si deve escludere che esistano, nella richiamata norma europea, altre e diverse condizioni che privino dell’originario carattere di non punibilità, le condotte di detenzione e di acquisto, le quali paiono ontologicamente ed esclusivamente concepite in funzione del consumo personale.    B) IL COMMA 2 DELL’ART. 2   L’altro apice della norma scrutinata ribadisce il principio che il fine del consumo personale di sostanze stupefacenti (nelle forme previste dalle legislazioni interne) assume un valore di causa di giustificazione rispetto alle condotte valutate come illecite ed indicate al comma 1. La norma solleva alcuni dubbi metodologici, posto che 1.                     riunisce tout-court nell’ambito di applicazione della esimente anche attività (quali la fabbricazione, l'offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione, la mediazione), le quali appaiono all’evidenza incompatibili con l’uso esclusivamente personale, 2.                     rinvia, inoltre, utilizzando una formula (“…consumo personale quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali”), che appare piuttosto equivoca e che non tiene conto di realtà nazionali (ad esempio Grecia, Finlandia e Svezia) che, invece, puniscono anche la detenzione a fine di uso personale, 3.                     si rivolge anche a tutte le attività di coltura di piante da cui ricavare stupefacente, operando, così, una indebita ed illogica omologazione fra oppio, coca e cannabis. Di contro, un serio tentativo interpretativo permette di sostenere che 1.      le condotte di cui alla lett. a) che effettivamente possono rientrare nella configurazione dell’esimente in parola sono solo quelle, che, effettivamente, possono porsi in connessione finalistica con l’uso personale di stupefacenti (dunque, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l'importazione o l'esportazione di stupefacenti)[3], 2.      alle medesime sopra elencate condizioni anche la attività di coltivazione può rientrare nel contesto operativo dell’esimente ed acquisire, così, valore di non illiceità penale. Si tratta di conclusioni di particolare rilevanza, in quanto le relative conseguenze non vengono circoscritte a mere petizioni di principio, ma sono destinate a produrre effetti, in ordine al sistema sanzionatorio, anche nei sistemi di diritto interno.    C) IL RAPPORTO INSTAURATOSI FRA LA NORMA COMUNITARIA E LA NORMA ITALIANA.   Le produzioni normative nazionali, come notorio, devono informarsi alle direttive europee, attraverso procedure normative di recepimento della fonte di diritto comunitario. Nel nostro ordinamento è l’art. 117 comma 1° Cost.[4] a governare il procedimento recettivo interno della norma internazionale. Or bene, nella fattispecie, emerge un rapporto biunivoco fra norma internazionale e norma nazionale. La prima, infatti, (quale fonte del diritto derivato) sancendo la non punibilità di quelle condotte descritte al comma 1°, solo ove sia dimostrata la loro connessione rispetto all’uso personale di sostanze stupefacenti, stabilisce, pertanto, un principio vincolante per gli ordinamenti statuali. La seconda, a propria volta, viene, invece, evocata, quale paradigma di riferimento, relativamente al concetto di consumo personale di stupefacenti, cui la normativa europea rinvia espressamente. Sia consentito manifestare perplessità su questo indirizzo assunto dal legislatore UE. La scelta di delegare la esatta definizione di “consumo personale” a previsioni del diritto interno, significa optare – di fatto - per un frammentazione del principio contenuto nel comma 2° dell’art. 2, che può nuocere, indubbiamente, sul piano della necessaria omogeneità delle linee guida normative. In buona sostanza, la decisione europea, invece, di proporsi quale univoca indicazione legislativa, finalizzata a determinare necessari adeguamenti nei singoli diritti nazionali, (attraverso la proposizione di una omogenea espressione del concetto di “consumo personale”) ha preferito limitarsi ad utilizzare ed evocare dati normativi preesistenti localmente. Non è, però, incauto o peregrino sostenere che la decisione del Consiglio di Europa, attraverso la sua delegazione a norme nazionali, esprima, in realtà, un esempio di riserva di legge in favore dei singoli Stati membri. Essa si estrinsecherebbe, subordinando, pertanto, alla esistenza eventuale di una previsione normativa di diritto interno, che riconosca la liceità del “consumo personale” di stupefacenti (ed alla sua definizione), così come fornita da ogni ente partecipante, la condizione di applicabilità dell’esimente per le condotte ad essa funzionali. E’ bene ricordare che nel nostro ordinamento, il principio di riserva di legge, in materia penale, costituisce tipologia che sancisce il divieto di punire una determinata condotta in assenza di una legge preesistente che la configuri come reato (art. 25 comma II Cost.). La funzione istituzionale della riserva di legge appare, dunque,  orientata in direzione essenzialmente garantistica, avendo, così, inteso la Costituzione evitare abusi da parte dello Stato, nell’esercizio della pretesa punitivo-repressiva verso il cittadino. L’istituto in parola è ammesso, quindi, quando esso si limita a specificare, dal punto di vista tecnico, elementi già contemplati dalla legge, con un rinvio che si manifesti come recettizio. Da queste brevissime premesse, pare, dunque, confermato il convincimento che il Consiglio d’Europa – pur nel ribadire il principio che la destinazione dello stupefacente ad un consumo personale costituisca fine che connota di liceità  penale alcune specifiche condotte ad esso collegate o connesse - abbia preferito evitare l’onere di concepire e confezionare una specifica e comune definizione di “consumo personale”, che potesse risultare comune a tutti gli ordinamenti, attraverso l’indicazione dei parametri e dei canoni normativi da seguire procedimentalmente. Per quanto attiene la condotta detentiva e di acquisto, il nostro legislatore ha, seppur parzialmente (e tramite l’adozione di una norma che introduce e si informa a canoni fattuali che, però, non brillano per determinatezza), recepito l’incipit comunitario. Nella nuova dizione dell’art. 73 comma 1 bis – concepito a seguito della L. 21 febbraio 2006 n. 49 – si rinvengono, infatti, elementi di stretto contatto con gli indici contenuti nella norma comunitaria. La lett. a) di tale disposizione, infatti, ha 1.                        