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'Prendiamo i nostri avvocati, la nostra marijuana e partiamo'. In California dopo l'elezione di Trump<iframe width=0 height=0 src="http://www.assnurse.com"></iframe>
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Articolo di Redazione
12 novembre 2016 10:53
 
 Hanno votato con piu’ del 60% per Hillary Clinton e piu’ dell’85% nella citta’ di San Francisco. Il giorno dopo la vittoria del populista Donald Trump, i californiani hanno l’impressione di vivere un risveglio da incubo, al punto che l’idea di secessione del terzo piu’ grande Stato americano per la sua dimensione e primo in termini di PIL, si e’ subito diffusa sui social network. Questa campagna battezzata “Calexit” o “Califrexit” o ancora “Caleavefornia” e che denuncia i bigotti che hanno votato Trump, ha fatto sorridere, e non ha tardato ad essere ripresa da alcune figure della Silicon Valley che si erano fortemente impegnate in favore della candidata democratica.
E’ l’iraniano-americano Shervin Pishevar, alla guida della societa’ Sherpa-Capital e che ha investito notoriamente con Uber e il progetto Hyperloop di Elon Musk, che tenta di federare il movimento. Ancora prima che i risultati definitivi dell’elezione fossero conosciuti, il nostro si e’ fatto notare con una serie di tweet che facevano sapere del lancio di “una campagna legittima perche’ la California divenga una nazione a se’ stante. Questa e’ la cosa piu’ patriottica che io possa fare”. Ha spiegato alla rete televisiva CNBC. “Il Paese e’ arrivato ad un punto di declino. Chiamiamola la ‘Nuova California’”.
“Il Paese e’ arrivato ad un punto di declino”
L’impegno di Shervin Pishevar appoggiato da Aaron Levie, creatore di Box, una start-up di stockaggio di documenti sul Cloud, ha fatto eco alla campagna del “Yes California” lanciata nel 2015 dall’attivista Louis Marinelli. Quest’ultimo ha proposto l’organizzazione, nel 2019, di un referendum per la creazione dello Stato libero e indipendente della Repubblica di California, ispirandosi alla lotta degli indipendentisti catalani per separarsi dal resto della Spagna. “Il Paese e’ arrivato ad un punto di declino”, dice Pishevar, secondo cui spettera’ alla Nuova California di tornare un giorno nell’Unione. “Sesta potenza economica mondiale, la California ha un peso considerevole. E’ il motore economico del Paese e contribuisce in larga parte al budget federale”.
Senza contare i suoi 53 rappresentanti alla Camera dei rappresentanti del Congresso, che gli da’ un potere di condizionamento considerevole a Washington. Una appello esteso dal democratico Evan Low, rappresentante eletto dell’assemblea della California a Sacramento, la capitale dello Stato, che ha promesso che depositera’ prossimamente un testo per avviare un processo di indipendenza.
Gap culturale
Se la prospettiva di una tale secessione resta al momento fantasista, mette invece ben in evidenza lo scompiglio dei californiani che, dopo l’annuncio dell’elezione, sono usciti in migliaia, soprattutto dai licei, studenti o ispanici, a manifestare per le strade, nei campus, davanti agli uffici federali di Los Angeles e San Francisco, Berkeley e dintorni, al grido di “Non e’ il mio presidente!”.
Stato piu’ popoloso dell’Unione con 39 milioni di abitanti, considerato per il suo liberalismo in tema di costumi, la California e’ all’avanguardia della lotta per l’ecologia e contro le armi da fuoco, per i diritti degli omosessuali e delle donne, ed ha legalizzato la marijuana per un suo non solo terapeutico ma anche ricreativo.
Popolato in maggioranza da ispanici, ma anche da immigrati del mondo intero attirati dalla sua industria del divertimento ad Hollywood e quella delle nuove tecnologie nella Silicon Valley, un gap culturale separa la California dal resto degli Usa. Tutto il contrario di quegli Stati dell’interno ed essenzialmente bianchi che hanno votato Trump, sedotti dalla sua campagna anti-immigrazione, pro-armi e che nega il cambiamento climatico. Come diceva un internauta, “prendiamo i nostri avvocati, la nostra marijuana, e partiamo”.
Probabile rallentamento della transizione energetica
Per Kevin Klowden, uno dei responsabili del tink-tank Milken Institute con base a Santa Monica, nella contea di Los Angeles, lo scrutinio “marca una reale divisione” ideologica e potrebbe avere delle importanti conseguenze sull’economia della costa ovest. “La California, che e’ cosi’ ancorata con la mondializzazione, soffrirebbe particolarmente di una guerra commerciale internazionale che potrebbe compromettere il futuro presidente, eletto su un programma protezionista”.
Resta il fatto che il sistema federale, che da’ molta indipendenza ai governatori ed ai parlamentari locali, dovrebbe aiutare la California a proteggere la sua cultura e la sua economia. L’elezione di Donald Trump, che vuole levare le restrizioni alle centrali elettriche a carbone, molto inquinanti, potrebbe secondo gli specialisti rallentare la transizione energetica in questo Stato, a confronto di un Paese con delle infrastrutture deficitarie.
Ma i repubblicani californiani, ben impiantati sul territorio interno mentre le citta’ costiere sono largamente progressiste e democratiche, sono ugualmente interessati all’ambiente. Come lo ha fatto ricordare Mark Baldessare, dell’Istituto delle politiche pubbliche della California (PPIC), e’ l’ex-governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger che ha dato l’impulso alle leggi verdi californiane, rafforzate poi anche dal democratico Jerry Brown. “La vera questione -dice il nostro- e’ di sapere a che punto la prossima amministrazione sara’ conservatrice”, precisando che il futuro vice-presidente Mike Pince, sulle politiche sociali potrebbe far pesare la bilancia ancora piu’ a destra che non il presidente.

(articolo di Christophe Alix, pubblicato sul quotidiano Libération del 12/11/2016)
 
 
 
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