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Droga e sentenza Corte Costituzionale. Brevi osservazioni in relazione all'art.75 comma 5 Dpr 309/90
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Articolo di Carlo Alberto Zaina
10 marzo 2014 15:18
 
Ai fini di una corretta esposizione del tema, deve essere premessa la considerazione che l’abrogazione per declaratoria di incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272 30 dicembre 2005, convertito nella L. 49 del 21 febbraio 2006, intervenuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014), ha determinato la riviviscenza delle norme anteriormente vigenti e, dunque, in primo luogo – ai fini che ci occupano – dell’integrale testo dell’art. 73 del dpr 309/90, così modificato dal dpr 5 giugno 1993 n. 171 attuativo il referendum tenutosi il 18 aprile 1993.
La Consulta, infatti, dichiarando l’incostituzionalità dei due articoli del citato DL 272/2005 (e, di conseguenza, della L. 49/2006) in relazione all’art. 77 comma 2 Cost., ha ordinato testualmente di rimuovere “le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309”.
Dunque, ritorna, naturalmente, vigente la dicotomia sanzionatoria fra sostanze cd. “pesanti” (inserite nelle tabelle I e III dell’art. 14) e sostanze cd. “leggere” (inserite nelle tabelle II e IV dell’art. 14).
Parrebbe, pertanto, che, in sede di eventuale applicazione dell’istituto della lieve entità, non vi possano essere dubbi di sorta, posto che la decisione della Corte Costituzionale è apparsa talmente tranciante e radicale, in quanto ha investito, tra quelli eccepiti, il profilo di maggiore ampiezza (vale a dire, cioè, quello concernente l’aspetto della procedura di conversione del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272 nella L. 21 febbraio 2006 n. 49).
E così, appare sul piano strettamente formale.
Il giudice delle leggi ha, infatti, affermato inequivocabilmente– nella ricordata sentenza - che “gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.
Dunque, secondo quanto affermato nella recente sentenza della Sez. IV della Corte di Cassazione, n. 10514/14 (28.2/5.3.2014), sul piano formale è intervenuto un diretto innesto del disposto dell'art. 2 D.L. 146/2013, nel corpus dell'art. 73, quale esso risulta nel testo ripristinato dalla declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272/20051 (1).
L’applicazione concreta e tout court di tale interpretazione incontra, però, un limite.
E' bene ricordare che la grande novità che connota l'art. 2 del recente D.L. 23 dicembre 2013 n. 146 (conv. nella L. 10 del 21 febbraio 2014) consiste nella modifica strutturale e sostanziale dell’istituto della lieve entità.
Esso, da circostanza attenuante ad effetto speciale è, infatti, divenuto reato autonomo, con riduzione della pena massima edittale, ma, contemporaneamente, con la previsione di un medesimo ed unico trattamento sanzionatorio (2), tra droghe pesanti e droghe leggere.
La scelta di prevedere un'unica pena appare, attesa la sopravvenienza della decisione della Corte costituzionale, (la quale ha affermato che, però, la sentenza n. 32 non investe questa specifica norma, promulgata dopo la proposizione dei quesiti di legittimità costituzionale (3), ma prima della pronunzia relativa), induce al sospetto di incostituzionalità, e, comunque, di un irragionevole contrasto, quoad poenam con il complessivo testo dell'art. 73 tornato vigente.
Va osservato, inoltre, che alla luce di quella che, allo stato, pare dal giudice di legittimità, accreditata come interpretazione autentica, la sospetta incostituzionalità dell'art. 73/5° come modificato dall'art. 2, troverebbe ulteriore supporto nel ripristino della ripartizione delle sostanze stupefacenti nelle quattro tabelle portate dall’art. 14, che risponde a criteri che intendono come preminente l'offensività e la pericolosità effettiva, specifica e concreta delle singole circostanze.
A tale considerazione andrebbe aggiunta anche la intrinseca contraddizione di cui si connota la norma in parola, la quale introduce un ingiustificato doppio binario sanzionatorio, per condotte identiche nella loro struttura materiale e differenziate, solamente, nella loro portata offensiva esterna.
In proposito sia consentito osservare che anche la giurisprudenza di legittimità non appare in grado di fornire convincenti soluzioni sul tema.
Recentissimamente, infatti, la già citata sentenza 10514/14 ha sostenuto, (suscitando, peraltro, rilevanti perplessità), che il trattamento sanzionatorio unitario previsto dalla riformulazione del comma 5° secondo il disposto della L. 10/2014, non solo risulterebbe compatibile – pur nella sua diversità - con la complessiva struttura della norma incriminatrice in questione (l'art. 73), ma, addirittura, non sarebbe ravvisabile irragionevolezza nell'obbiettivo contrasto tra “la norma introdotta dal citato art. 2, con il parametro costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione”.
Sostiene, in proposito, il Collegio di illegittimità che il legislatore avrebbe, per nulla irragionevolmente, deciso di svalutare “il rilievo della natura della sostanza stupefacente tratta........ a fronte di specifiche modalità del fatto criminoso, tali da rivelarne la concreta ed obbiettiva ridotta idoneità offensiva..”.