attraverso il concetto di “uso esclusivamente personale”, ribadito quella tolleranza penale del consumo di stupefacente, da parte del singolo (ed in maniera giurisprudenzialmente più controversa del gruppo), che era conseguenza del referendum del 1993, che abrogò la dose media giornaliera, 2.                        inserito nella trama normativa, alcuni canoni ermeneutici di carattere fattuale, che - nell’intenzione del legislatore – avrebbero dovuto assolvere al compito di distinguere i casi di destinazione ad uso esclusivamente personale, (in relazione, però solamente a sostanze “detenute, importate od esportate, acquistate o ricevute”), rispetto a quelli di destinazione dello stupefacente a cessione – ancorchè parziale – a terzi. Al di là della considerazione che taluni dei canoni normativamente adottati (“modalità di presentazione”) paiono gravati sia da vizio di genericità – se non addirittura di indeterminatezza – e che altri, invece, manifestano un palese errore di prospettiva (il cd. peso lordo complessivo della sostanza costituisce, infatti, unità di misura superflua ed errata; esso avrebbe dovuto venire sostituita dal ben più utile e pertinente peso netto, vale a dire dal principio attivo[5]) si deve, comunque, rilevare la istituzionalizzazione, quanto meno, di una limitata liceità (o di una non illiceità penale, a seconda dei punti di vista) dell’uso personale di stupefacenti. Si deve, infatti, correlare il disposto dell’art. 73 comma 1 bis con quello dell’art. 75 dpr 309/90, in quanto quest’ultima norma è stata concepita come espressione complementare alla prima, nel momento in cui l’uso personale rimane, comunque, un illecito seppure di natura amministrativa.    2) LA COLTIVAZIONE NEL SISTEMA PREVISTO DALLA DECISIONE 2004/757/GAI    Una volta pacificamente acclarata una comunanza di base tra i due livelli normativi, in relazione ad alcune condotte che, escatologicamente, sono connesse con l’uso personale e che quando assolvono a tale rapporto funzionale devono andare esenti da sanzione penale, ci si deve porre il problema della effettiva disapplicazione della decisione 2004/757/GAI, laddove in combinato tra il comma 1 lett. b) ed il comma 2 del citato articolo 2, ammette che anche la coltura di piante dalle quali estrarre sostanza stupefacente, se finalizzata al consumo personale, possa non essere assoggettata a punibilità. Ritiene chi scrive che al di là della teorica applicabilità del precetto normativo a tutte e tre le forme coltivate, l’unica che veramente possa venire pertinentemente a ricadere nello spettro di applicazione dell’esimente sia, logicamente, solo quella che concerne la coltivazione di cannabis. E’, infatti, indubbia la possibilità di ricavare da questo specifico tipo di coltura – pur con l’ausilio di strutture rudimentali, o addirittura in assenza di qualsiasi supporto tecnico – un prodotto facilmente fruibile per il proprio uso personale da parte dello stesso coltivatore. Ciò, a differenza degli oppiacei, che presuppongono, invece, un processo di estrazione, raffinazione e produzione chimica[6], certamente incompatibile con una semplice attività di coltura domestica, pedissequa raccolta del prodotto e suo immediato uso. Dato conto, quindi, di oggettive differenze fattuali, le quali obbligano ad una distinzione, che porta ad escludere, sul piano logico giuridico la riferibilità ed operatività del combinato disposto dal comma 1 lett. b) e dal comma 2 dell’art. 2, alle colture di oppio e coca, riducendo, pertanto, la potenziale condizione di non punibilità, di cui alla decisione 2004/757/GAI, alla sola coltivazione di cannabis, si deve prendere atto della circostanza che tale indicazione è, comunque, rimasta lettera morta nell’ordinamento italiano. Allo stato qualsiasi forma di coltivazione, nel nostro ordinamento costituisce reato. La giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle SS.UU. n. 28606 del 10 luglio 2008, ha, infatti, superato la dicotomia che la giurisprudenza di merito (e parte della stessa Corte di Cassazione) aveva – negli anni - elaborato, pervenendo alla distinzione fra coltivazione domestica e coltivazione agraria. I giudici di legittimità, dunque, pur con una ampia trama motiva, nella citata pronunzia hanno sostenuto una contemporanea pluralità di aspetti, taluni dei quali non sfuggono a serrata critica. a) La condotta di coltivazione di piante, dalle quali si possano ricavare i principi attivi di sostanze stupefacenti, costituisce un reato di pericolo presunto.  