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La guerra alla droga del presidente delle Filippine. Rapporto di Amnesty International
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Articolo di Redazione
2 febbraio 2017 11:36
 
 E’ il padre di una vittima che meglio descrive il buco nero verso il quale procedono le Filippine dopo le elezioni del presidente Rodrigo Duterte. “Io non penso che questa sia una guerra contro la droga, questa sembra una guerra contro la giustizia”, ha confidato Marcos Baja ai ricercatori di Amnesty International. Suo figlio, Ulisse, 33 anni, e’ stato ucciso senza nessun motivo da una pallottola nella testa e da tre altre pallottole nell’addome e nel petto il 15 agosto a Tuburan (regione di Cebu, nel centro del Paese), mentre stava parlando con degli amici. La polizia sostiene di aver agito per legittima difesa dopo che lui aveva fatto fuoco contro di lei. Ma i testimoni che Amnesty International ha ritrovato, raccontano tutta un’altra versione dei fatti. Ulisse ha alzato le mani dicendo “ho gia’ smesso” (ndr: di consumare droga). Suo padre, che condanna cio’ che fa suo figlio, ha formalmente smentito che Ulisse avesse un’arma.
L’affaire Ulisse Baja e’ uno dei 33 crimini sul quale l’ONG ha indagato per redigere un rapporto dettagliato sulle violenze multiple e i crimini in serie perpetrati dalla polizia filippina e commessi in nome della guerra antidroga lanciata dal presidente. Intitolato “Se sei povero, vieni ucciso”, questo documento di 68 pagine e’ stato pubblicato il 1 febbraio, cioe’ sette mesi dopo che il presidente Rodrigo Duterte e’ diventato presidente della Filippine. Sette mesi nel corso dei quali almeno 7.800 persone -tra cui una trentina di bambini- hanno trovato la morte. Sette mesi di abusi devastanti che hanno reso piu’ fragile lo Stato d diritto ed evidenziato una formidabile economia di morte in questo Paese di 100 milioni di abitanti.
“Complicita’ del governo”
Per due mesi Amnesty International ha intervistato 110 persone (parenti di vittime, poliziotti, testimoni diretti, sicari, etc), andando in 20 citta’ e villaggi per documentare 33 casi che in tutto hanno fatto 59 morti. “La grande maggioranza di queste morti sembrano essere state delle esecuzioni extragiudiziarie, cioe’ delle esecuzioni illegali e deliberate, fatte su ordine del governo o con la sua complicita’ o il suo tacito accordo”, nota il rapporto che completa e conferma cio’ che diverse inchieste, reportage e lunghe testimonianze pubblicate dai media hanno riferito su cio’ che e’ accaduto in questi ultimi mesi.
In virtu’ della gravita’ dei fatti che coinvolgono soprattutto i “poveri delle citta’”, Amnesty sostiene che le “morti deliberate e generalizzate di presunti delinquenti tossicodipendenti, che sembrano sistematiche, pianificate ed organizzate dalle autorita’, possono costituire dei crimini contro l’umanita’”. Fatou Bensouda, la procuratrice della Corte penale internazionale de L’Aja, non ha escluso la possibilita’ di aprire una “inchiesta preliminare”, cosi’ come ha detto ad ottobre scorso.
L’inchiesta pubblicata il 1 febbraio comunque contraddice notevolmente le proposte del direttore generale della polizia, Ronald dela Rosa che, ancora la settimana prima, evocava dei “casi isolati” per spiegare l’ampiezza degli abusi commessi dai suoi stessi uomini.
Fino a poco tempo fa, lo sceriffo Duterte si spingeva fino a promettere perdono e protezione a coloro che avrebbero ucciso spacciatori e tossicodipendenti. Non ha fatto apertamente appello all’esecuzione di “decine di migliaia” di criminali? A dicembre si e’ vantato di aver ucciso lui stesso dei tossicodipendenti a Davao, la citta’ dove e’ stato Sindaco per ventidue anni, per mostrare come fare ai suoi uomini.
Ma dopo il rapimento e l’esecuzione di un uomo d’affari sud-coreano che ha fatto scalpore nelle Filippine e in Corea del Sud, le autorita’ tentano di correggere il tiro. Ammettono un “problema” di ampiezza in questa istituzione reputata come una delle piu’ corrotte del Paese. Le unita’ stupefacenti sono state smantellate, la guerra antidroga sospesa per un mese, il tempo che una grande “pulizia all’interno” sia effettuata presso i poliziotti filippini corrotti. Questa e’ la prova, se ne occorreva ancora un’altra, che i “casi isolati” si sono moltiplicati.
I fatti sono tali ed eloquenti come li dettaglia Amnesty, che fa la lista dei crimini, diversi e numerosi, commessi dalla polizia: esecuzioni extragiudiziarie, estorsioni di fondi, furti, minacce, fabbrica di prove, falsi rapporti di polizia, falsi crimini commessi in flagranza, etc.
La morte a partire da 148 euro
Il rapporto descrive come sono costituite le liste di persone ricercate: in totale opacita’, dando importanza alle dicerie, rivalita’, vendette, sul passato reale o presupposto di tossicodipendenti o spacciatori. Mostra come un sistema finanziario, un’economia della morte, e’ stata organizzata con questa guerra contro la droga. Talvolta, come lo racconta un poliziotto a Amnesty, un ufficiale riceve delle mazzette per delle esecuzioni: tra 8.000 e 15.000 pesos, cioe’ tra 148 e 279 euro, talvolta con un’aggiunta da parte delle autorita’ locali. Succede anche che un ufficiale che lavora in ambito civile, retribuisca degli assassini, dei “vigilantes” come li chiamano notoriamente nelle Filippine, per far svolgere lo sporco servizio.
“Duterte se la prende coi piccoli”
Policafripa e Rita Cruz si ricordano dell’esecuzione ad ottobre di Florjohn, loro figlio e marito. Raccontano che stava per riparare una radio quando cinque uomini fecero irruzione in casa. Dopo aver implorato gli assassini, fu ucciso da tre colpi di arma da fuoco, di cui uno nella testa. “Agenti di polizia, media, servizi funerari, tra gli altri, attendevano proprio dove sono arrivati quasi immediatamente dopo la morte di Cruz”, dice Amnesty riprendendo la testimonianza di due donne. “Cosa significa questo, che attendevano che mio marito fosse ucciso prima di fare qualche cosa?”, domanda Rita. La giovane donna continua: “Perche’ Duterte se la prende coi piccoli? Perche’ non da’ loro un’altra possibilita’?”. Duterte ha fatto sapere nei giorni scorsi che continuera’ la sua guerra fino all’ultimo giorno del suo mandato a giugno del 2022. Una guerra senza giustizia.

(articolo di Arnaud Vaulerin, corrispondente dal Giappone, pubblicato sul quotidiano Libération del 02/02/2017)
 
 
 
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