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Nigeria e droghe. La lotta a Kano
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Articolo di Redazione
13 settembre 2016 19:03
 
   Aboubakar non ha che 35 anni e si descrive come “uno che sopravvive”. Questo colosso sorridente parla inglese nello stesso modo che un rapper californiano che ascolta con attenzione nel suo camioncino, che con difficolta' si fa strada in dei vicoli spericolati. Siamo a Kano, la grande citta' del nord della Nigeria, dove gli affari si fanno con moneta contante con clienti che vengono da tutto il Sahel dove la legge islamica, la sharia, si applica da sedici anni, con piu' o meno flessibilita'.
La seconda citta' della Nigeria e il suo ghetto, come dicono i rapper, il suo terreno di gioco, di affari e di galera che non lascera' nulla al mondo. Ma e' quasi affondata. Aveva sei anni, questo bel ragazzo aveva l'aspetto di questi ragazzi emaciati che errano nella megalopoli. Poveri ragazzi con gli occhi rossi malaticci che sembrano fare un notevole sforzo per mantenere le loro delusioni e i loro impulsi. “Io ero un 'junkie dealer', pericoloso sotto gli effetti del crack, cool sotto gli effetti della marijuana, ma ero come un fantasma per la mia famiglia. Nessuno si occupava piu' di me”. Si ferma, abbassa il tono e riprende: “Ho pianto spesso e continuo a piangere pensando ai miei amici morti o diventanti mendicanti. Io sono riuscito a venirne fuori, perche' non ne potevo piu' di vedere mia madre cosi' triste”.
Gioventu' dorata e devastata
Oggi, liberatosi della sua dipendenza, Aboubakar e' sposato e padre di due bambini. Gestisce il suo piccolo business nel settore tessile e vuole diventare un creatore di design alla moda. Dopo tre anni, si sposta in citta' per venire in aiuto ai numerosi consumatori di droga che infestano questo gigantesco mercato del Sahel. Autoproclamatosi “il Versace di Kano”, ha creato la sua associazione, Yafoda, con pochi mezzi a disposizione. Ha qualche regalo, come il suo camioncino, fornitogli da dei giovani della borghesia che ha fatto uscire dal giro della droga.
Quello che non e' il caso di Jamal e Bashir. Essi fanno parte di questa gioventu' dorata ma devastata. Entrambi sono “figli di”. Il primo, 32 anni, viso emaciato, inglese di Oxford, diploma di amministratore pubblico in tasca. Suo padre e' un politico influente della citta'. Il secondo, 28 anni, bellissimo ragazzo affabile, denti devastati dagli acidi, diploma in chimica. Suo padre e' stato ministro dl dittatore Sani Abacha (1993-1998), nativo della citta'.
Con il loro amico Beny, figlio di un ricco industriale indiano che possedeva delle industrie a Kano ed un centro commerciale a Dubai, hanno cominciato a far uso di droghe e sono approdati alla cocaina. In questo Paese dove l'80% della popolazione vive con meno di due euro al giorno, secondo i dati della Banca Mondiale, il grammo di questa sostanza costa 12.000 nairas (30 euro). Beny ha lasciato Kano da cinque anni per andare a “studiare”. E' stato ritrovato morto per overdose in una camera d'albergo a New York. I suoi compagni rimasti a Kano, non hanno piu' i mezzi per sniffare la coca e si sono dedicati alle pipe di crack nel momento in cui si sente l'appello per la preghiera. “Siamo privilegiati, diplomati ma senza impiego e marginalizzati. Tutto il mondo si droga in questa citta', ricchi e poveri, giovani e vecchi, uomini e donne -dice Bashir. Kano e' soffocante sotto il peso dell'Islam, della tradizione, per cui e' tagliata fuori dal mondo moderno. E poi Boko Haram ci angoscia, si viene lapidati e si prende piu' droga che cibo”.
Il gruppi jaidista ha tentato di seminare il terrore nella citta' facendo esplodere delle bombe nei mercati, nella grande moschea o nell'universita'. L'ultimo attacco risale all'estate 2015 quando una giovane donna ha attivato la sua cintura piena di esplosivi davanti alla moschea centrale, ma uccidendo solo se stessa. Ma un altro problema, silenzioso, minaccia la citta' che figura al primo posto dei luoghi dove si consuma droga in Nigeria, secondo le statistiche ufficiali. E questo dal 2013. Il governatore dello Stato di Kano, Abdullahi Umar Ganduje, ha esternato vista l'ampiezza del fenomeno e si e' detto preoccupato per l'aumento del consumo da parte delle donne. E regolarmente ordina la distruzione di tonnellate di cocaina, di marijuana, di metamfetamine e di migliaia di scatole di altri stupefacenti scoperte negli anfratti di industrie in disuso. Piu' di 14 milioni di euro di droghe bruciate in questi ultimi quattro anni, secondo le autorita'.
Angoli morti della citta'