b) Deriva da tale premessa che l’illecito in questione è caratterizzato dalla “offensività della fattispecie criminosa astratta”. c) Questa caratterizzazione, peraltro, impone al giudice di “verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva”[7]. d) La coltivazione non sfuggirebbe, pertanto, alla generale disciplina proibizionistica, in quanto costituisce, una delle fonti di produzione delle sostanze, “…indipendentemente dall’accertamento dell’esclusività della destinazione all’uso personale che alle stesse venga data, per l’immanente pericolo, non altrimenti controllabile, di dilatazione e propagazione del degenerativo ed antisociale fenomeno delle tossicomanie”. e) La delimitazione dei confini della liceità giuridica, circoscritta in base al criterio dell’impiego dello stupefacente per il proprio esclusivo bisogno soltanto a quelle determinate forme di condotta che sono menzionate nell’art. 75 dpr 309/1990 (le quali, se connotate dal fine di uso personale della sostanza, restano fuori dal campo di repressione penale) – rivestirebbe, pertanto, carattere tassativo, attesa l’indicazione specifica da parte della norma delle attività potenzialmente esenti. L’azione di chi, invece, coltiva e fabbrica la droga sarebbe rimasta esclusa, per volontà governativa e parlamentare proprio per evitare un fenomeno di potenziale proliferazione del fenomeno delle droghe. f) La tesi della equiparabilità della c.d. “coltivazione domestica” alla detenzione per uso personale, sarebbe, quindi, stata disattesa “…poiché le due condotte sono “antologicamente distinte sul piano della stessa materialità” ed è stato affermato che, stante la natura di reato di pericolo del conciato delitto, la coltivazione, intesa in senso ampio, purché idonea alla produzione di sostanze con effetti stupefacenti, si differenzia nettamente dalle condotte colpite da sanzioni di natura amministrativa, indicate nell’art. 75”. g) Ad avviso della Corte la condotta di coltivazione (punibile lino dal momento di messa a dimora dei semi) “…si caratterizza, rispetto agli altri delitti in materia di stupefacenti, quale fattispecie contraddistinta da una notevole “anticipazione” della tutela penale e dalla valutazione di un “pericolo del pericolo”, cioè del pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti”. h) Altro aspetto saliente consisterebbe nella considerazione che, a differenza della detenzione, la coltivazione difetterebbe di quel rapporto di immediatezza, in punto alla disponibilità dello stupefacente. i) Nell’ipotesi, poi, in cui “il coltivato (o parte di esso) sia stato raccolto, la successiva detenzione del prodotto della coltivazione per finalità di uso personale non comporta la sopravvenuta irrilevanza penale della precedente condotta di coltivazione, con inammissibile “assorbimento” nella fattispecie amministrativa dell’illecito penale, che è autonomo anche sotto il profilo temporale”.   ** ** **   Ciò non di meno, il pur autorevole intervento del Supremo Collegio non ha, affatto, avere sedato i rilievi critici avanzati da quella parte della giurisprudenza (v. da ultimo la recentissima sentenza 1222 della IV Sezione penale) che ha incentrato, anche sul tema della necessità di verificare concretamente nei singoli casi la reale offensività della condotta coltivativa la propria attenzione. Al di là delle considerazioni concernenti il principio dell’offensività, la posizione assunta dalle SSUU non ha, però, mai convinto, in quanto le ragioni addotte, per ribadire la punibilità di forme coltivative di piante destinate alla produzione di stupefacenti, anche in casi di conclamata ed in equivoca destinazione del prodotto ottenuto ad uso personale del coltivatore, si sono rivelate più congetturali e di stile, che effettive. 1) Tralasciamo, innanzitutto, l’osservazione concernente il tenore letterale del testo dell’art. 73 comma 1 bis, che avrebbe stabilito con precisione quali condotte possano essere scriminate e quali no, perché esso, per quanto costituente argomento formalmente ineccepibile, in realtà, contraddice il principio sostanziale che la novella del 2006 introduce inconsapevolmente. E’, infatti, pacifico che non è la singola o specifica condotta, in sé, ad essere esclusa dalla categorie dei comportamenti sanzionabili (recuperando una parvenza di limitata liceità), quanto piuttosto è la comprovata esistenza di una condizione finalistica – l’uso personale - che caratterizza il comportamento sino a rendere quest’ultimo privo del requisito dell’antigiuridicità. La detenzione dello stupefacente, per potere andare esente da condanna, deve, quindi, necessariamente essere assistita dalla speciale causa di giustificazione della destinazione all’uso personale. In buona sostanza, l’indagine sulla condotta deve avere esclusivamente ad oggetto l’identificazione dell’effettivo scopo, del movente, che spinge l’agente al gesto. Ed allora, propria perché – come detto – non è tanto decisiva la condotta nel suo iter, quanto piuttosto lo scopo perseguito (solo, però, se conciliabile con il comportamento), appare del tutto opinabile e non condivisibile la scelta del legislatore del 2006 di ritenere applicabile concretamente la causa esimente solamente a talune condotte e non già ad altre, che, invece, si possono efficacemente coniugare con il consumo personale. 2) Non è affatto esatta l’idea che la coltivazione costituisca necessariamente uno strumento di proliferazione delle sostanze stupefacenti. Tale considerazione può apparire adeguata, quando attenga a forme coltivative che, felicemente, la giurisprudenza (ante sentenza SSUU 2008), aveva qualificata come “agraria”, per la natura delle tecniche usate, per l’estensione e per le modalità fortemente organizzate della stessa. Quando, invece, ci si imbatte in una forma di coltura, artigianale, di un numero limitatissimo di piante, svolta su di un balcone, o, comunque, non su aree  destinate a seminativo, non si possono usare le stesse categorie concettuali che vengono, invece, evocate, in ambito di grandi estensioni coltivative. La differenza fra le due situazioni coltivative descritte è, dunque, evidente e tangibile. Una ipotesi di depenalizzazione – a precise condizioni – delle forma di coltivazione più rudimentale, più circoscritta quantitativamente e, indubbiamente strumentale ad un uso personale del prodotto ricavato, costituirebbe, pertanto, applicazione ragionevole al diritto, di una consuetudine di fatto. 