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Stupefacenti, osservazioni sulla proposta di legge dell'on. Pippo Civati
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Articolo di Carlo Alberto Zaina
3 febbraio 2014 8:45
 
Desidero svolgere alcune osservazioni relativamente alla proposta di legge che vede primo firmatario l’on. Pippo Civati.
Pur non sfuggendo neppure tale proposta ad una fondamentale critica di metodo – e cioè che la materia degli stupefacenti deve essere regolamentata in modo globale e non con interventi contingenti e limitati solo ad alcuni aspetti - reputo che vi siano alcuni interessanti spunti, che meritano apprezzamento, anche se altri suscitano elevate perplessità.
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In primo luogo si rileva la cd. legalizzazione della distribuzione (meglio sarebbe dire delle modalità di circolazione) delle droghe leggere, prevista all’art. 1.
A) E’ molto interessante ed importante che la norma si indirizzi al governo di tutto quel ciclo che va dalla produzione naturale alla commercializzazione ufficiale di prodotti della coltivazione di piante di cannabis.
Si viene, così a prevedere un doppio binario normativo.
Esso prevede, a fianco della depenalizzazione della coltivazione domestica ad uso personale – cui fa riferimento il successivo art. 6 –, la legalizzazione della diffusione, con modalità di commercio lecito e controllato, dei prodotti che a tale scopo vengano prodotti tramite una coltivazione imprenditoriale.
L’autorizzazione per i privati pare costituire un naturale accorgimento, per garantire una deroga a principi di carattere monopolistico, aprendo, così il mercato della coltivazione e commercializzazione a tutti i privati.
B) Va, altresì, condivisa – a mio parere – la previsione che tutti i passaggi della sequenza commerciale, che porta all’acquirente finale (descritti al comma 1 dell’art. 1), siano sottoposti ad una forma di autorizzazione amministrativa, atteso lo scopo imprenditoriale (e di lucro) di tali attività.
C) Non altrettanto chiara, però, è l’indicazione delle condotte che si assumono come legalizzate, attraverso il rilascio dell’autorizzazione all’attività imprenditoriale-commerciale.
Se, infatti, non suscitano problemi interpretativi locuzione del tipo “…la coltivazione ai fini di commercio…” e ”.. la vendita di cannabis indica o di prodotti da essa derivati…”, non mi pare, invece, sufficientemente e minimamente preciso il riferimento sia all’acquisto che alla produzione.
In relazione all’acquisto, infatti, si deve certamente escludere – sul piano logico - che ci si riferisca all’utente finale, che non necessita certa di autorizzazioni di sorta.
Non si comprende, però, se con il termine acquisto si identifichi la sola assunzione – da parte del commerciante - del prodotto ceduto dal coltivatore, o quale altro  passaggio.
E’ necessario, poi, comprendere esattamente il significato del termine produzione.
Esso, infatti, a propria volta, nella fattispecie, potrebbe costituire un’inutile duplicazione del più specifico termine “coltivazione”, a meno che, non si intenda, con tale accezione, però, estendere la legalizzazione anche riguardo a prodotti derivati da elaborazioni chimiche di cannabinoidi (situazione che susciterebbe certamente perplessità perché assolutamente differente dalla coltivazione).
Certo è che un’eventuale decisione di rendere ammissibile la diffusione di prodotti derivati per sintesi chimica, ad esempio i sedicenti profumatori, (molti che rientrano nel concetto di precursori, categoria disciplinata dall’art. 70 dpr 309/90 modificato dal d.l.vo n. 50 del 24 marzo 2011) costituirebbe scelta che dovrebbe essere maggiormente ponderata proprio per evitare contrati fra la norma prospettata e quella vigente ed attesa la differenza sostanziale di tali prodotti rispetto ai frutti della coltivazione.
Ad ogni buono conto appare assolutamente necessaria una spiegazione sul piano terminologico per evitare confusione.
D) La stessa circoscrizione delle previsioni normative alla sola cannabis indica pare incomprensibile.