Si tratta di una spiegazione che non convince, perchè le modalità del fatto cui la Corte di Cassazione opera riferimento – in realtà – già vengono utilizzate nella ratio della norma attenuatrice, come paradigma per definire il livello dell'entità della condotta.
La Corte, quindi, finisce per confondere quei parametri che – espressamente previsti dal comma 5° - costituiscono l'elemento essenziale, l'in sé, che qualifica e differenzia tale disposizione di legge rispetto alla previsione ordinaria dei commi 1 e 4 dell'art. 73, (in quanto essi distinguono il grado di particolare allarme e di specifica pericolosità – soggettiva - che condotte tassativamente individuate suscitano intrinsecamente), con quella che, invece, appare una ratio filosofica fondamentale del legislatore del 1990, e che attiene ad una forma di pericolosità distinta e totalmente autonoma rispetto a quella precedente esaminata, perchè essa, invece, di natura oggettiva, siccome correlata con la tipologia dello stupefacente.
Neppure il successivo richiamo al potere discrezionale del giudice – che si ricollega ad una presunta pluralità di soluzioni sanzionatorie – pare conclusione priva di pregio giuridico, posto che esso riprende una considerazione (svolta in sede di giudizio di costituzionalità dalla Avvocatura di Stato, onde sostenere la legittimità del trattamento unico sanzionatorio introdotto con il D.L. 272 del 2005), che la sentenza della Consulta ha mostrato di non tenere in alcun conto.
D'altronde, il problema della coerenza intrinseca di una norma complessa, quale appare l'art. 73 – vera architrave della disciplina penale del diritto degli stupefacenti – non può essere risolto con affermazioni stilemiche od astratte.
Sia consentito, altresì, osservare che la tesi espressa dalla Suprema Corte non tiene in debito conto anche di altri rilevanti profili, riconducibili al tema in questione.
La pena prevista dall'art 73/5° modificato ex art. 2 L. 10/2014, mentre appare sostanzialmente differente e radicalmente inferiore rispetto a quella prevista dal comma 1° dello stesso articolo (che disciplina le sostanze contenute nelle tabelle I e III) (4), evidenziando, così, il carattere di effettiva minore offensività, peculiarità propria della lieve entità, non presenta, invece, le stesse rilevanti differenze rispetto alla pena portata dal comma 4° (che, a propria volta, disciplina le sostanze contenute nelle tabelle II e IV).
Si può, infatti, notare tale omogeneità, in quanto mentre la pena prevista dal comma 5° dell'art 73, come modificato ex art. 2 L. 10/2014, è della reclusione uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000, quella del 4° comma del testo ripristinato è della reclusione da due a sei anni e della multa da € 5.164 a € 77.468.
Dunque, i dati normativi sopra richiamati evidenziano – oggettivamente – una grave, quanto illogica ed ingiustificata disparità di trattamento fra condotte del tutto simili, atteso che a fronte di un sensibile divario del quantum di pena (fra l'ipotesi ordinaria del 1° e quella lieve del 5° comma) per quanto concerne le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle I e III (quindi – paradossalmente – per eroina, cocaina etc. sostanze di maggiore intrinseca pericolosità), non corrisponde una analoga proporzione, fra l'ipotesi di pena ordinaria del 4° e quella della lieve del 5° comma, per quanto concerne le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle II e IV, che – in tutta evidenza- esprimono una minore pericolosità.
La quasi coincidenza dei trattamenti sanzionatori fra 4° comma e nuovo 5° comma, appare un'opzione che, oltre a creare un grave problema di coordinazione tra il nuovo specifico testo e la complessiva struttura dell'art. 73, rimasta in vigore, risulta assolutamente irragionevole e confliggente con l'art. 3 Costituzione e penalizza le condotte di lieve entità riguardanti la cannabis.
Il vizio di irragionevolezza è palesemente rinvenibile nel citato trattamento di maggiore favore che (espresso attraverso la notevole differenziazione fra la pena ordinaria e quella attenuata) concerne sostanze che esprimono una maggiore pericolosità, a scapito di quelle meno pericolose.
La lesione del diritto di uguaglianza deriva dal fatto che la diminuente in questione (sia ritenuta circostanza o reato autonomo) poiché appare applicabile attraverso l'adozione dei medesimi parametri valutativi a tutta una serie di condotte, aventi ad oggetto tutte le sostanze stupefacenti, deve operare in modo da non violare un principio di reale proporzionalità ed adeguatezza della sanzione al fatto ed all'offensività che lo stesso esprime.
Non pare, quindi, razionale, nè giustificabile la scelta normativa che adotti, in relazione alle droghe riconducibili alle tabelle I e III, una proporzione di riduzione nei minimi edittali da otto anni ad un anno (pari ad una diminuzione sulla base percentuale dell'87%) e nei massimi edittali da venti a cinque anni (pari ad una diminuzione su base percentuale del 75%), mentre risulta ictu oculi che le proporzioni di riduzione relative alle droghe riconducibili alle tabelle II e IV, non appaiono minimamente simmetriche a tali criteri.
Quello sin esposto, comunque, nella sua rilevanza appare un nodo che deve essere sciolto rapidamente, attraverso una nuova attribuzione al giudice delle leggi della valutazione in ordine alla compatibilità dell'art. 2 – e dell'art. 73 comma 5 così derivato - con la trama costituzionale vigente.