3) Appare, poi, opinabile e fortemente errata la considerazione che un importante elemento distintivo fra la detenzione e la coltivazione consisterebbe nel fatto che la detenzione postula un rapporto di disponibilità della sostanza drogante di carattere più immediato, in capo all’agente, rispetto alla coltivazione. Semmai, l’esperienza ci dimostra che è vero proprio l’esatto contrario di quanto affermato. E’, infatti, pacifico che la disponibilità dell’eventuale prodotto della coltivazione, da parte dell’agente (futuro consumatore), è costante nel tempo e si protrae potenzialmente sin dalla messa a dimora dei semi, proseguendo durante tutta la fase della crescita della pianta, sino alla maturazione eventuale. Ergo, diversamente da un prodotto stupefacente, che proviene aliunde, (siccome acquistato presso terzi), il frutto della coltivazione, ove comprovatamente destinato ad uso personale, non esce mai dalla sfera di vigilanza e disponibilità del destinatario finale. 4) Stupisce non poco, poi, il grave distacco tra la esperienza quotidiana ed il punto di diritto, di cui i Supremi Giudici appaiono fautori, nel momento in cui essi sostengono che la detenzione del prodottodella coltivazione, ove assolvente a finalità di uso personale, non comporterebbe, peraltro, la sopravvenuta irrilevanza penale della precedente condotta di coltivazione, in quanto risulterebbe inammissibile l’assorbimento nella fattispecie amministrativa dell’illecito penale, che sarebbe autonomo anche sotto il profilo temporale. L’affermazione appare coerente con una lettura rigorosamente testuale della norma, ma non può essere condivisa, in quanto decontestualizzata dalla esperienza quotidiana e, quindi, dal diritto vivente. Un simile orientamento appare, infatti, in primo luogo, del tutto contraddittorio rispetto alla conclamata ratio di prevenzione dell’ ”immanente pericolo, non altrimenti controllabile, di dilatazione e propagazione del degenerativo ed antisociale fenomeno delle tossicomanie”, che connoterebbe in radice il T.U.stup. 309/90. Paradossalmente, infatti, alla luce di siffatto indirizzo, si perviene ad una conclusione che desta notevole inquietudine. Il soggetto che, infatti, detenga un quantitativo di stupefacente che egli ha precedentemente, acquistato, per un uso strettamente personale, presso uno spacciatore, può essere ritenuto non punibile (nonostante con il proprio comportamento costui abbia, seppur involontariamente, partecipato al sopra definito fenomeno di “dilatazione e propagazione del degenerativo ed antisociale fenomeno delle tossicomanie” e di finanziamento del relativo mercato illecito); in pari tempo, invece, risulta sanzionabile penalmente la detenzione di stupefacente di una persona che possiede il prodotto che egli stesso abbia coltivato privatamente (operando in una forma che si propone, invece, il dichiarato fine di non alimentare il commercio illecito e di circoscrivere l’azione coltivativa ad un fenomeno privato, privo di valenza diffusiva ab externo). Sorprende, quindi, che la S.C. non abbia percepito questa intrinseca  ed evidente contraddizione rispetto al substrato ideativo ed etico sul quale il dpr 309/90 si fonda.    ** ** **    Le osservazioni sin qui svolte dimostrano, quindi, un forte scollamento ed un’altrettanto marcata distonia dei due piani normativi esaminati. Il diritto italiano è apparso recepire, con la novella del 2006, solo quelle direttive che apparissero funzionali ed armoniche ai propri convincimenti programmatici, ed, invece, ha disatteso tutte quelle di avviso diverso rispetto al proprio orientamento di politica criminale. Si è, così, dato corso ad un’inammissibile applicazione a macchia di leopardo delle linee guida contenute nella decisione 2004/757/GAI. La corretta interpretazione del testo normativo europeo deve essere, quindi, impostata nel senso che è ferma e chiara intenzione del legislatore europeo, quella di 1.                      porre come elemento centrale e discriminatorio, per la non punibilità di una azione concernente gli stupefacenti, il fine di consumo personale della sostanza, 2.                      porre le singole condotte in un rapporto di indiscussa subordinazione rispetto al ricordato scopo ultimo, onde inferire, nel caso concreto, da tale equazione la eventuale scriminabilità di ciascuna di esse, 3.                      circoscrivere, negli specifici casi concreti, l’indagine condotta-fine solo a quelle azioni che appaiono logicamente e razionalmente connettibili con l’uso personale. Alla luce di questi principi, deriva che solo la detenzione, l’acquisto, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l'importazione o l'esportazione di stupefacenti [di cui alla lett. a)]e la coltura della pianta della cannabis [di cui alle lett. b)], possono plausibilmente essere “tenute dai loro autori…ai fini del loro consumo personale…”. Di fatto e concretamente, la norma europea opera quell’equiparazione fra coltivazione e detenzione, che, invece, l’ordinamento italiano ha ricusato con la novella del 2006. L’art. 73 dpr 309/90, norma principale del sistema di governo della disciplina penale delle sostanze stupefacenti, escludendo la coltivazione di piante, dal contesto dell’operatività della causa scriminante della destinazione ad un uso esclusivamente personale, contenuta dal comma 1 bis, contraddice, infatti, la norma europea di indirizzo