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Guerra alle droghe, guerra razziale. Campagna in Francia
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Articolo di Redazione
17 aprile 2015 14:51
 
L'associazione francese per la riduzione dei danni legati all'uso di droghe, ha lanciato il 15 aprile una campagna per mostrare come la repressione contro gli stupefacenti viene messa in atto in maniera sproporzionata verso le minoranze etniche.
Sul video diffuso si vedono, uno accanto all'altro, due uomini che vengono controllati dalla polizia. Ognuno dei due ha con se' uno spinello. Ma solo uno dei due e' controllato, senza tanti complimenti, dalla polizia. E' quello nero. L'altro e' bianco, e puo' andar via tranquillamente. Questa scena (una fiction) e' parte di un clip di una campagna,
“Guerra alle droghe, guerra razziale”, e' portata avanti congiuntamente dall'associazione francese per la riduzione dei danni legati al consumo di droghe (AFR), il Consiglio rappresentativo delle associazioni nere (CRAN), e il think-tank Repubblica&Diversita'. Perche' la polizia controlla solamente l'uomo nero? Perche' il controllo “comincia degenerando. Come per molti dei giovani neri ed arabi, sono stanchi di essere arrestati. Questo genera un'esasperazione e inevitabilmente fa fuori delle righe”, spiega Olivier Magnet, responsabile AFR e amministratore di Médecin du monde.
Per la prima volta in Francia, alcune associazioni propongono di studiare il problema della lotta contro le droghe attraverso il crisma “razziale”. “Parlare di razza, puo' essere un po' scioccante rispetto al nostro universo repubblicano, ma la realta' e' che la lotta contro le droghe tocca in modo sproporzionato le minoranze etniche”, nota Olivier Maguet. L'AFR lancia quindi un appello a dare testimonianza per tutte le persone che ritengono di essere troppo spesso fermate “col pretesto di un'infrazione alla legge sugli stupefacenti. L'associazione non puo' in effetti basarsi su delle statistiche etniche, vietate in Francia, a differenza di altri Paesi come gli Usa o la Gran Bretagna, dove associazioni e cittadini possono basare le loro riflessioni su dati del genere.
Alcuni ricercatori francesi non hanno neanche mai esaminato la questione. Secondo un'indagine fatta nel 2009 a Parigi dall'ONG Open Society Justice Initiative e il Centro Nazionale della ricerca scientifica (CNRS), le persone percepite come “nere” e “arabe” sono controllate rispettivamente sei e otto volte in piu' rispetto a quelle percepite come “bianche”. E' quanto constata anche Maxime Cessieux, del Sindacato avvocati di Francia. Questo avvocato penalista nel dipartimento Hauts-de-Seine racconta al quotidiano Libération di difendere diversi giovani di origine straniera arrestati per oltraggio alla forza pubblica (un'infrazione regolarmente perseguita, conferma il Sindacato della magistratura) dopo un semplice controllo di identita' vissuto da loro come un “atto intrusivo e umiliante perche' ripetitivo”. “Che finisce con una convocazione in tribunale o una comparsa in giudizio immediata. In questo caso incide sulla fedina penale, per cui sono poi piu' sorvegliati dalla polizia e piu' facilmente condannabili. Questo diventa alla fine un circolo vizioso”, deplora l'avvocato. Una sottile speranza di vedere le cose evolversi, con la ricevuta lasciata durante i controlli d'identita'... un impegno della campagna del presidente Francois Hollande, e' stato affossato qualche mese dopo l'elezione del 2012. Pertanto, nei Paesi in cui sono sperimentati, alcuni studi hanno dimostrato che era possibile ridurre la pressione sui giovani uomini di origine straniera ed ai poliziotti di farsi delle domande sulle loro pratiche professionali.
Dare la colpa alla politica dei numeri?
Aggiungete una politica dei numeri che inciti a moltiplicare i controlli di polizia, e la situazione diviene quella di una vita opprimente. “Non e' la polizia che e' razzista. Io non accuso il semplice agente, che fa il proprio ma i governi, di destra come di sinistra, di aver obbligato gli agenti ad applicare questa politica dei numeri, spiega Olivier Maguet. Il fermo degli immigrati che non hanno documenti (sans-papiers), le infrazioni al codice della strada e gli stupefacenti, sono in Francia le tre infrazioni che permettono di fermare senza un mandato. La polizia si concentra quindi su queste infrazioni perche' le stesse aumentano le statistiche e i premi di fine anno”. “Si trova quel che si cerca”, dice Slim ben Achour. Questo avvocato specialista di discriminazioni razziali dice: “I poliziotti cercano degli arabi e dei neri da controllare. E alla fine riescono a trovare qualche infrazione, come quelle legate alle droghe. C'e' una caccia etnica nella caccia alle droghe”. “La guerra alle droghe e' anche utilizzata per il controllo delle minoranze etniche nei quartieri”, sottolinea l'AFR. 