Nei locali della polizia islamica, si possono trovare sciami di giovani arrestati nei cimiteri, nelle fabbriche abbandonate o negli angoli morti della citta'. In un ufficio buio si trovano bottiglie di sciroppo contro la tosse, cartoni di colla, di Tramadol, di pillole contro il cancro importate dal sud del Paese, ma anche di crack, di cocaina e di marijuana. Una scelta di droghe le piu' popolari. “Crediamo di avere considerevolmente ridotto la prostituzione e, ormai, la lotta contro il traffico e il consumo di droga e' la nostra priorita' ma essa e' dovunque nella citta'”, spiega Abba Sufi, direttore della “polizia di Dio”, incaricato di fare rispettare la sharia. Come spiegare che il consumo di droga nello Stato di Kano, dove la legge islamica e' in vigore, e' il maggiore di tutto il Paese? “Non e' un motivo religioso, ma sociale e inoltre la droga viene dal sud del Paese e da Paesi non musulmani. La religione puo' aiutare a risolvere questo problema. Tutte le soluzioni sono nella sharia”, dice Sufi.
Fela, 31 anni, conosce bene questi luoghi. In nome di Dio, i consumatori di droga arrestati sono puniti con ottanta colpi di frusta. Questo piccolo trafficante da' i suoi appuntamenti nel suo quartiere di Kawo, uno dei piu' poveri della citta'. Piccolo uomo vivo e pieno di risorse, non ha conosciuto suo padre, libanese, che non lo ha mai riconosciuto e vive modestamente di traffico di droga. La sua zona di vendita e' un'arteria polverosa, con ai bordi delle case indigenti, attraversate da pali elettrici che devono fornire di energia il vicino Niger. Tra i suoi clienti, c'è questo gruppo di giovani che vagano con un orsacchiotto in testa, delle bottiglie di sciroppo in tasca o ancora quel liquido utilizzato per imbalsamare i corpi dei defunti, il “suck and die”.
Prima di raccontarsi, Fela tira fuori dai suoi calzini una confezione di bende Rolling Sun. Stende un po' di pasta su un pezzo di tessuto che inserisce in bocca e respira nervosamente. Nello stesso tempo, si rolla uno spinello: “Io mi drogo da quando avevo 13 anni. La mia piccola amica libanese dell'epoca mi dava dei sodi perche' io comprassi dello sciroppo contro la tosse, dell'erba, della coca che era utile per fare bene il sesso… A lei piaceva il mio lato da gangster. Ma lei e' partita per Londra. Mentre a me, i miei genitori mi hanno respinto, ed io mi ingegno. A 17 anni mi sono messo a spacciare e guadagnavo 10.000 nairas in qualche minuto. Andavo a rifornirmi di tutto quello che mi occorreva a Lagos. Non sono stato arrestato”.
Il crimine organizzato nigeriano utilizza Kano come ruolo di smistamento del Sahel per l'eroina, destinata notoriamente all'Arabia Saudita, ricorda lo specialista Stephen Ellis nel suo ultimo libro This Present Darkness (Hurst 2016). Debolezza continua dello Stato, la storia si ripete. Agli inizi del 1950, la mafia libanese l'aveva fatta diventare una tappa per il percorso della droga da Beirut a New York. Alla testa di questo cartello, un certo Chagoury, di cui un discendente e' oggi un multimiliardario libano-nigeriano che ha fatto fortuna nelle costruzioni, le telecomunicazioni, l'immobiliare, la sanita'… “La saga Chagoury ci fa capire a che punto il commercio di eroina ha potuto essere una fonte di finanziamento per avviare altre forme di imprese”, scrive lo storico Stephen Ellis nella sua ultima opera, comparsa dopo la sua morte a luglio 2015.
Ladro di bambini
Ben lontano dai miliardi di Lagos, costruiti sulle casse di soda del suo scarno negozio del suo quartiere, Fela fa un grande tiro sul suo spinello d'erba pura e riprende: “E' meglio farsi di droga che arruolarsi in Boko Hram. Siamo li'. A nord della Nigeria, non si sogna piu'. Guardati intorno, qui come in centro citta', le persone sono tristi. Quindi, se tu sei povero e drogato, tu sei morto. Io voglio uscirne ed essere piu' forte per seguire Aboubakar che e' come un angelo dei drogati di Kano”.
Con la sua associazione Yafoda, Aboubakar e' il solo a venire in aiuto a questi emarginati. Nessuno presta piu' attenzione a loro, salvo che pentiti, li si ritrova in una traversa piena di rifiuti e di acque stagnanti dove vivono delle mosche, dei topi e dei bambini di strada. Tra loro, c'e' Sokoto, 10 anni. Il suo soprannome e' quello della sua citta', a 350 Km ad ovest, capitale dell'ex-impero fondato all'inizio del XIX secolo a seguito della jihad portata avanti da Usman dan Fodio.
Gli occhi vitrei, un panno riempito di colla nella bocca, sembra perso, avido di abbandonare questo luogo sudicio dove lui e i suoi compagni si nutrono di ratti che essi mangiano crudi. Con dolcezza, Aboubakar gli propone di portarlo via da questo inferno, di contattare i suoi genitori e di offrirgli un biglietto di bus per tornare a Sokoto. Lui ci sta, si gira verso i suoi amici che sembrano lapidi, ormai diventati aggressivi. Poi Aboubakar entra in contatto, accelera il passo, ignora le grida “rapitore”, “rapitore di bambini”, lo prende nelle sue braccia e poi lo mette sul suo furgoncino e parte. Ma, al primo semaforo rosso, Sokoto scappa. Il rischiamo della strada, della droga, e' stato piu' forte.

(articolo di Joan TilouineKano, inviato speciale in Nigeria, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 13/09/2016)
 
 
 
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