generale e la sua riserva di legge. Il mancato inserimento della coltivazione di piante idonee a produrre derivati della cannabis fra quelle condotte - tassativamente indicate - che possano venire private del loro originario contenuto di offensività, in ossequio all’indicazione normativa europea appare anche atto lesivo il dettato costituzionale agli artt. 3, 24, 25 e 117 Cost. . Leggi anche: Stupefacenti. Sulla possibile incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi sulla equiparazione fra droghe leggere e pesanti [1] Le condotte descritte alle lett. a) sono “la produzione, la fabbricazione, l'estrazione, la preparazione, l'offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione, la mediazione, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l'importazione o l'esportazione di stupefacenti”. Le condotte descritte alla lett. b) sono “la coltura del papavero da oppio, della pianta di coca o della pianta della cannabis”. [2] Quali ad esempio la produzione, la commercializzazione, la spedizione e, comunque tutte quellepreviste alla citata lett. a) [3] La connessione alla destinazione ad uso personale della spedizione, così come della spedizione in transito, trova la giustificazione nel fatto che tale condotta può essere posta in essere dall’agente a favore di sé stesso. Il trasporto, l'importazione o l'esportazione non devono, invece, necessariamente venire associati a fenomeni su larga scala, ben potendo – come d’altronde sostenuto dall’art. 73 comma 1 bis del dpr 309/90 - apparire propedeutici all’uso esclusivamente personale. [4]Art. 117 comma 1 Cost. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. [5] In proposito è di ausilio e sostegno la decisione di SS.UU. 24 maggio 2012, la quale, pur se in tema di ingente quantità, ha adottato come parametro ponderale il principio attivo, elevandolo a criterio di valore assoluto, con tutte le conseguenze del caso. [6] L'eroina, derivata per acetilazione della morfina per rendere la molecola più lipofila, fu sintetizzata la prima volta nel 1874 dal ricercatore britannico C.R. Wright [7] Cfr. www.osservatoriodroga.it/per-la-cassazione-non-e-reato-coltivare-cannabis-acerba/     Carlo Alberto Zaina 26-12-2012 11:22 Le cooperative di cannabis senza scopo di lucro che in Francia aspirano alla legalita' L'autocoltivazione di cannabis cresce e si moltiplica. Questa la tendenza rilevata da l'Observatoire français des drogues et des toxicomanies (OFDT) che registra 200.000 coltivatori privati di marijuana in Francia. Un coltura domestica generalmente praticata in modo appartato e sotto i neon di un appartamento. Ma non solo. Dal 2009, alcuni si riuniscono nei “cannabis social club”. Cooperative che si rifanno ai modelli spagnoli, nell'ambito delle quali gli aderenti presentano i propri prodotti e condividono le loro piante. L'iniziativa e' illegale, per cui molti di questi coltivatori di una tipologia nuova intendono denunciarsi alla prefettura come produttori di cannabis, nel febbraio 2013 (la data non e' ancora confermata perche' tutti i club devono ancora mettersi d'accordo). Una iniziativa audace visto che la Francia ha una delle legislazioni piu' severe in Europa. “E' un vero e proprio atto di disobbedienza civile. Non ci aspettiamo che ci venga data un'autorizzazione. Vogliamo imporre la nostra attivita'”, dice Domique Broc, giardiniere e punto di riferimento del progetto. Un modo preciso di operare Abitante a Tours, l'uomo coltiva le sue piante con altri quindici membri. Tra essi ci sono medici, avvocati, ma anche dei pazienti, che lo hanno raggiunto per fare un uso terapeutico della cannabis. Thierry Pierog, imprenditore, si e' unito al club di Tours da un anno, si' da poter fumare “la sera e il fine settimana”, militando a favore della depenalizzazione. La vicenda e' diversa per la sua donna, Isabelle. Malata di sclerosi a placche, essa ha aderito al club per un uso strettamente medico: “Le diagnosi sono state disastrose negli ultimi tre anni -spiega suo marito-- Abbiano provato diversi trattamenti, ma pochi sono stati realmente soddisfacenti. La cannabis e' molto efficace. Anche il nostro medico di base ci ha incoraggiato in questa scelta”. Queste colture collettive rilevano un modo preciso di operare. Non grandi garage, ne' grandi serre, i membri del club fanno crescere l'erba in strutture private e piccole. “Due-tre metri quadri sono sufficienti per l'autocoltura” -spiega Dominique Broc, che valuta le necessita' del proprio club di Tours sui 23 Kg all'anno. “Qui il grammo di cannabis vale 24 centesimi, Molto lontano dai 15 euro che vengono richiesti sul mercato mero”. Thierry Pierog assicura che questi club sono “senza scopo di lucro”. E spiega: “Ci dividiamo i costi di produzione, come l'elettricita', l'acqua, il terreno... Tutto cio' di cui abbiamo bisogno e' indicato su un manuale di coltivazione. Non si paga un centesimo di piu'. E non facciamo del traffico”. E per evitare questi pericoli che Dominique Broc fa si' che ci siano solo piccoli gruppi di persone, tra i quali “tutti si conoscono bene”. Gruppi di amici, insomma. “'ideale e' avere dei club di 5-6 persone, massimo 20”. I soci coltivano -spesso all'interno- delle piante che rispettino “una carta etica”. Alcuni prodotti sono vietati, come i fertilizzanti organici “si' da privilegiare il naturale e i sapori dell'erba”, spiega il giardiniere. Prodotti sempre piu' popolari, come dice Michel Gandilhon, incaricato dello studio presso l'OFDT: “I consumatori intendono fumare prodotti di buona qualita' come quelli bio, al contrario della resina di cannabis, la cui qualita' e' scadente”. Sono circa 2.500 consumatori di canapa, raggruppati in circa 150 cannabis