Al di là delle  varie terminologie che si sono susseguite nel tempo (ad esempio nel 1924 il botanico sovietico Janichewsky classificò tre diverse specie: la Cannabis sativa che era rappresentata da una specie alta, poco ramificata e con portamento spiccatamente piramidale; la Cannabis indica con un portamento più contenuto e cespugliosa e la Cannabis ruderalis molto contenuta di volume non più alta infatti di 50 cm e senza rami. Nel 1976 i canadesi Small e Cronquist hanno ripreso l'originale classificazione di Linneo individuando una sola specie, la Cannabis sativa L. divisa però in due sottospecie: la Cannabis  sativa  e la Cannabis indica che si differenziano tra loro per la qualità e la quantità di cannabinoidi (soprattutto THC) presenti che vengono prodotti dalle ghiandole dei peli sotto forma di latice che costituisce quindi un carattere tassonomico)1, si deve accogliere la differenziazione sostanziale in due categorie INDICA e SATIVA, laddove addirittura non si intenda aderire all’orientamento espresso nel 2002 da Clarke e Watson, i quali individuano una sola specie, la C. sativa con diverse varietà, in particolare quelle usate per la produzione di hashish e marijuana, che andrebbero raggruppate nella specie C.  indica.
Dunque si deve parlare solamente di cannabis.
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Il secondo comma dell’art. 1, pur se concepito a fini di naturale coerenza rispetto alle novità introdotte con il primo, si risolve in un meccanismo esclusivamente burocratico, di pesante attuazione e, dunque, per nulla agevole.
A) Troppi organismi, tra loro eterogenei e differenti, sono chiamati a dare il loro parere in relazione a quei presupposti per l’attivazione delle autorizzazioni e l’organizzazione della distribuzione commerciale dei prodotti ricavati dalla coltivazione della cannabis, che devono essere pochi e chiari.
Il timore di protagonismi e conflitti fra enti, situazioni che possano ritardare e compromettere l’effettiva attuazione del progetto, è, quindi, tutt’altro che remoto.
Tra l’altro i due Ministeri maggiormente interessati al problema (quello della Giustizia e quello della Salute) paradossalmente non vengono contemplati nel lungo elenco!
Sarebbe, invece, sufficiente che fossero proprio questi due ultimi Ministeri ad essere ritenuti competenti per l’emissione di un DM congiunto per l’indicazione dei criteri e delle modalità  operative per lo svolgimento dell’attività commerciale in questione.
B) Poco chiara, inoltre, appare l’indicazione per la quale “..il quantitativo massimo acquistabile in un’unica soluzione da un singolo soggetto è di cinque grammi..”.
In primo luogo, va chiarito cosa si intenda per quantitativo, vale a dire che si deve chiedere se ci riferisca a quello lordo od al principio attivo, [anche se, forse la soluzione del problema potrebbe (il condizionale è d’obbligo per la non felicità della dizione usata) essere desunto dal testo del comma 3°].
In secondo luogo, questa previsione non tiene conto del problema dell’acquisto (od uso) di gruppo.
Anche in questa ipotesi vale il limite, che si riferisce ad un singolo individuo (il quale però potrebbe acquistare anche su mandato di altri)?
Urgono anche qui convincenti chiarimenti e coordinamento con giurisprudenza e norma vigenti.
C) Il comma 3° ed il comma 4° non presentano particolari problemi interpretativi.
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L’art. 2 punisce – al primo comma - la vendita a minori prevedendo sanzioni  penali, mentre al secondo comma viene prevista la sanzione accessoria della revoca delle autorizzazioni.
In relazione a quest’ultima, non è dato comprendere se l’inflizione di tale sanzione debba avvenire da parte del giudice, con l’eventuale sentenza di condanna, oppure debba avvenire da parte di un organo amministrativo (ma non è individuato nessun organo di controllo al rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione) solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.