NOTE

1) Articolo 73 Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope
1. Chiunque senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 [e 76], sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'articolo 14, è punito con la reclusione da otto a venti anni e con la multa da € 25.822 a € 258.228.
2. Chiunque, essendo munito dell'autorizzazione di cui all'articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nel comma 1, è punito con la reclusione da otto a ventidue anni e con la multa da € 25.822 a € 309.874.
3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.
4. Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall'articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da € 5.164 a € 77.468.
5. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da € 2.582 a € 25.822 se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'articolo 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da € 1.032 a € 10.329 se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV.
6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.
7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

2) D.l. 23 dicembre 2013 n. 146 art. 2 conv. In L. 21 febbraio 2014 n. 10
Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità'
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 73, il comma 5 e' sostituito dal seguente comma:
"5. Salvo che il fatto costituisca più' grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità' o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità' e quantità' delle sostanze, e' di lieve entità', e' punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.";
b) all'articolo 94, il comma 5 e' abrogato.

3) Non è questo, però, l'unico motivo perchè sostengono Della Bella e Viganò (in www.dirittopenalecontemporaneo.it) “Secondo la Corte, infatti, le norme successive alla Fini-Giovanardi destinate a cadere per effetto della dichiarazione di illegittimità sono solo quelle che siano "divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate". Ebbene, il co. 5 non risulta affatto essere stata privato del proprio oggetto dalla caducazione degli altri commi dell'articolo: per effetto della riviviscenza della previgente disciplina, infatti, continuano ad essere puniti - anche se con un trattamento sanzionatorio diverso - gli stessi "fatti" ai quali il co. 5 si riferisce”.

4) Reclusione uno a cinque anni e della multa da € 3.000 a € 26.000, contro reclusione da otto a venti anni e multa da € 25.822 a € 258.228
 
 
 
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