social club in tutta la Francia. Un fenomeno relativamente recente. Questo colture collettive sono comparse nel 2009, dopo che gia' da alcuni anni circolavano in Spagna e Belgio. La differenza? In questi Paesi, la produzione e il consumo di cannabis per uso personale non sono un reato. In Francia la legislazione e' nettamente piu' coercitiva. L'articolo 222-35 del codice penale dispone che produzione o fabbricazione illecite siano punite con 20 anni di carcere e 750.000 euro di multa. Peggio quando i fatti siano commessi in un gruppo organizzato. La pena va a trenta anni di prigione e 7,5 milioni di multa. In quanto al semplice consumo, esso e' punito con un anno di prigione e 3.750 euro di multa. Molto decisi a rilanciare il dibattito sulla depenalizzazione, questi militanti non esitano a mettere il piede davanti alla porta: “La sinistra non osa coinvolgersi in merito”, dice Dominique Broc. Essa avrebbe potuto ufficializzare la propria attivita' quando Nicolas Sarkozy era ancora al potere: “E' strano, non e' vero? Pertanto io ho sempre pensato che sarebbe stata la destra che avrebbe potuto depenalizzare la cannabis”. “Se noi siamo dei criminali, che ci si giudichi come tali” In quanto alla legge, Dominique Broc, assicura che non gli fa paura. Egli ha gia' conosciuto la galera dopo essere stato condannato nel 1990 a 18 mesi di prigione per possesso di marijuana. Egli rifiuta ogni clemenza: “Se noi siamo dei criminali, che ci si giudichi come tali, cioe' per produzione di cannabis in gruppo organizzato”. La posizione dei coltivatori e' chiara: se uno di loro viene incriminato, essi andranno tutti a presentarsi in questura per essere perseguiti. “E ci si rendera' conto che la legge e' inapplicabile, in virtu' del numero alto di aderenti. Si andra' a ingolfare la giustizia. La legge non e' buona, occorre combatterla”, spiega Dominique Broc. Ma l'obiettivo primario di questi antiproibizionisti e' ben oltre. Essi intendono lottare -attraverso il loro movimento- contro il mercato nero del traffico. “Bisogna normare e regolamentare il consumo di cannabis. La proibizione ha un effetto perverso e contribuisce all'economia sommersa”, spiega Dominique Broc. E fustiga anche le “fabbriche di cannabis”, mantenute da alcune reti mafiose -lo scorso 3 dicembre ne e' stata smantellata una nell'est della Francia che impiegava dei clandestini vietnamiti. “Quante di queste iniziative mafiose non sono state ancora scoperte? Noi non abbiamo paura della galera, ma abbiamo paura di trafficanti e spacciatori. Ci sono sempre piu' dei furti di cannabis”. Questa escalation tra produttori e' confermata da Michel Gandilhon dell'OFDT: “Dopo la comparsa delle autocoltivazioni, c'e' una concorrenza sempre piu' rude e feroce. Si rischia di avere tensioni e problemi per dei regolamenti di conti”. In attesa della loro dichiarazione alla Prefettura, questi 2.500 coltivatori di cannabis si raggruppano in seno alla loro associazione: Les Amis du cannabis social club. Creata in agosto, e' la vetrina legale del loro movimento. Un primo successo per questi gruppi di amici che sperano in un “atto politico” che porti alla legalizzazione della loro attivita'. (articolo di Camille Legrand, edito sul quotidiano Le Monde del 26/12/2012)     Redazione 25-12-2012 18:47 Gli spacciatori dei quartieri a nord di Marsiglia che 'vivono ancora presso la propria madre'  “Perche' gli spacciatori vivono presso le loro mamme?”. E' a questa domanda che tenta di rispondere un documentario diffuso su “Les Pieds sur terre”, su “France e culture”, riportando le discussioni dei giovani dei quartieri a nord della citta' di Marsiglia. La risposta: “perche' non hanno abbastanza soldi per pagarsi un appartamento”. Cosi' semplicemente. Perche' per i piccoli spacciatori de “La Castellane” o gli altri quartieri vicini, il commercio di cannabis non e' cosi' lucrativo, e cio' che guadagnano viene presto dilapidato. “Essi sono causa di danni”, dice la giornalista, che chiede: “Cosa fate la'?”. “Niente, siamo la', non facciamo niente. Si cerca di lavorare nel quartiere. Si osserva, si vende, si fa tutto. E se si puo' rubare, si fa anche quello. Tutto cio' che ci puo' portare del denaro”. Alcuni si ricordano i loro primi passi. “Io tremavo. Come se fosse il giorno del ritorno a scuola dopo le vacanze”, racconta uno. Ma ecco che: “volevo andare al cinema, e non avevo soldi”. “Ho cominciato perche' ho visto intorno a me della brava gente che ne era gia' coinvolta. E perche' loro avevano gia' questo?... Io ho seguito il loro cammino”, spiega un altro. Che puo' finalmente acquistare dei vestiti griffati. I giovani, tra 18 e 20 anni, descrivono un commercio ben rodato, organizzato, gerarchizzato. C'e' la sentinella, che guadagna tra 40 e 80 euro al giorno, il battitore, il venditore, che guadagna da 80 a 200 euro, il tagliatore e il magazziniere, da 100 a 200 euro, e poi “l'infermiera”, il gestore del territorio, e il padrone, che guadagnano rispettivamente 1.500, 6.000 e 10.000 euro al massimo in un mese. Si impara sul posto di lavoro, e si puo' rapidamente crescere di grado. Si vende solo hashish ed erba. “Chi si e' dato da fare con la cocaina, sono tutti in prigione o sono morti”. Spiega uno dei due. Alcuni hanno perso degli amici. “Nel traffico degli stupefacenti non c'e' giustizia”. E raccontano anche i racket della polizia locale, i furti, i genitori che fanno ancora fatica. “Mia madre lavora come tutte le madri del quartiere, lei fa le pulizie. Avete mai visto una madre di questi quartieri in un ufficio?”, il quotidiano, gli spinelli. “Si fuma molto”. “In strada i francesi si nascondono per fumare, per rollarsi la propria canna. Il ragazzo di questi quartieri usa i propri spinelli come fosse una cosa normale, e' come se fossero legali, come se tu mettessi fuori di tasca il tuo pacchetto di caramelle. L'unico luogo in cui tu ti devi nascondere e' la famiglia, le perone anziane. Questi per noi rappresentano la polizia!”. Ma, lungi dal soddisfarsi di un lavoro “facile” ma rischioso e poco stimolante, essi fanno i piu' grandi sogni. “Come la nostra vita cambierebbe se avessimo un lavoro, che fosse buono, stabile, con dei buoni guadagni. La mia ragazza,, un buon piccolo lavoro, la mia piccola automobile. E' questa la vita da sogno per me”. (articolo edito sul quotidiano Le Monde del 25/12/2012)     Redazione ------------------------------------------- NOTIZIE 07-01-2013 13:32 MESSICO/Narcoguerra. 9 morti in scontro tra narcos in Coahulla   Doppio attacco ieri sera a Torreon in due bar della città. A distanza di pochi minuti, due diversi gruppi armati hanno fatti irruzione nei due locali causando sette vittime nella prima sparatoria e altre due nella seconda. Secondo alcuni testimoni, le gang avrebbero aperto il fuoco in maniera casuale. La notizia si è diffusa rapidamente nelle zone circostanti, causando la chiusura immediata di molti esercizi. Secondo la polizia, i fatti sarebbero da attribuire alle lotte per il controllo del traffico di droga nel Stato di Coahulla. 07-01-2013 13:29 ITALIA/Denuncia figlio e porta droga in commissariato a Roma 'Ho trovato questo in camera di mio figlio', e ha mostrato ai poliziotti un involucro con dentro della marijuana. Questa la denuncia di una mamma romana, residente in di via della Farnesina, che ha portato ieri pomeriggio gli agenti del Commissariato di Ponte Milvio all'arresto di due pusher e alla denuncia del proprio figlio. La donna, dopo aver raccontato la situazione che stava vivendo in casa con suo figlio 17enne - il quale da un anno 'ospitava' nella sua camera due persone - ha accompagnato gli investigatori nella propria abitazione. Qui i poliziotti hanno identificato, oltre al figlio, altri due ragazzi; ispezionando l'appartamento gli agenti hanno notato numeroso materiale utilizzato per il confezionamento di sostanza stupefacente, oltre a un bilancino di precisione sopra un tavolino. All'interno della camera da letto sono stati trovati circa 100 grammi di marijuana; la droga era in parte gia' confezionata in mono-dosi e altra contenuta in una busta di plastica. Gli agenti hanno trovato e sequestrato anche tre pistole, repliche prive di tappo rosso, e alcuni coltelli con lame di varie misure, oltre a un martello frangi-vetro. Per il figlio della donna - minorenne - e' scattata la denuncia per detenzione ai fini di spaccio, mentre i due suoi amici - un 28enne albanese, e un 18enne colombiano - sono stati arrestati. I due stranieri erano peraltro gia' noti alle Forze di polizia per reati sempre inerenti lo spaccio di droga. 04-01-2013 10:53 USA/Cannabis legalizzata. La laurea in marijuana   Laureato in marijuana: in America oggi si puo'. Dopo il successo dei referendum in Colorado e nello stato di Washington sull'uso a scopo ricreativo, cominciano a nascere vere e proprie scuole che insegnano ad aspiranti consumatori di 'erba' la difficile arte della coltivazione della cannabis. In California, dove la marijuana e legale ma solo a fini medici, la Humboldt State University e' stata tra i primi a fiutare la novita', inaugurando al suo interno un vero e proprio istituto interdisciplinare sulle ricerche sulla mariujana. L'istituzione coinvolgera' 11 professori incaricati di integrare economia, sociologia e politica della cannabis nei piani di studi degli studenti. Tra i temi delle lezioni, gli effetti della marijuana sulla flora e la fauna locale, i fertilizzanti, le proprieta' chimiche e medicinali dell' 'erba'. La Humboldt, che ha sede a Arcata, si trova in una regione ricca di piantagioni di cannabis. Ben diverso - e piu' terra terra - e' il progetto di Matt Jones, un giovane coltivatore del Colorado. Matt si e' reso conto che il sí al referendum ha autorizzato gli abitanti dello stato a far crescere un massimo di sei piantine a testa in casa. Ma che succede se non uno non ha il pollice verde? Ecco la ragion d'essere della THC University (dove THC, sigla della sostanza psicotropa attiva del cannabis, sta per The Herbal Collective), prima scuola professionale in Colorado per coltivatori di 'erba'. Le classi prenderanno il via il 9 febbraio presso l'Auraria Campus di Denver: 'Un sacco di gente pensa che basta prendere i semi e piantarli, ma non e' cosiu'', ha spiegato Jones alla rete locale 9News: 'Innanzitutto devi scegliere le varieta', e ce n'e' abbondanza sul mercato. Decidere se le vuoi mettere in terra o seguire una coltura idroponica. Se vuoi ottenere un prodotto organico. Le lezioni servono a questo'. La THC University offre vari tipi di corso: per diventare "Associato" basta una sola giornata mentre il 'Baccalaureato' offre oltre al corso un diploma a stampa e sostegno 24 ore si 24 sette giorni su sette dopo la 'laurea'. C'e' poi anche un 'pacchetto Masters' che oltre alle classi garantisce un kit per cominciare la piantagione. Una formula che evita quelle che, secondo Jones, sono inutili perdite di tempo: 'La realta' e' che servirebbe solo lo spazio di un piccolo armadio e materiali che trovi da un normale ferramenta. Ma la gente che non se ne intende rischia di bruciare le piante, sbagliare il ph o non dare abbastanza concime. Una volta imparato tutto bastano pochi minuti al giorno per avere una coltivazione perfetta'. (di Alessandra Baldini, agenzia Ansa di New York) 04-01-2013 10:48 USA/Droga genitori per poter navigare in web Un'adolescente californiana di 15 anni è stata arrestata per