Non è, inoltre, individuata esattamente la natura della sanzione prevista e questo costituisce elemento decisivo.
Una sanzione amministrativa, a differenza della pena accessoria, infatti, impedisce che questa sia oggetto, in caso di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.) di accordo fra le parti ed esula dal disposto di cui all'art. 445, 1° comma, c. p. p., il quale stabilisce l'inapplicabilità di pene accessorie e di misure di sicurezza con la sentenza che dispone l'applicazione della pena su richiesta.
Ergo, anche questo specifico aspetto va perfezionato.
Ad avviso del sottoscritto, si deve riconoscere espressamente la natura di sanzione amministrativa a quanto previsto dal comma 2°, conferendo potere al giudice di dare tale ordine in sentenza, anche ni caso di patteggiamento.
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L’art. 3, a propria volta, punisce coloro che, senza l’autorizzazione prevista dall’art. 1, coltivino, acquistino , producano, vendano e cedano (cannabis indica o prodotti di essa)2.
Non vengono specificate le condotte che possano risultare illecitamente derogatorie ai principi dettati dall’art. 1, ma l’assenza di previsione tassative esemplificative non pare elemento di ostacolo ad una corretta applicazione della norma.
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L’art. 4 appare una superflua inutile riproduzione dell’odierno art. 84, rispetto al quale si sovrappone, posto che detta norma3 si rivolge alle sostanze previste nelle tabelle di cui all’art .14 e la cannabis è indicata al comma 1 lett. a) n. 6, che concerne la tab. 1.
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L’art. 6 appare la norma criticabile per una pluralità di profili.
Seppur sia vero che il comma 1 lett. a) prevede una differenziazione di pena tra droghe leggere e droghe pesanti, operando un riferimento proprio all’art. 14 comma 1 lett. a) n. 6 che attiene alla tabella 1, è altrettanto vero, che manca il ritorno a quella concreta auspicabile distinzione fra le due grandi tipologie di stupefacenti, che esisteva inequivocabilmente, prima della l. 49/2006.
La distinzione non può prescindere, quindi, dal ripristino delle tabelle separate.
Dunque, si tratta di una  specificazione adottata con una modalità discutibile, mentre la norma avrebbe dovuta essere concepita in modo differente, in virtù di una modifica a monte e cioè coinvolgente l’art. 14.
La lett. b) prevede sia la depenalizzazione della coltivazione ad uso personale che della cessione di piccoli quantitativi destinati al consumo immediato, salvo che il destinatario sia un minore.
Trovo ovviamente condivisibile il principio della depenalizzazione della coltivazione.
Credo, però, che la norma sia stata concepita in modo in accettabilmente generico e che, il pur interessante progetto Civati, perda un’occasione irripetibile per cercare di conferire un significato tangibile e certo alla locuzione coltivazione ad uso personale.
Un progetto di legge orientato in tal senso non può, poi, scaricare, indebitamente e successivamente, sulla giurisprudenza l’onere di conferire un univoco significato, sopperendo alle manchevolezze del legislatore.
Quindi, il testo in esame rimane una mera petizione di principio, in quanto mancano riferimenti concreti, solo per fare alcuni eclatanti esempi, al numero massimo di piante coltivabili, alle modalità e luoghi di coltivazioni, a condizioni personali del coltivatore, che possano essere ritenuti compatibili con il consumo personale.
Credo, quindi, che questo passaggio vada ripensato approfonditamente per essere completato.
Sulla cessione di piccoli quantitativi destinati al consumo immediato, salvo che il destinatario sia un minore, ho più volte espresso il mio assoluto parere contrario – che ribadisco in questa sede -  attirandomi scomposti strali da parte di persone, che mostrano di non volere capire il succo del problema.
Sarò ancora più chiaro.
Esistono due profili che mi fanno sospettare di incostituzionalità una norma del genere.
1) Da un lato osservo che la depenalizzazione di questa forma di spaccio contrasta con la decisione 757/GAI/2004 art. 2 comma 1 lett. a), che vieta qualsiasi forma di cessione 4.