La guerra contro la droga sarebbe oltre che una guerra contro i poveri anche una guerra “razziale”, dice un magistrato specializzato in queste questioni, che ha preferito dire la propria in modo anonimo: “E' vero che si fermano le persone sempre nei medesimi luoghi. La polizia arresta dei giovani essenzialmente disadattati nei loro quartieri e, tra loro, ci sono piu' che altro neri ed arabi. In Francia, la discriminazione e' essenzialmente legata sia alla poverta' e ai luoghi in cui si vive che al colore della pelle. Si ha la sensazione di un sistema di disuguaglianza, ma e' il prodotto di una societa' che' e' diseguale”.
Altra dimensione, quella del territorio. “La legge da' la possibilita' ai procuratori di autorizzare dei controlli d'identita' senza criteri oggettivi, in un periodo o in un luogo indicato, rileva Laurence Blisson, giudice dibattimentale e segretario nazionale del Sindacato della magistratura. In alcuni luoghi, e' senza limiti di tempo. Questo puo' produrre problemi”. Su 4-5 milioni di consumatori di cannabis in Francia, numerosi sono quelli che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia. Gli interventi di polizia per consumo di stupefacenti sono piu' rari nei quartieri borghesi, nella classi piu' agiate, spesso bianche, rileva il magistrato: “La dimensione sociale ha una rilevanza. Occorre verificare se ci sono degli effetti combinati tra “razza”, classe, luoghi in cui si abita...”.
Quali conclusioni dedurre dall'esempio americano?
“Le sostanze sono anche un indicatore, rileva dal suo canto Olivier Poulain Péron, membro dell'Osservatorio geopolitico sulla criminalita'. E' uno degli argomenti chiave del dibattito americano: e' grazie al fatto che un possessore di una piccola quantita' di crack sia piu' esposto ai rigori della legge rispetto ad uno che possiede cocaina, che si e' potuta constatare questa segregazione razziale, sociale, culturale e territoriale”. Se i neri e i poveri rischiano maggiormente di trovarsi dietro le sbarre, e' essenzialmente perche' essi consumano una droga meno costosa e non necessariamente hanno il lusso di nascondersi dietro le porte della propria casa. In Francia, inoltre, l'uso di eroina nei quartieri, a partire dagli anni Ottanta, ha creato “dei silenzi, delle esclusioni, delle violenze che hanno anche una realta' fondata sui prodotti e non su un'origine o un aspetto”. Ma ha a che fare con il fattore socio-economico. Laurence Blisson rileva inoltre che un consumatore di crack e' generalmente piu' precario rispetto ad un consumatore di cocaina e “piu' suscettibile di commettere delle infrazioni non molto rilevanti, come furti, ma che comunque lo portano davanti alla giustizia”, cosa che aumenta il rischio di una ulteriore carcerazione.
La questione del rapporto tra guerra alla droga e guerra razziale non e' piu' un tabu' in Usa, che dispone di statistiche etniche, che consentono la valutazione di politiche pubbliche e l'azione delle forze di polizia e della giustizia. A febbraio, un rapporto sulle azioni della polizia a Ferguson, nel Missouri, dove c'erano stati dei disordini dopo la morte di un adolescente nero non armato ucciso da un poliziotto bianco, ha mostrato che le popolazioni afro-americane erano largamente nella mira delle azioni di polizia, senza nessuna relazione rispetto ai tassi di criminalita' nelle medesime popolazioni. Sulla questione della droga, in particolare, numerosi studi e opere fanno intendere che la guerra contro la droga e' anche una guerra razziale.
Un articolo del quotidiano The New York Times pubblicato a luglio, The Injustice of Marijuana Arrests, spiega che se il tasso di consumo di erba e' simile tra bianchi e neri (30 milioni di consumatori nel Paese), i neri sono 3,7 volte piu' suscettibili di essere arrestati (1). Solo lo Stato della Hawaii fa eccezione in merito. Il massimo si manifesta in Iowa, dove i neri sono 8,3 volte piu' a rischio di essere arrestati (e fino a 30 volte in piu' in una delle contee di questo Stato), seguito dallo Stato di Washington (8 volte) e del Minnesota (7,8). In Alaska, dove le discriminazioni in merito sono le piu' basse, il rischio di un nero di essere arrestato e' comunque 1,6 maggiore rispetto ad un bianco. In un articolo pubblicato su Internet, Robert Perry, direttore degli affari legali della New York Civil Liberties Union, un'organizzazione di difesa dei diritti civili, non dice cose diverse: a New York, i risultati della pratica di “stop and frisk” (ferma e cerca), nonche' i controlli di routine realizzati in teoria quando una persona puo' essere “ragionevolmente” considerata come sospetta, evidenziano che nel 2006, il 55% dei controlli riguardavano dei neri, il 30% degli ispanici e l'11% dei bianchi. Nell'insieme dei controlli, il 90% delle persone non stavano facendo niente di illegale. Tra il 1976 e il 2006, il 55% degli arresti per possesso di marijuana riguardavano dei neri, rispetto al 14% dei bianchi.
Come le scelte procedurali influiscono sugli imputati?
Dopo il commissariato, e' in tribunale che proseguono le vicende sugli stupefacenti, sia che si tratti di semplice consumo che di vendita. “Ci sono piu' neri e arabi nelle indagini sugli stupefacenti -dice l'avvocato Maxime Cessieux-. Che si partecipi in prima persona o meno al traffico di stupefacenti, le pene che vengono comminate sono molto pesanti. Si ha l'impressione che la droga sia il flagello numero 1 in Francia”. Un rivenditore di una barretta di shit incorre, per esempio, in una pena piu' pesante (fino a dieci anni di prigione) rispetto ad un uomo che ha dato un pugno alla propria donna (fino a tre anni di galera).
La questione del modo di comparsa in giudizio, in direttissimo o meno, e' ugualmente centrale, una difesa si prepara meno bene quando si e' ansiosi. La stabilita' sociale, il tipo di alloggio/casa, sono considerati nell'ambito della decisione del procuratore per optare per un procedimento in diretta o no, cosi' come il percorso giudiziale degli imputati. “Le scelte procedurali possono indurre piu' o meno a delle ineguaglianze. Una persona che va immediatamente in giudizio ha nettamente piu' possibilita' di essere incarcerato, stima Laurence Blisson, segretario nazionale del Sindacato della magistratura. Mentre i giudici considerano che non possa essere messo in pericolo il lavoro di una persona che sia socialmente inserita”.
Le persone di nazionalita' straniera saranno anche piu' facilmente inviate ad un processo per direttissima “per paura che poi non si presentino in tribunale”, secondo l'avvocato Slim ben Achour. Un'indagine condotta da Virgine Gautron e Jean-Noel Retière in cinque distretti del Grande Ovest, conferma questa impressione: “Con un'infrazione e un precedente equivalente, le persone nate all'estero sono prima di tutto inviate ad un processo per direttissima, che, di per se', moltiplica per otto il rischio di incarcerazione. Esse sono anche cinque volte piu' spesso inviate in carcerazione preventiva”.
Se, sempre per l'assenza di dati “etnici”, e' impossibile sostenere che i neri e gli arabi siano piu' spesso incarcerati rispetto ai bianchi per fatti col medesimo profilo, la Lega dei diritti dell'uomo e il sociologo Laurent Mucchielli hanno dedotto, dopo un'indagine di nove mesi nel tribunale delle grandi istanze (TGI) di Nizza, la seguente costatazione: “In tutte le medesime situazioni, gli stranieri hanno due volte piu' possibilita' di essere condannati ad una pena carceraria rispetto alle persone di nazionalita' francese o che provengono dai Paesi dell'Europa dell'ovest, e coloro che hanno precedenti giudiziari hanno tre possibilita' in piu' di essere condannati ad una pena carceraria”.
Alcune etnie sono sovrarappresentate in prigione?
E dopo? Quali pene e quali profili? Senza statistiche etniche, l'AFR si appoggia sulla conclusione di due indagini effettuate da alcuni sociologi. La prima, condotta da una casa circondariale della periferia parigina tra il 2009 e il 2013, mostra come gli uomini neri rappresentino i due terzi dell'insieme dei detenuti, e piu' dei tre quarti hanno meno di 30 anni. La seconda indagine, condotta nel 2007, a partire da alcune indagini fatte dalla procura dei minori di Versailles, mostra che un ingresso in prigione ogni sette sia per consumo o rivendita di stupefacenti. Nove volte su dieci si tratta di cannabis.
In Usa, i dati parlano da soli: i neri rischiano dieci volte piu' dei bianchi di finire in prigione per una questione di possesso di droga, secondo uno studio di Human Rights Watch (2). Di conseguenza, se il 25,4% di bianchi incarcerati lo era per affari di stupefacenti nel 2003 in tutti gli Usa, la percentuale aumenta al 38,2 per i neri. E il tasso di neri entrati in prigione per una questione di droga e' anche aumentato piu' velocemente rispetto ai bianchi, dice il rapporto: e' quintuplicato tra il 1986 e il 2003, mentre e' soltanto triplicato per i bianchi.
La dimostrazione che la politica generale diventa piu' repressiva, e' che essa ha come bersaglio soprattutto i neri. Non e' un caso che un'opera molto rinomata in materia abbia un titolo fortemente simbolico, “The New Jim Crow: Mass incarceration in the age of colorblindness”, la legge cosiddetta Jim Crow (dal nome di un personaggio di una fiction) che tratta delle leggi di segregazione razziale e di privazione dei diritti civili dei neri.
“La lotta contro le droghe contribuisce a mantenere la marginalizzazione della gioventu' francese, dice l'AFR. Se Manuel Valls (ndr.: il primo ministro) vuole veramente attaccare l'apartheid sociale, bisogna che smonti l'arsenale giuridico che consente di alimentare questa marginalizzazione. Non si puo' fare un discorso di coesione sociale e, nello stesso tempo, chiudere gli occhi”.

(1) i dati sono ricavati da uno studio dell'American Civil Liberties Union del giugno 2013.
(2) Targeting Blacks, Drug law enforcement and races in the United States, Human Right Watch, 2008.

articolo di Kim Hullot-Guiot e Cécile Bourgneuf, pubblicato sul quotidiano Libération del 15/04/2015)
 
 
 
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