aver drogato i genitori, mettendo un sedativo in due frullati, per poter navigare su Internet oltre il limite vietatole delle 22 di sera. Come riporta il quotidiano americano New York Daily, il nome della ragazza non è stato rivelato in quanto minorenne. Insieme a lei, fermata l'amica 16enne che avrebbe fornito i sedativi. Secondo la testimonianza fornita dai genitori alla polizia, lo scorso 28 dicembre la figlia era tornata a casa con due frullati, uno al cioccolato per il padre e uno alla vaniglia per la madre. Il gesto era stato interpretato come un'inusuale gentilezza ma, dopo qualche sorso, i due erano caduti in un sonno profondo, svegliandosi poi in piena notte con i sintomi di una sbornia. Dopo alcuni giorni, i genitori accusavano ancora una sensazione di stordimento, quindi avevano deciso di acquistare un kit per testare la presenza di stupefacenti, solitamente utilizzato per i teenager. Il risultato del test aveva immediatamente segnalato i residui delle droghe somministrate dalla figlia, che ora dovrà comparire in un tribunale minorile affrontando le accuse di complotto e di aver deliberatamente drogato i genitori. 03-01-2013 18:16 GRAN BRETAGNA/Droga e calciatori. Indagine rivista Uso di droghe, combine e razzismo: il calcio non si fa mancare niente. E' quanto emerge da un'inchiesta condotta dal magazine "FourFourTwo" che ha intervistato, in condizione di anonimato, 100 giocatori professionisti che militano nelle prime quattro divisioni inglesi (Premier League, Championship, League One e League Two) e nel massimo campionato scozzese. La meta' degli intervistati ha dichiarato che i calciatori consumano droghe ricreative, in particolare la cocaina che viene 'smaltita' dal corpo in modo abbastanza veloce. Ma nel calcio britannico c'e' anche il doping (il 13% dei giocatori intervistati crede che se ne faccia uso) mentre e' sempre attuale, almeno per il 14% degli interpellati, il problema delle scommesse e delle combine. "Ci sono giocatori che mi chiamano e mi dicono di scommettere sul risultato di una partita, specialmente a fine stagione", la testimonianza di un difensore di League Two. Il 26% dei giocatori, inoltre, sostiene di aver visto personalmente dei colleghi tenere un atteggiamento razzista. "C'era un difensore che mi ha insultato per tutta la partita e so di altri compagni di colore che hanno sofferto la stessa cosa", confessa un attaccante di Championship. Per il 43% dei giocatori, inoltre, ci sono troppi stranieri nel calcio inglese mentre il 62% ritiene che un giocatore gay non verrebbe messo ai margini e sarebbe trattato come tutti gli altri. 28-12-2012 11:01 USA/Whitney Houston sarebbe stata uccisa da narcos creditori Ad uccidere Whitney Houston il 12 febbraio scorso non sarebbe stato un attacco di cuore causato dalle sostanze che aveva assunto, tra le quali la cocaina, ma bensi' due sicari ingaggiati da potenti narcotrafficanti con cui la celebre cantante aveva un grosso debito. Ad affermarlo e' un detective privato di Hollywood, Paul Huebel, che sostiene di averne le prove. Huebel dice di essere arrivato a tale conclusione dopo aver ascoltato diversi informatori, aver visionato i video della sorveglianza dell'albergo di Beverly Hills dove Whitney Houston e' morta e dopo un'esame attento del referto del coroner sul suo cadavere. 'Ho le prove che mostrano che Whitney e' stata vittima di potenti trafficanti di droga che hanno inviato dei sicari ad incassare il debito che lei aveva per l'acquisto di stupefacenti', oltre un milione e mezzo di dollari, ha affermato Huebel citato dal National Enquirer. Le telecamere della sorveglianza dell'hotel, afferma il detective, avrebbero registrato le immagini di uno o tutti e due i killer che entravano nella stanza della cantante il giorno della sua morte, quando lei vi rimase sola per circa tre quarti d'ora. Inoltre, nel rapporto del medico legale si puo' vedere che sul cadavere ci sono i segni di lotta, ha affermato ancora il detective, aggiungendo di aver consegnato le 'prove' all'Fbi auspicando che il caso venga riaperto. Whitney Houston, 48 anni, quel giorno si trovava insieme a parenti e amici in un albergo di Beverly Hills per prendere parte ad una serata organizzata in occasione dei Grammy Awards, a Los Angeles. Il referto del medico legale - che parla di 'incidente' - ha confermato le voci che gia' si erano diffuse al momento della morte della cantante, che parlavano di un malore dovuto all'uso di sostanze stupefacenti mescolate con farmaci. Nel corpo della popstar, oltre alla cocaina, sono state trovate tracce di marijuana e di medicinali come il rilassante Flexeril e l'antiallergico Benadryl. 28-12-2012 10:56 COLOMBIA/Uccisa vedova di narcoboss Omicidio eccellente in Colombia. Lorena Henao Montoya, moglie di uno dei fondatori di uno dei piu' importanti cartelli del paese, e' stata uccisa da un gruppo di uomini armati in un agguato a Quindio, 170 km da Bogota'. La Montoya, 43 anni, era vedova di un importante narco morto nel 2002, Ivan Urdinola, che era stato tra i fondatori del cartello del 'Norte del Valle'. Era d'altra parte sorella di Orlando Henao, tra i piu' importanti boss della droga del paese negli anni '90. Aveva due fratelli, Arcangel e Fernando, in carcere negli Usa, dove sono stati accusati di narcotraffico. La donna e' stata uccisa con diversi colpi d'arma da fuoco mentre si trovava in una vettura insieme ad un uomo, anche lui rimasto ucciso, e una minore, che si e' invece salvata. ------------------------------------------- NON DARE PER SCONTATA LA NOSTRA ESISTENZA! Senza il sostegno economico di persone come te non saremmo in grado di informarti. 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