Tale contrasto determinerebbe la violazione dell’art. 117 Cost. che impone il recepimento delle decisione della UE, quale fonte del diritto internazionale, cui il diritto interno deve conformarsi.
2) Dall’altro  lato, rilevo che la previsione in oggetto potrebbe violare anche l’art. 3 della Cost. .
Comportamenti materiali del tutto identici tra loro, verrebbero, invece, valutati dal legislatore differentemente, in modo illogico ed in maniera irrazionale.
A ben guardare, infatti, in entrambe le ipotesi la condotta incriminata (spaccio) è la stessa, in quanto l’unico elemento di differenziazione è, invece, la sostanza oggetto di  cessione.  Ci si deve, quindi, domandare quale differenza concreta, di natura materiale si possa, dunque, percepire tra due condotte (quelle di cedere piccoli quantitativi per uso immediato) del tutto analoghe tra loro, pervenendo alla proposta di giustificare solamente una delle due.
Nessuna.
Ed allora, vi è da chiedersi ulteriormente (e provocatoriamente), sulla base delle considerazioni che precedono, perché non vi debba essere la previsione di un’estensione della depenalizzazione alle condotte del tipo di quella descritta alle lett. b)  concernenti tutte le sostanze vietate, nessuna esclusa ?
Depenalizzare lo spaccio di una sostanza (cannabis), mantenendo, al contempo, la rilevanza penale del medesimo spaccio per altre sostanze (cocaina od eroina), non è operazione normativa che si possa basare esclusivamente sulla pur evidente differente livello di pericolosità delle stesse.
Non dimentichiamo, infatti, che la giustificazione della rilevanza penale di talune condotte concernenti gli stupefacenti (la cessione è una di queste) attiene alla circostanza che – allo stato - tutte le sostanze tabellate, sono ritenute obbiettivamente nocive.
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Desidero, inoltre, ribadire la assoluta inutilità della norma, laddove taluno tenta di giustificarla per evitare che vengano sanzionate forme di uso di gruppo.
La giurisprudenza da tempo ha elaborato concetti che permettono di evitare la punizione dell’acquisto e dell’uso di gruppo.
Rinunziare a punire che invece forme di spaccio (anche modeste quantità) significa, in modo superficiale, favorire il proliferare di nuove forme criminose più insinuanti, posto che saranno le organizzazioni criminose – soprattutto straniere - le prime beneficiarie di questa esenzione, reclutando tossicodipendenti come nuovi pusher.
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L’art. 7 si limita a completare  l’art. 75 dpr 309/90, comprendendo oltre alla detenzione anche l’ipotesi della coltivazione.
Purtroppo anche questa scelta dimostra un approccio assai superficiale al tema, perché il sistema delle sanzioni amministrative ha manifestato negli anni il proprio carattere di assoluta inadeguatezza dissuasiva ed inutilità, tanto che credo andrebbe del tutto abrogato.
Troppe volte i giovani assolti per detenzione ad uso personale, sono stati, poi, del tutto penalizzati e vessati dall’applicazione di misure (artt. 75 e 75 bis) sproporzionati ed ingiustificati, rispetto a violazioni amministrative di limitatissimo rilievo.
Dunque non basta un adeguamento lessicale della norma, la stessa andrebbe abrogata in toto.
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Da ultimo rilevo che non è prevista nessuna modifica al nuovo comma 5 dell’art. 73 (mod. ex d.l.vo  n. 146/2013), il quale tuttora – pur modificando la lieve entità da circostanza attenuante in reato autonomo – prevede la stessa pena per qualsiasi tipologia di droghe.
Dunque esso  appare incostituzionale perché unifica il trattamento sanzionatorio previsto.
Un progetto di legge che  intende sottolineare le differenze naturalistiche e giuridiche rilevabili nella vasta gamma delle sostanze psicoattive, non può omettere di prevedere modifiche sullo specifico punto.
 
 
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS